C'è un'altra lunga marcia è quella del marco tedesco di Mario Ciriello

C'è un'altra lunga marcia è quella del marca tedesca Le ragioni di un miracolo (con l'inflazione allo 0,1 per cento) C'è un'altra lunga marcia è quella del marca tedesca DAL NOSTRO corrispondente BONN — Il 20 giugno 1948, un anno prima della nascita della Repubblica Federale, le tre potenze alleate ritirarono il vecchio Reichsmark e consegnarono a ogni tedesco 40 nuovi Deutschemark. Quaranta e basta. Chi ne avesse voluti di più avrebbe dovuto attendere e dichiarare prima ogni suo bene. Da allora, da quella terapia d'urto, che impoveri ancor più milioni di tedeschi, ma che iniettò nella devastata economia una moneta agile e sana, il marco è stato rivalutato dodici volte. L'ultima, pochi giorni fa. Lo stesso giorno, l'inflazione scendeva allo 0,1 per cento. Evaporava. Una volta di più, il mondo poteva soppesare la maestosa ricchezza tedesca, poteva ammirare la muscolatura di un'economia che avanza, inarrestabile, da quasi quarantanni. Da oltre un secolo, anzi, dal 1860, quando la Germania cominciò a far breccia nella supremazia industriale britannica. Neppure due guerre mondiali, volute e perse, neppure la scissione del territorio nazionale, nulla ha frenato la marcia di questa macchina eccezionale. All'alba degli Anni Settanta, i futurologi, che erano allora di moda, vaticinarono che il primato tedesco non sarebbe durato oltre l'80. quando la Francia, più fantasiosa, più pugnace, più tecnologica, sarebbe scattata all'avanguardia. Non è avvenuto. E la profezia ammuffisce in archivio. Questa ricchezza tedesca diviene ancora più mirabile se si cerca di scoprirne le ragioni. Perché la Repubblica Federale continua a saettare in un'orbita irraggiungibile dalle altre nazioni del Vecchio Continente? Perché questo «miracolo», più o meno permanente, che non si esaurisce in deliri pio dimivi, ma si manifesta in continuità e stabilità? I tedeschi Anni Ottanta non sono più laboriosi degli altri europei, tutt'altro, sono tra i primi in Occidente per ferie, malattie, riposi e assenteismo. Le nuove tecnologie, allora? No. Le adottano con cautela, con diffidenza quasi. L'agilità del capitale? Nemmeno. Le nuove aziende faticano talvolta a trovare investitori. Il segreto della Germania risiede nell'armoniosa architettura dell'intero edificio nazionale. Spieghiamoci meglio. Si pensi a uno spettacolo teatrale in cui tutti gli attori recitino correttamente la propria parte, e in cui non vi siano né primedonne, né gigioni, né cani. Ecco la Repubblica Federale, imperfetta come ogni società umana, ma meno delle altre. L'industria brilla, perché non deve logorarsi contro l'inefficienza o l'indifferenza; è soltanto un congegno di un orologio in cui tutte le ruote e le molle funzionano scorrevoli, fidate. Dallo Stato federale alle Regioni, con i loro ampi poteri; dalle banche ai sindacati; dalla polizia alla magistratura; dal servizio sanitario alle scuole. Dal settore pubblico al privato. Le avarie esistono e non sono superficiali (atenei troppo affollati, ferrovie buone ma iperpassive, un Welfare State troppo costoso: la lista è lunga), ma non ostacolano, in misura eccessiva, la navigazione del vascello nazionale. La maggiore efficienza collettiva rende più facile tutto per tutti. Un direttore di banca spiega: «Da noi non si lavora più che altrove, con ogni probabilità meno. Ma, per istinto, per inclinazione e per educazione, tutti cercano di far bene il proprio dovere. Risultato: meno fatica e maggior rendimento». L'imprenditore italiano si spossa per vincere, o convincere, la burocrazia, il businessman inglese per difendersi da un fisco tanto aggressivo quanto maldestro. L'imprenditore tedesco Mario Ciriello (Continua a pàgina 2 In quinta colonna)

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