Napoli, le meraviglie e la plebe di Alfredo Venturi

Napoli, le meraviglie e la plebe LA SCOMMESSA SULLA CULTURA RISVEGLIA LA CITTA' RASSEGNATA? Napoli, le meraviglie e la plebe «Noi rappresentiamo Io Stato che si rinnova», dicono all'Istituto italiano per gli studi filosofici, dove passano Gombrich, Lévinas, Popper - A Villa Pignatelli la Fondazione Napoli 99 mobilita intellettuali e sponsor intorno a progetti e restauri - Ma queste e altre isole straordinarie di creatività si confrontano con «strutture inadeguate, difficoltà estreme», quartieri miserabili e polemiche DAL NOSTRO INVIATO NAPOLI — Un portone sbarrato nel cuore della città nasconde una tragedia di ieri e una scommessa di oggi. La tragedia di ieri: un vecchio duca che implora invano la grazia per suo figlio, il ragazzo si è battuto a fianco dei giacobini? Re Ferdinando è inflessibile: il giovane deve morire. E muore, uno fra i tanti a cadere nelle piazze di Napoli, nel macello che della Repubblica Partenopea vorrebbe cancellare perfino il ricordo. Cosi il duca ordina che si sbatta l'uscio in faccia al re, che si chiuda per sempre il portone d'onore del palazzo, finora spalancato in direzione della reggia borbonica. Sono passati centottantasette anni dal fatale '99, e quel segno di lutto e di protesta è ancora li. Il portone principale del palazzo Serra di Cassano è tuttora sbarrato, a maggior ragione da quando, nei saloni della secentesca dimora ducale, scommette sul futuro di Napoli un'istituzione che proprio nel '99 affonda le sue radici. E' l'Istituto italiano per gli studi filosofici, la creatura di Gerardo Marotta che undici anni dopo la nascita si è assicurata un ruolo di assoluto rilievo nella cultura contemporanea. A palazzo Serra di Cassano, e nella biblioteca ricchissima tuttora sacrificata negli spazi angusti di viale Calascione, sono di casa uomini come Gombrich, Lévinas, Gadamer, Popper. L'istituto ha una sua editrice, la Bibliopolis, che pubblica opere in più lingue di estrema eleganza e inappuntabile rigore. E poi i convegni, i seminari: attestati sulle frontiere più avanzate della cultura filosofica e scientifica. Tutto questo a Napoli, nella città insanguinata dalla camorra, nella metropoli della ra^sggnaziqn^ e della resa, à due pàssi dai quartieri spagnoli..debor,danti.di squallore urbano e.degradazione umana. «Noi rappresentiamo lo Stato che si rinnova», dice Marotta. E spiega: «In undici anni di lavoro durissimo abbiamo raccolto l'attenzione e l'interesse della società civile». In una città come questa le sfide sono drammatiche. Noi possiamo fare la nostra parte, dice il «filosofo- Marotta: se lo Stato ci dà una mano. Non senza un'adeguata contropartita. Il Mezzogiorno va infatti riconosciuto come «serbatoio di forze intellettuali che possono rinnovare tutto il Paese». Non è da poco l'ambizione di questa Napoli sofisticata, che parla il linguaggio dell'alta cultura dietro il portone sbarrato dei Serra di Cassano. Eccomi in un altro palazzo: accanto a Villa Pignatelli, davanti alle palme della Riviera di Chiaia. «Apparteneva ai Ruffo», dice Mirella Barracco. Lo dice con ironica intenzione: perché lei è l'animatrice della Fondazione Napoli Novantanove, che si richiama all'anno fatidico in cui le speranze di una Napoli modernamente europea furono soffocate nel sangue dalle orde sanfediste guidate, appunto, dal cardinale Fabrizio Ruffo. Dunque Mirella Barracco si è installata nella casa del nemico. Ma il nome che ha scelto per la sua iniziativa non ha senso univoco. Noi guardiamo, dite, al 1799, e a quello che rappresentò: ma anche al 1999, alle speranze di Napoli sulla soglia del terzo millennio. Il primo fra i convegni della fondazione aveva un tema significativo: «Il futuro del passato di Napoli-, Si lavora su due piani: per reinserire la città nel circuito internazionale della produzióne di cultura; .per individuare^ realizzare, progetti d'intervento, studi, restauri. Lo si fa promuovendo quella forma di mecenatismo che va sotto il nome di sponsorship. Per esempio la Ciga è intervenuta a~finanziare l'indagine preliminare per il restauro del chiostro maiolicato di Santa Chiara. Il Rotary club e alcune banche, la BNL, la Cassa di Risparmio di Roma e perfino, per la prima volta a quanto pare, la Banca d'Italia, hanno assicurato fondi per il restauro dell'Arco di Trionfo di Alfonso d'Aragona al Castelnuovo. «Il contatto con la città è difficile», dice Mirella Barracco. Le sono piovuti addosso due tipi di critiche. Il primo: con-i problemi che affliggono Napoli, le maioliche di Santa Chiara possono anche aspettare. «Un povero, commenta, non ha dunque il diritto di regalare una rosa?». Seconda accusa: la cornice mondana in cui la fondazione agisce. «E' un modo di catturare interesse, spiega: di calamitare denari e sposso/; e poi la yita sociale dell'aristocrazia napoletana è elemento di una cultura che non 'va rinnegata, anzi va posta a servizio della città». Storie di palazzi napoleta- ni, isole monumentali di creatività nella metropoli in ginocchio. Eccomi sulle ripide scale che portano all'ultimo piano del Palazzo Reale. Il filologo Marcello Gigante mi accompagna a visitare l'Officina dei papiri ercolanesi, e il connesso Centro internazionale di studi. Quei papiri provengono dalla biblioteca della villa di Ercolano che Calpurnio, suocero di Cesare, e il suo consigliere culturale Filodemo, avevano trasformato in un santuario dell'epicureismo. Ecco la firma di Filodemo in calce al quarto libro del saggio Sulla morte, ecco i papiri svolti e catalogati nelle loro cornici, e quelli accartocciati, carbonizzati, per ora illeggibili. Nell'Officina si applicano tecniche nuove alla revisione della filologia ottocentesca, cdttxisttÈàtt apprezza rissimi dagli specialisti del mondò intero...jOra si attendono i nuoti scavi alla villa di Ercolano, già finanziati dalla Cee ma fermi per un'inerzia ministeriale che rischia di far annullare l'intervento comunitario. Baldassarre Conticelo, soprintendente archeologico, si fa interprete di queste attese, prepara il progetto di scavo: ma dal ministero dei Beni Culturali arrivano parole, nient'altro che parole. Eppure «abbiamo la certezza, dice Gigante, che là sotto ci sia la parte latina della biblioteca, a suo tempo è emersa infatti soltanto la parte greca». Lo studioso sospira: «C'è ragione di rltene re che a Ercolano siano copie coeve di molti classici, trattandosi di un centro di cultura epicurea dovrebbe esserci il De rerum natura di Lucrezio, finora noto soltanto attraverso trascrizioni medievali». Più in alto, oltre i purulen ti quartieri spagnoli, verso il colle di San Martino sul quale svetta truce il castello di Sant'Elmo, una lunga muraglia racchiude un singolare complesso di edifici, chiostri, giardini pensili. E' la sede di un altro attivissimo centro culturale, l'Istituto di magistero Suor Orsola Benincasa. Non è soltanto un magistero, ci sono altre facoltà umanistiche: è la sola università libera del Sud. E ci sono anche tutte le scuole dei gradi inferiori, fino all'infanzia. E' affollata da seimila studenti. «E' stata fino al 1860 una cittadella monastica, ricorda il rettore Antonio Villani nel '92 Adelaide del Balzo, principessa Pignatelli, vi ha fondato l'Istituto». Lo scopo. «Promuovere la condizione femminile nell'Italia meridionale». Oggi nel grande monastero laicizzato si svolge, accanto all'attività didattica, un'intensa promozione culturale. Si fanno corsi con gli specialisti più qualificati, convegni, seminari di alto livello. C'è una enorme biblioteca, un museo che raccoglie i grandi della pittura napoletana. Docente di filosofia del diritto alla statale di Napoli, il rettore Villani non ha difficoltà a illustrare i vantaggi del privato: flessibilità operativa, i docenti scelti non sulla base delle burocratiche graduatorie ma del merito scientifico. Nella città di Vico intravede l'imminenza di un prezioso ricorso: dopo il primo Seicento, il secondo Settecento e l'ultimo Ottocento, una quarta grande stagione di cultura. Perché Napoli, dice Nicola Spinosa, soprintendente ai Beni storici e artistici, è come il Vesuvio: si addormenta per lunghi periodi, ma è capace di improvvise esplosioni. «Costretta a operare entro strutture inadeguate, fra difficoltà estreme, la città si sveglia quando c'è un progetto e quando lo fa proprio». Il problema del progetto è centrale a Napoli, dice Spinosa. Non basta fare la grande mostra sul Seicento: bisogna che la città sia pronta a ospitare chi la visita. Nel centro storico più stra tificato d'Italia, nella città che contiene l'otto per cento del patrimonio artistico nazionale, purtroppo esposto a continue ruberie, ci sono le condizioni per un grande futuro in chiave turistico cul¬ turale. Spinosa sta preparando una rete di servizi, che connetta i quattro principali musei napoletani: Capodimonte, San Martino, Villa Pignatelli, Floridiana. Ma ci sono esposizioni quasi sconosciute, che in qualsiasi altro luogo sarebbero al centro dell'attenzione. Come il Museo di arte industriale, annesso all'istituto statale d'arte: con la sua straordinaria collezione di ceramiche. Ciro Ruju, che presiede a questa scuola, propone la creazione di un istituto superiore di arte applicata, che fornisca quei tecnici della conservazione e del restauro di cui la città ha cosi evidente bisogno. Proposte, progetti, un grande fervore, una grande voglia di mutamento. Come dice Antonio Villani, questa è una città di «chiaroscuri alla Goya». C'è chi considera esasperata l'immagine della degradazione. Come Clotilde Izzo, direttrice editoriale della Guida: «La prospettiva migliora se si considera Napoli col suo retroterra: in provincia c'è vitalità produttiva». E c'è chi crede al peggio inevitabile. Come lo scrittore Domenico Rea: «Non so fino a che punto Napoli è Italia», dice. Nell'Europa occidentale, secondo l'autore di Spaccaliapoli, è la sola città «che abbia ancora una plebe». Alle meraviglie di Napoli filosofica si accompagna infatti l'abiezione di Napoli imbarbarita, che Rea riassume in un episodio atrocemente significativo. Due sicari, un'esecuzione di camorra, il colpo di grazia alla testa, poi uno dei due, un ragazzo, che davanti alla vittima agonizzante dice all'altro: «E adesso, ce la facciamo una pizza?». Alfredo Venturi Nli S Napoli. Sotto una statua, il carretto d'un venditore ambulante: può questa citta vivere un'altra grande stagione culturale? (Team)