«Non erano soldi di Moro»

«Non erano soldi di foro» «Non erano soldi di foro» Gli amici dello statista de ritengono che il conto svizzero sul quale ha insistito Freato sia soltanto una trovata difensiva - Ricorda Bonifacio: «In realtà fu proprio Moro, come presidente del Consiglio, a volere il decreto contro gli esportatori di capitali» - Come poteva temere un golpe di Miceli? ROMA — E' un «no comment» cortese ma molto fermo la reazione della famiglia Moro alla notizia del «conto segreto» in Svizzera aperto dalla «segreteria politica» del leader de ucciso dalle Brigate rosse. Un conto aperto perché lo statista temeva allora un colpo di Stato e chiuso quando l'espoitazione di capitali all'estero divenne reato? Aldo Moro, presidente del Consiglio dal novembre 1974 alla fine di luglio del 1976, temeva davvero che in Italia potesse accadere qualcosa tale da giustificare un conto in Svizzera? Cosi sostiene Sereno Freato, che di questo conto aveva già parlato al processo di Milano, ma aggiunge che fu lo stesso Moro a sollecitare il rientro di quel danaro. Francesco Paolo Bonifacio, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato e ministro della Giustizia nel primo gabinetto Moro, fornisce nuovi elementi di giudizio: 'Desidero —dice — rendere pubblica testimonianza della grande lealtà istituzionale di Aldo Moro. Tale testimonianza si concreta nel preciso ricordo che quando il nostro Paese versava in una situazione economica di grande delicatezza causata da massicce esporta zioni di capitali, egli che era in quel periodo presidente del Consiglio intervvenne presso di me, ministro della Giustizia per accelerare e sorreggere il mio proposito di introdurre adeguate sanzioni penali. Da qui nacque il decreto legge poi convertito dalla Camere». Il ricordo di Bonifacio trova preciso riscontro nella realtà storica di quel periodo. Slamo nell'aprile 1976 e la famosa legge «159» che riportò in Italia migliaia di miliardi esportati all'estero nacque sotto forma di decreto e porta la firma di Francesco Bonifacio e Aldo Moro. Una testimonianza che mal si concilia con il castello di ipotesi costruito sui possibili timori di Moro per un colpo di Stato che cambiasse il corso della storia del Paese. Anche se quegli anni furono tra i più difficili e bui vis¬ suti dentro e fuori gli apparati di sicurezza del Paese. Moro arrivò a Palazzo Chigi nella seconda metà di novembre del 1974, nel pieno della tempesta che aveva travolto l'ex capo del Sid Vito Miceli, arrestato dalla procura di Padova per una serie di gravi reati contro la sicurezza dello Stato. Miceli era stato arrestato la sera del 31 ottobre, mentre veniva interrogato a Roma per una inchiesta parallela della procura di Roma. Un intreccio di istruttorie, simbolo della confusione e della tensione del rapporti tra la giustizia romana e quella del Nord, aveva creato una situazione paradossale. Che portò al consueto e tradizionale conflitto di competenza e quindi alla vittoria dei giudici della capitale. Al processo, presunti golpisti e generali sospettati di non essere stati fedeli alle istituzioni furono scagionati e l'ipotesi di un improbabile «golpe» aborti nella motivazione della sentenza. Qualche anno dopo Miceli, nel frattempo diventato parlamentare della Repubblica, fu riabilitato e ricevette quel riconoscimento che inutilmente, dopo l'arresto, aveva sollecitato in un telegramma ad Aldo Moro ricordandogli che egli era perfettamente al corrente del suo operato. Un invito al quale Moro aveva risposto con i famosi 77 «omissis» ai risultati della indagine sul golpe Borghese. L'incarico di presidente del Consiglio Moro lo ricevette subito dopo l'arresto di Vito Miceli e quando era appena tornato, assieme a Giovanni Leone, allora Presidente della Repubblica, dagli Stati Uniti. Moro era ministro degli Esteri e fu in quella occasione che avvenne lo storico incontro con l'allora segretario di Stato americano Henry Klsslnger. Un incontro del quale-sono state fornite versioni variegate e contrastanti e del quale si è parlato a lungo anche nel processo per il rapimento e l'uccisione del presidente della de. Secondo la testimonianza resa da uno dei più stretti collaboratori di Moro. Corrado Guerzoni, Kissinger aveva detto: «... Non posso credere alla sua impostazione politica e quindi la considero un elemento fortemente negativo». Moro sapeva, aveva paura e nascondeva 1 soldi all'estero? I politici, amici e nemici del leader storico sorridono e scuotono la testa. E aggiungono: «£V solo una splendida trovata difensiva dei suoi ex collaboratori, i quali cercano di invocare una sorta di stato di necessità per aver manovrato all'estero le loro ricchezze, ma non quelle di Aldo Moro». Roberto Martinelli Francesco Paolo Bonifacio

Luoghi citati: Italia, Milano, Padova, Roma, Stati Uniti, Svizzera