Si prepara il piano di rientro per i diecimila italiani in Libia di Liliana Madeo

Si prepara il piano di rientra per i diecimila italiani in Libia Si prepara il piano di rientra per i diecimila italiani in Libia Da ieri l'evacuazione è considerata possibile, anche se finora la nostra comunità non ha subito danni ROMA — Di evacuazione, secondo i piani di sicurezza da tempo predisposti, si è incominciato a parlare nel pomeriggio di ieri fra i nòstri connazionali che si trovano in Libia. L'ansietà e le preoccupazioni sono andate crescendo col passare delle ore. Sono circa diecimila gli italiani che lavorano nel Paese, e non costituiscono una comunità omogenea perché sono sparpagliati in diverse località anche lontane da Tripoli e le comunicazioni — a metà della giornata — sono diventate difficoltose o sono state del tutto interrotte fra Libia e Italia. Alle 12 di ieri l'ambasciatore italiano a Tripoli, Giorgio Reitano, diceva: «Lo città riprende a vivere. La nostra comunità non ha subito danni: Nella ricostruzione della notte di fuoco e di paura, aveva messo in luce «te forti esplosioni intorno alle 2, il rombo degli aerei e gli spari delle contraeree, poi — verso le 4 — di nuovo esplosioni sema che il cielo fosse attraversato dagli aereU. L'immagine della città che egli presentava era questa: «Dalle 2 di notte sto alla finestra, e non vedo niente di drastico. I danni sono stati riportati in zone distanti. I france¬ si, per i danni riportati dalla loro ambasciata, ci hanno chiesto solo una mano dal punto di vista tecnico». Egli non aveva mai fatto ricorso a toni allarmistici. Circa la paura che poteva aver assalito i nostri connazionali, e le loro eventuali richieste di rientro, l'ambasciatore Reitano si era limitato a dire: Sono tutti bravissimi». Anche da un campo di nostri lavoratori, un centinaio di dipendenti della Sirti, circa dieci chilometri a Est di Tripoli, per tutta la mattinata sono giunte notizie complessivamente rassicuranti. L'ing. Piergiovanni, che coordina il campo, era stato raggiunto telefonicamente dalla società e dai giornalisti. Non ci sono stati danni. L'ingegnere ha detto: 'Quanto è accaduto non ce l'aspettavamo. Pensavamo che la situazione si calmasse. La gente è un po' nervosa. E noi abbiamo ridotto le attività all'esterno del campo. Fino ad. ora, comunque, i rapporti con le autorità libiche sono molto buoni». Ma la situazione è andata peggiorando nel corso della giornata. Anzitutto si è incominciato, a Tripoli, ad avere un quadro più preciso dei danni, dei morti, delle atroci ferite nel tessuto della vita civile della città. «Ognuno di noi — aveva detto durante la mattinata padre Carlo, del Vicariato apostolico di Tripoli — conosce solo ciò che è ac¬ caduto nella propria sona e nella propria comunità. Tutti gli stranieri hanno avuto l'indicazione di fare riferimento alla propria ambasciata». Nievo Scamolla, responsabile commerciale dell'Alitalia a Tripoli, ha detto che — qualora lo spazio aereo fosse riaperto — la Compagnia di bandiera italiana sarebbe in grado di far fronte alle richieste di rientro dalla Libia. Di evacuazione avevano già incominciato a parlare altre comunità straniere a Tripoli. La scuola tedesca della capitale libica era rimasta chiusa già lunedi, e l'ambasciata della Germania Federale aveva predisposto il rientro, entro una settimana, dei figli e delle mogli dei cittadini tedeschi residenti nel paese. Il consolato della Gran Bretagna — che a Tripoli rappresenta gli interessi di circa cinquemila cittadini britannici — aveva espresso «serie preoccupoarfoni» per il futuro di quanti sembravano decisi a non lasciare la Libia. •Ritengo che siamo tutti in serio pericolo — aveva detto lunedi un diplomatico asiati co —. Nel caso che il confron to si acuisca, credo che per questa gente l'immunità diplomatica non avrà alcun va lare». Il compito dell'ambasciata italiana si è andato via via definendo nella sua complessità. Non è semplice un piano di evacuazione che riguarda decine di migliaia di persone, e attrezzature tecniche, impianti in via di realizzazione. Sono 42 le società presentì sul territorio- libico. Ci sono molte famiglie; con donne e bambini, e scuole italiane, insegnanti. La dislocazione degli italiani è a raggiera. Del gruppo Eni 52 lavoratori più 46 familiari si trovano a Tripoli; 32 persone - a: Raslanuf, una località sul Mediterraneo dove si trova una raffineria; 59 dipendenti a Bu-Attifel lavorano per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero. Dell'Impresit sono in Libia un centinaio di dipendenti, che operano a Tobruk, Homs, Misurata. Nessuno ha segnalato danni. Ma a partire dal pomeriggio le linee telefoniche hanno reso praticamente irraggiungibili sia i campi di lavoro sia le nostre rappresentanze di plomatiche. E' stato allora che il conto alla rovescia sul rimpatrio dei nostri connazionali ha preso un andamento colmo di inquietanti interrogativi. Liliana Madeo

Persone citate: Giorgio Reitano, Nievo, Piergiovanni, Reitano