Anfitrione e Giove nel labirinto di Kleist

Anfitrione e Giove nel labirinto di KleSst Al Nuovo l'ultimo allestimento della Rocca Anfitrione e Giove nel labirinto di KleSst TORINO — Alcmena fila al telaio, sospesa dal suolo, come un sogno. Immaginiamo faccia cosi tutte le sere, da quando lo sposo Anfitrione è partito per la guerra, e supponiamo che, con l'andirivieni della spola, misuri il tempo dell'attesa e lintensità del desiderio. Ed ecco, nella luce incerta della stanza, apparire Giove. Ha assunto l'aspetto di Anfitrione, si avvicina ad Alcmena, si cMna sulla sua nuca, la bacia. Questa scena fuori testo, posta ad aprire /'Anfitrione di Heinrich von Kleist presentato al Nuovo dal Gruppo della Rocca, annuncia e condensa il tema del doppio e della perdita d'identità sviluppato da Kleist. Inoltre rende subito evidenti le intensioni registiche di Guido De Monticelli, quel suo sdipanare fili e fili che, col procedere dell'azione e l'aggrovigliarsi degli eouiuoci, finiscono per creare un labirinto, il luogo di tutti gli inganni dove l'anima si smarrisce. Il telaio diventa perciò il monumentale emblema di questo spettacolo denso e lieve, tormentoso e buffonesco: il telaio, suprema metafora del sentimento umano, tessitore di passioni. E la scena di Paolo Bregni è tutta un pullulare di queste macchine abnormi, invadenti, che seguono percorsi trasversali e verticali, dilatano e restringono lo spazio, lo ridisegnano diventando così comprotagoniste della commedia. Scritto tra il 1805 e il 1806. Anfitrione doveva essere in origine una traduzione del testo molleriano. Ma, traducendo, Kleist si fece prendere la mano e fini con lo scrivere un'opera originale, poco amata da Goethe ma esaltata da Thomas Mann. Nel mito di Anfitrione soppiantato temporaneamente da Giove nel letto di Alcmena, Kleist innesta elementi drammatici di sorprendente modernità. Certo, la parodia del mito è ancora avvertibile nei dialoghi buffoneschi tra Sosia e Mercurio, ina il resto è un'acuminata analisi del contrasto tra verità e apparenza. Diventano lontanissime le strizzate d'occhio di Molière, che in GioiftfltiBMntf i* NJftBplflgyolg iniiamorMo'di una dama' di cor>| te. ' } ' m Giove è per Kleist un nume solitario, bisognoso d'amore umano. Anfitrione è l'uomo che lotta col proprio doppio e Alcmena è la fragile creatura die assiste al naufragio della propria identità. Chi ha amato, in quella notte misteriosa? Il cuore le suggerisce Anfitrione, ma la ragione la smentisce: il diadema avuto in dono dall'ambiguo amante porta inciso il monogramma G. Dunque il suo cuore si sbaglia e dunque non esiste più. per lei alcuna verità. De Monticelli presenta questo precipitare verso la dissoluzione di sé con un concertato d'attore nel quale eccelle per varietà di registri Dorotea Aslanidis (Alcmena) e s'impongono per umorosa godibilità farsesca Giovanni Boni (Sosia) e Lino Spadaro (Mercurio). Ammirevoli per misura l'Anfitrione di Ireneo Petruzzi e la Caris di Loredana Alfieri. Avremmo voluto da Giorgio Lama un Giove non cosi monocorde, ma questo e qWalche lieve rallentamento del ritmo non hanno attenuato il cordialissimo successo finale. Osvaldo Guerrieri Ireneo Petruzzi (Anfitrione) e la Aslanidis (Alcmena) al Nuovo

Luoghi citati: Alcmena, Torino