Croci e mezzelune sul vulcano

Croci e mezzelune sul vulcano MALAYSIA, ARCIPELAGO DI CONTRASTI RAZZIALI E RELIGIOSI Croci e mezzelune sul vulcano Nell'isola del Borneo, lo Stato di Sanali, accanto ai suoi kadazan e ai molti cinesi, gii uni e gli altri in prevalenza cristiani, ospita duecentomila musulmani filippini - improvvisa, nei giorni scorsi, una guerriglia tra estremisti dei due gruppi - Pietre dalla moschea, scontri, morti - Chi incoraggia i fondamentalisti islamici? - Ecco i retroscena politici d'una crisi che può riesplodere DAL NOSTRO INVIATO KOTA KINABALU — Nella capitale dello Stato di Sabah, nell'isola del Borneo, è scoppiata un'altra guerra di religione, la messa!una contro la croce, morti, feriti, auto date alle fiamme: queste almeno le notizie. Un piccolo Libano? No, ma la dimostratone pratica di come sia facile disintegrare una società dove vari gruppi etnici coesistono tutto sommato pacificamente: basta innescare la miccia, cioè discrimare razzialmente o pretendere di essere discriminati, e aspettare il botto. Che a Rota Kinabalu c'è stato ma non tanto fragoroso perché gli estremisti islamici, assai forti negli altri Stati peninsulari della Federazione della Malaysia, a Sabah, questo Stato isolano e per molti versi atipico, soprattutto per la composizione etnica, non hanno seguito. Così, tre giorni dopo l'eruzione di violenza, a Kota Kinabalu era tornata la calma. Deserta la grande moschea dove per una settimana si erano asserragliati i musulmani anche se nessuno, ma proprio nessuno li assediava, come mi racconta un uomo d'affari di origine cinese, di religione cristiana. «Dal recinto della moschea tiravano sassi contro 1 passanti», mi dice con disprezzo un autista di piazza, di origine thailandese, di religione buddista; L'erba del grande prato che si stende attorno alla tozza moschea grigia e oro è calpestata, distrutta dalle migliaia di fedeli che lì hanno bivaccato fino all'altro ieri per una settimana e che non avevano nessuna intenzione di sloggiare, nonostante l'ordine della polizia, perché erano pagati, cinque dollari al giorno, come mi dice il buddista e conferma il cristiano. «Quando mal se 11 sognano tutti quei soldi... Sono gentaglia». Chi, i musulmani? «No, non dico 1 musulmani in genere, voglio dire i filippini musulmani. Vengono dall'isola di Mindanao, o da Oaya, ci vuol niente, basta una barchetta a remi». Pare che siano circa centomila i filippini emigrati clandestinamente a Sabah negli ultimi tempi: altri centomila quelli che sono arrivati qui all'inizio degli Anni 70, quando il cattolicissimo governo di Marcos reprimeva l'insurrezione musulmana l : o e l a e i i o o e i i o A o o e e , e del Mindanao: una repressione che è costata milioni di morti e si prolunga in un'inestinguibile guerriglia anche oggi, nell'era di Corazbn Aquino. Sul basso muro che circonda la moschea ancora risaltano delle croci tracciate con la vernice rossa. Supremo sacrilegio. Davanti alla chiesa cattolica che sorge poco distante dalla moschea, quattro o cinque edifici sono stati quasi completamente distrutti dalle fiamme, vi sono ancora le carcasse di una decina di auto incendiate. «Qui la battaglia è durata tre ore, mi dice il buddista, e i morti saranno stati almeno una cinquantina, glielo garantisco». Vado al villaggio dei kadazan, gli originali figli del JSorneo, convertiti quasi tut' al mittanèètmot-è*cWvpi statuiscono il 37 per cento *uella- popolazione '■ diSabah"1 che conta in tutto un milione e trecentomila abitanti. Lungo la strada che porta al loro villaggio ci sono posti di blocco militari per impedire l'accesso ai musulmani malintenzionati. Superato il posto di blocco, ci sì addentra in un paesaggio senza tempo; circondate da banani e palme, ecco le case su palafitte dei kadazan, la famose «case lunghe* del Borneo: qualche bufalo, qualche maiale, campi di riso. Nella piazzetta che è il centro del villaggio c'è un cinema, ci sono botteghe cinesi con le loro insegne. A Sabah i kadazan e i cinesi, anche loro per la maggior parte cristiani e che costituiscono il 23 per cento della popolazione, vivono in ottimi rapporti, sono frequenti i matrimoni misti mentre nessuno sposerebbe mai un malay-malese. Domando se è proibito. «No, ma chi sposa un musulmano, uomo o donna che sia, per legge deve farsi musulmano», spiega un kadazan che beve coca-cola al bar dell'albergo principale di Kota Kinabalu. Palafitte E' il tramonto, sul mare vagano minuscole barche da pesca, lontano, sulla spiaggia di unisoletta, si scorge un villaggio su palafitte. Chi vi abita? «I filippini. Vedesse che sporcizia, che schifo», dice il kadazan. Non si capisce se ce l'abbia tanto con i filippini perché sono sporchi o perché sono musulmani. Forse per entrambi i motivi perché quello che a Sabah la gente teme di più è di finire islamizzata, pericolo che finora ha scampato anche se dal 1963 fa parte della Federazione della Malaysia dove l'Islam è religione ufficiale. Ma qui i musulmani non possono conquistare la maggioranza essendo il quaranta per cento alllncirca. Tuttavia il potere è sempre stato gestito da un partito musulmano sin dal 1963, quando cioè l'ex colonia britannica del Nord Borneo divenne lo Stato malese di Sabah, ancora oggi considerato da chi vive a Kuala Lumpur, nel continente, una specie di •selvaggio Est*. Sabah è perà ricchissima, soprattutto petrolio è giacimenti di gas naturali, tanto ricca da far gola anche alle Filippine che vantano delle pretese di sovranità, almeno questa era la posizione di Marcos, mentre il nuovo governo Aquino non si è ancora espresso ma è probabile che lasci perdere. L'anno scorso però, ad aprile, c'è stato un mutamento di scena: alle elezioni ha conquistato la maggioranza il partito di opposizione guidato da un cristiano kadazan, Pairin, sposato con una cinese. Ha ottenuto 34 seggi al Parlamento regionale su 54, mentre il partito di Mvstafa Harun, musulmano e •uomo forte- di Sabah da più di vent'anni, ne ha avuti soltanto sedici. Ciononostante Mustafa, all'alba del 22 aprile 'SS, si fece proclamare primo ministro del governo regionale: a mezzogiorno Pairin si riprese il posto che era legalmente suo e avrebbe potuto continuare a governare pacificamente se due mesi fa una decina di parlamentari non avessero lasciato trapelare la lonoiinte*&lonè' di passare àf partito di minoranza, cosa che ; -.in &f Malaysia succede' spesso e, come dicono qui, è soltanto una questione di prezzo: a Kota ifinabaiu pare che le quotazioni per parlamentare vadano da 500 mila a un milione di dollari, più promesse di appalti governativi, portafogli ministeriali, eccetera. Per Allah A questo punto Pairin, prima che gli togliessero la sedia di sotto, ha decretato lo scioglimento anticipato del governo regionale e nuove elezioni. Allora Mustafa Harun ha chiamato a raccolta i musulmani che al grido di «Allah è grande I» sono scesi per le strade. Così è scoppiata la guerra di religione di Sabah, il •piccolo Libano; fortunatamente abortita. Sostengono i musulmani che Pairin aveva instaurato un governo non multirazziale, come dev'essere qualsiasi governo degli Stati federati della Malaysia dove tuttavia è costituzionale discriminare a favore dei cittadini di serie A, i malay-musulmani, in quanto hanno bisogno di uno «sviluppo protetto», come sostiene il primo ministro del governo federale Mahatir, il quale sta tentando di sbrogliare questa vicenda con tutte le cautele possibili. Vorrebbe probabilmente liberarsi di Pairin, ma non vuole assolutamente che si crei il precedente dì un rovesciamento del potere al grido di «Allah è grande!» perché gli integralisti musulmani che sono i suoi più temibili avversari potrebbero trarne esempio e rovesciare così il suo governo che è musulmano ma non integralista. Prima o poi dovrà indire elezioni generali anticipate perché la crisi è imminente. Ora con il petrolio che è sceso, con il calo dei prezzi delle materie prime di cui la Malaysia è ricca, c'è anche in giro aria di crisi economica: «Lo stagno non viene nemmeno più quotato, mi dice un funzionario del ministero degli Esteri, e gli americani per proteggere il loro olio di soja stanno montando una campagna di stampa per denigrare il nostro olio di palma sostenendo che provoca l'infarto». Si, una cattiveria. Ma vi sono anche altri crimini di cui gli americani e tutti gli altri occidentali si stanno rendendo colpevoli agli occhi del governo malese. «Perché vi interessate del nostro Paese?», indaga un giornalista malay. «Prima tutti In Vietnam, poi ora che il Vietnam è chiuso ecco che cominciate a arrivare qui da noi. Per non parlare dell'invasione giornalistica delle Filippine... Andate sempre a pescare nel torbido». Taccio anche perché giorni fa a Kuala Lumpur sono stati arrestati e poi espulsi due giornalisti stranieri. Dico soltanto che mi sembra che nelle Filippine sia andata abbastanza bene. Mi risponde: «Lei dice cosi soltanto perché è una donna ed è contenta che abbia vinto una donna». In Malaysia, come in Thailandia e in Indonesia, tutti Paesi dove dovranno svolgersi tra poco le elezioni, l'argomento Filippine è scabroso, si teme di esser contagiati dal •male filippino», un modo nuovo di fare politica, per lo meno nel Sud-Est asiatico: •potere popolare» non violento, la Chiesa che prende posizione dimostrando di essere una. forza politica temibile. E' un esempio che potrebbe incoraggiare i fondamentalisti islamici, in Malaysia organizzati in un partito, il Pas, Party Islam Sa-Malaysia, che è ormai il principale partito di opposizione e i cui leader sono dei santi predicatori appassionati. Tuonano contro la corruzione, la perdita dei valori spirituali, chiamano «infedele» il premier Mahatlr, si stanno preparando alle elezioni come se si trattasse di una •guerra santa», una lotta del bene contro il male. Hanno già un loro martire, Ibrahim Mahmood, noto anche come Ibrahim Libia perché era a capo del centro culturale libico di Kuala Lumpur. Ibrahim è stato ucciso quattro mesi fa dalla polizia assieme ad altri diciotto •veri» musulmani accusati di «deviazionismo estremista religioso». Dicono l pessimisti che quello che è successo a Kota Kinabalu è niente rispetto a quello che potrebbe succedere nel resto del Paese al grido di '«Allah è grande!.. Renata Plsu Kuala Lumpur. Uno dei corsi contro l'analfabetismo tra le numerose etnie della Malaysia (Foto Unesco)

Persone citate: Harun, Ibrahim Mahmood, Mahatir, Mustafa Harun, Rota