In che modo il profitto può essere giusto?

In che modo il profitto può essere giusto? In che modo il profitto può essere giusto? E' uno degli interrogativi ai quali hanno cercato di dare una risposta studiosi di politica, economisti, filosofi, scrittori - Tre giorni di dibattito all'Unione industriale Il profitto figlio diretto della produzione è un vizio capitale oppure una virtù privata? L'imprenditore e il capitale che rapporto hanno con la morale? Sono alcuni interrogativi emersi dall'incontro di economisti, sociologi, filosofi e rappresentanti del mondo imprenditoriale chiamati a misurarsi su un tema di grande interesse: «Le ragioni dell'etica e le ragioni dell'economia'. Il confronto è stato promosso dall'Unione Industriale e 11 dibattito distribuito in tre tornate è durato due giorni. Tra gli intervenuti: Colletti, Pellicani, Veca, Miglio, Ricossa, Mathieu, Barone. A questi nomi bisogna aggiungere quelli dei rappresentanti dell'imprenditoria Mortillaro e Annibaldl e ancora lo scrittore Quinzio, biblista, il politologo Urbani, i filosofi Matteucci, Riondato e Masullo. Insomma una bella raccolta di studiosi, invitati a discutere su un tema che la stessa Chiesa cattolica sta elaborando attraverso le riflessioni del card. Martini, spesso citato in questi due giorni, e dell'episcopato statunitense. La domanda di fondo: può convivere l'economia con la morale? E quanto è immorale il profitto? La Chiesa ha esorcizzato il tema avviando il discorso più che sulla liceità del profitto, su chi deve beneficiare del profitto medesimo: punto cruciale con molti interrogativi e parziali risposte. Ad esempio, inventare nuovi beni di consumo soltanto per attivare 11 mercato non pare lecito (Quinzio), è morale invece l'imprenditore che fa bene il proprio mestiere (Urbani e Matteucci), distinguendo tra imprenditoria e pura gestione di capitale (la strategia fi nanziaria). E in che modo il profitto può essere giusto? Tenendo conto' dell'antica raccoman dazione distributiva «ama il prossimo»? Poteva valere quando la società chiedeva il soddisfacimento di bisogni primari ed era a misura di villaggio o di comunità ristretta. Oggi il .j .-ossimo» si identifica con interi continenti, la produzione ha dimensioni enormi e responsabilità ugualmente imponenti (basti pensare alla problematica ecologica o nucleare). Da qui due tendenze o tentazioni: il sorgere di una cultura del rifiuto (Colletti si ri- volge a Quinzio e a buona parte della cultura"cattolica) avversa alla società industriale, e l'orientamento ad enfatizzare in senso positivo tutto ciò che viene dalla produzione di beni. Il giusto mezzo (Colletti) sta nel vigilare con gli strumenti della democrazia, per evitare da un lato i danni di un'esasperata economia di mercato, matrice di diseguaglianze, e dall'altro 11 pericolo di un collettivismo burocratico altrettanto nocivo. L'economia deve soddisfa re il «bene comune» (Barone) in una cornice di libertà di mercato (Mathieu), ma è possibile mediare tra politica ed economia? E porre un limite etico al profitto? «No» risponde Miglio, «si. gli fa eco Masullo: 'Mediatore è il politico, non il potere politico ma chi fa politica governando le scelte secondo valori e norme morali: Ma cosa si deve intendere oggi, per «valore»? Altra discussione, altro argomento da future tavole rotonde. Pier Paolo Benedetto