Il Maggiore e il Colonnello (due inseparabili estremi) di Igor Man
Il Maggiore e il Colonnello (due inseparabili estremi) OSSERVATORIO Il Maggiore e il Colonnello (due inseparabili estremi) Jallud, chi è costui? «Oltre al petrolio, è l'unica merce esportabile che la "Rivoluzione Verde" sia riuscita a produrre*: cosi, nel 1972, disse di Abdessalam Jallud un ambasciatore occidentale al quale chiedevo notizie su quel giovanotto magro, dal nasone a rostro, che sembrava non staccarsi mai dalle costole di Gheddafi, a quel tempo anche lui magro e spesso infagottato in abiti borghesi di pessimo taglio, aggravati da incredibili scarpe di coccodrillo. Abdessalam Jallud è anch'egli, come il Colonnello, un figlio del deserto, per essere nato nel Fezzan circa quarant'anni fa. Era un ragazzo orfano che zii poverissimi crescevano con amore quando. incontrò Muammar Gheddafi, a Sebha. Come vi siete conosciuti o, meglio, come e quando siete diventati amici per la pelle, lei e Gheddafi?, gli domandò un giorno nell'82 Richard Gardner, da due mesi ormai ex ambasciatore degli Usa inItalia. Sia lui che il maggiore siedevano alla stessa tavola durante un pranzo in una villa della Riviera ligure. «Ci siamo fortemente legati in una cella del carcere di Sebha, dove la polizia ci aveva sbattuto perché avevamo manifestalo in favore dell'Algeria indipendente, scandendo il nome di Nasser», rispose Jallud. E Gardner: «Fecero malissimo a mettervi in carcere, anzi: fecero benissimo a incarcerarvi, ma fu un errore mettervi nella stessa cella...», replicò. Gran gelo a tavola, ma subito rotto da una fragorosa risata di Jallud. Ho raccontalo l'aneddoto perché stabilisce una prima fondamentale differenza tra Jallud e il suo capo: il Maggiore ha seme of humour, Gheddafi no. Il leader è piuttosto permaloso, il Maggiore spesso lascia correre; Gheddafi è vendicativo, Jallud sa perdonare. Con Gheddafi non si riesce a. imbastire una conversazione. Me ne sono accorto una volta ancora il 9 marzo scorso, quando, ancorché affabilmente, mi intrattenne durante ore e ore nella sua tenda, nel deserto della Sirte. O parla lui o parli te. Si va avanti a «mozzichi e bocconi». Con Jallud è tutt'altra cosa: è un conversatore gradevole e persino smaliziato. Gheddafi è Al Qaid, il leader, oppure « ti malud», il matto; per Jallud vale il nomignolo Rahalla (giramondo), già affibbiato a Ibn Bautta, grande viaggiatore arabo del '600. Non c'è Paese del mondo dove il Maggiore non sia stato in missione o in vacanza: sa scegliere la cravatta giusta, parla un ottimo inglese, e se gli mettono davanti un bicchiere di whisky non batte ciglio. Gheddafi vive pressoché perennemente in una dimensione onirica, Jallud tiene sempre i piedi ben saldi sulla terra. Certo, anche lui è nevrotico, epperò è un pragmatico. Quando, ventunenne, trattò coi più smaliziati ma nagers del petrolio realizzando rapidamente la nazionalizzazione delle compagnie straniere, un dirigente americano lo definì «efficiente, me iodico, costante». Passa per essere «l'uomo di Mosca» forse perché fu lui, nel febbraio del 1972, a concludere un importante accordo economico con quell'Urss che sta sul gozzo a Gheddafi. In verità il grande amore, ancorché impossibile, di Jallud e l'America, dove ha perfezionato i suoi studi militari. Ama quella gente che definisce «semplice in modo disarmante», ha gran rispetto per quei tecnocrati, gli piacciono i gelad del Rockefeller Center e definisce le ragazze di Dallas le più belle del mondo. «Se non ci fosse stato il problema palestinese si lasciò scappare una volta — noi saremmo oggi i migliori amici degli Stati Uniti». Sposato con la giovanissima Elham, una ragazza di ottima famiglia che parla bene l'inglese e anche un po' di italiano, padre dì quattro figli — il più grande, un maschio, di 14 anni, il più piccolo, anch'egli maschio, di quattro — considera la sua casa, niente affatto kitsch al contrario di quella di Gheddafi, «un rifugio sereno». Ha una minuscola stanza tutta per sé, con un potente televi sore col quale spesso riesce a captare i programmi italiani. Non ha lo spessore intellettuale del suo «capo-fratello», né il carisma di «Et malud», ma è un uomo di buon sen so. O, almeno, finora ha dato l'impressione di esserlo. Ha sempre e volutamente vissuto all'ombra del leader, al quale è legato da profonda ma non acritica amicizia. Potrebbe essere l'uomo capace di raccogliere la successione al vertice della Jamahiriyahl Forse, ma dovrebbe essere, codesta successione, affatto indolore. Perché Jallud, giura chi lo conosce bene, non tradirebbe mai Gheddafi. A costo di farsi ammazzare. Igor Man
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