L'ombra dei fascismi

L'ombra dei fascismi GRANDI STORICI A CONFRONTO L'ombra dei fascismi Cena, a Parigi, a metà gennaio. I maggiori storici d'Oltralpe legati all'Italia, un po' più degli italiani-sants di una volta, di una certa tradizione, di un certo filone culturale. Jean Baptiste Duroselle, maestro a generazioni di allievi della Sorbona, il secondo Rcnouvin per cui è realtà l'Europa, e non soltanto l'Europa francese. Jacques Le Goff, ai cui occhi il Medioevo non ha segreti e l'età medievale è per tanta parte la Res public* Christiana di Novali s, cioè l'Europa attuale che nasce. E poi c'è Pierre Milza, che conosce a fondo l'Italia contemporanea, che non è solo esperto di Risorgimento — come i Bourgin di una volta — ma sa tutto sul fascismo sulla fase di transizione dal fascismo alla democrazia, tanto è vero che ha pubblicato in questi mesi un libro, anzi un librone, illustratissimo, Les fatàsmes nella collana «Notre siede» diretta proprio da Duroselle. Si accompagnano agli stori ci — secondo un uso francese — i due maggiori e più sti molanti direttori di giornali in Francia. André Fontainc, il direttore del Monde, è un grande giornalista che è anche uno storico di razza, e storico nien temeno che della guerra fredda. Jean Daniel, il direttore •del Nouvel Observateur che è il giornalista più legato a Mitterrand, interprete, accorto sinuoso, del suo esprit florentin delle sue infinite, e confermate,'risorse dialettiche. E poi, a confermare un costume tutto francese, abbiamo un interprete della Parigi istituzionale, codificata e un po' statuaria: il segretario perpetuo dell'Accademia di Francia Maurice Druon, che è autore di libri di suggestiva divulgazione storica e collezionista di benemerenze nazionali nelle varie Repubbliche e già ministro di Giscard, perfino prc sentimento della «coabitazione». Neanche la sola Sorbona, o -anche il solo.Istituto' di'Frai}'eia, rappresentati: c'è Hugues Portelli, anirnatore dell'Uni versila di Nantcrre, testimone delle vicende e delle diaspore del '68 (quanti ricordi della contestazione!). 11 tema centrale degli incontri è il fascismo. Il libro-di Milza, ancora fresco di stam pa, è al centro del tavolo. 11 fascismo come fenomeno storico (che sta alimentando una vera c ptopria ^letteratura Francia) ma anche come in quietante e attuale e per tanti aspetti torbido interrogativo politico. Siamo a due mesi dalle eie zioni legislative. Tutti, gl sguardi si appuntano sul fenomeno Le Pen; che nelle stesse pagine dell'opera di Milza, aggiornata fino all'83, è dato quasi per liquidato sul piano politico, con l'eccezione dei ri flessi culturali di una rabbiosa e rinascente destra francese. Le previsioni, a quel tavolo, oscillano. Non si dà più del 7 8% all'ex poujadista, all'ex ufficiale para in Algeria, all'ex tutto: che pure ha sconvolto la geografia politica della Quinta Repubblica. E' il momento in cui il vento soffi ancota per Chirac (e per una larga maggioranza di centrodestra); è il momento in cui la riscossa socialista è appena cominciata, oppure non è cominciata affatto. ** Ma è singolare che a un incontro di storici i motivi di ri flessione anche accorata sul fa seismo si uniscano ai motivi di preoccupazione o di vigi lanza per il presente, o per l'immediato futuro. E' vero: la tesi che Milza sostiene, nel suo documentatissimo libto, è che il fase; smo, come fenomeno storico, è finito con la fine della seconda guerra mondiale. Né Paesi del Terzo Mondo né nazioni superindustrializzate costituiscono nel mondo di oggi terreni favorevoli all'è splosione di veri e propri regi mi fascisti. I primi perché si trovano già troppo integrati nel sistema neocapitalistico mondiale per poter adottare gli obiettivi autarchici e con qui statori del fascismo. Le seconde perché hanno superato lo stadio di sviluppo economi co all'intano del quale si inse risce il fenomeno politico fa scista. Né il fascismo può essere confuso con le dittature mili tari, o nazional-militari, sorte nel mondo dal 1945 in avanti: capaci — si ricordi Pcrón — di adottare tratti a indirizzi o simboli del fascismo ma nel quadro di regimi autoritari o tradizionali, solo più spietati nello sfruttamento del disagio delle frustrazioni delle masse, oppure nell'esasperazione del mito nazionale. Sì, ammette Milza. C'è una ttadizione di violenza antidemocratica — l'esplosione del razzismo e dell'antisemitismo, per esempio — che è nata con questo secolo ma non è ancora domata, concorrendo largamente a drammatizzarne la storia. Il fatto che oggi questo filone non sia più centrale (ma lo è stato ai tempi dell'Oas in Francia) non significa per niente che si debbano minimizzare o trascurare quei filoni di cultura, o di pseudo-cultura, in cui attecchiscono fermenti, impulsi, scopi certo estranei alla tradizione repubblicana e democratica della Francia. ** Sono lontani, comunque, i tempi in cui Lucien Febvre, dovendo caratterizzare il fascismo per la voce dell''Encyclopetite francftise, nel '35 alle so- csncdcavctdnss«nglmpdusGtpnpsUaglie del Fronte Popolare r *3rtmuna Parigi che aveva'vinto le seduzioni 'avventuristiche del febbraio del '34, Io bollava come «un regime tout court liberticida», «confiscatore di tutte le libertà», «oppressore della magistratura e delle autonomie», tale da evocare solo i peggiori aspetti del secondo Impero. L'analisi di Milza, cinquantanni dopo, va più in profondità. Risente anche degli approfondimenti italiani, di un De Felice per esempio. Il fascismo è la rottura di un certo complesso di valori, il rifiuto di un certo modo di pensare e di vivere su cui si innestano movimenti e ideologie proiettati verso un indeterminato avvenire: nazionalismo, sindacalismo rivoluzionario, anar- ugrdvqp chismo, futurismo, blanqui smo. Perché questa corrente mi noritaria, alla vigilia del primo conflitto mondiale, si trasfor in un potente movimento di massa, occorreranno varie condizioni destinate a coagunel miscuglio chiamato appunto «fascismo» : l'aggravarsi della situazione delle classi medie in parte minacciate dalla proletarizzazione; le défaillances delle élites tradizionali davanti alle difficoltà etcscenti del sistema liberale; l'ascesa della nuova classe — il «quinto Stato» di salvatorelliana memoria — incubata dalla guerra e che si tecluta prevalentemente fra gli clementi meno integrati nella società post-bellica; il saldarsi infine dei grandi interessi privati con una soluzione autoritaria considerata quale male minore. La peculiarità di Italia Germania, anche per i rilevanti apporti e contraccolpi della prima guerra mondiale, rimane peculiarità. Vichy non più fascismo almeno in quel senso. Non lo è Horthy in Ungheria; non lo è neanche, almeno integralmente, Franco in Spagna. Ma la trasformazione delle tmoaer«e .società industriali è una sufficiente garanzia contro i rischi di un assurdo vitalismo irrazionalistico? L'interrogativo si scioglie, quella sera, nelle previsioni su Le Pen. Ma rimane un margine di dubbio, rispetto al timore del ritorno del mito della violenza, anche nella cultura, contagiosa e bivalente. E qualcuno ricorda a quel punto che il terrorismo è per molti aspetti legato ai «fascismi» (terroristi non erano forse le «guardie di ferro» in Romania?). Si distende sull'incontro parigino l'ombra delle guardie rosse e delle guardie nere. 11 trionfo della ragione, nel mondo di oggi, è tutt'altto che assicurato. Giovanni Spadolini Il generalissimo Franco visto da David Levine i (Copyright N.Y. Iteview of Boote. Opera Mundi e per ntalia .La 8tampa.)