Nel «vicus»

Nel «vicus» Nel «vicus» Ed è Paolo IV che con una bolla del 1555 regola chiaramente a Roma e in altre città pontificie un quartiere separato per gli ebrei, fornito di un unico ingresso e unica uscita: il vicus Iudaeorum, il ghetto già in uso da tempo fra il Campo dei Fiori e l'Isola Tiberina, comunicante attraverso ponte Sisto con l'altro insediamento ebraico in Trastevere. Negli archivi romani si trovano ancora le note di pagamento, nell'inverno del 1555, all'architetto Silvestro de Peruzzi «prò fabrica muri prò claudendo ludaeos».- una clausura che durerà sino alla firn del potere temporale. A leggerle, le descrizioni che si hanno del ghetto romano sembrano nascere da e indurre a cattiva letteratura: vecchi edifici fittamente abitati, un intrico di tetre viuzze, la piazza detta Campo dei Giudei o, anche li come a Venezia, Giudecca. Sugli antichi ruderi s'installava e brulicava un popolo miserabile; il pesce pescato nel vicino Tevere era esposto sopra le lastre di marmo del portico di Ottavia, gioiello dell'architettura augustea; nelle grotte del teatro di Marcello tenevano banchi e botteghe i mercanti e gli artigiani, o pericolose fattucchiere. Le arti magiche, gli scongiuri, la divinazione sembrano specialità di quegli infedeli, che con esse spingono molti sulle tracce di tesori nascosti, di ladri e di chimere. Anche l'Ariosto non fa del suo Negromante un giudeo d'origine, «di quei che furo cacciati di Castina», un ebreo errante che sema sapere leggere né scrivere si spaccia per alchimista e con una gran faccia di marmo raggira i gentiluomini ancor meglio che i frati e le vedove? Si legge tutto questo nella Roma cinquecentesca, e sembra di leggere Giovenale un millennio e mezzo prima, \ quantob-flipingeva le,$gm nò-Roma coi loro s©rH(elJ#¥«; Marziale, che ne fa dei piccoli lestofanti istruiti dalle madri a mentire sin dall'infanzia. Pio V arriva così a espellere anch'egli gli Ebrei dallo Stato pontificio, con la sola eccezione di Roma e di Ancona, accusandoli di essere degli adescatori travestiti da venditori ambulanti e degli usurai che dissanguano i bisognosi e riciclano i frutti di rapine. Contemporaneamente cerca e trova le vie per convertirne davvero un buon numero. Manda due frati a tener loro regolarmente delle prediche e istituisce, con afflusso straordinario di postulanti, il convento dell'Annumiata per ragazze ebree che vogliano monacarsi. Il suo successore Gregorio XIII è più mite, ma regola con abilita consumata le procedure dell'Inquisizione. Spiega che l'inquisitore è autorizzato a procedere anche contro questi infedeli là dove essi manchino alla fede nelle verità che hanno in comune coi cristiani, quella ad esempio dell'unità o onnipotenza di Dio; oppure quando prestano culto al demonio, o quando bestemmiano Dio, che è tanto loro quanto cristiano. Conferma pure la proibizione ai medici ebrei — la medicina era un'arte da loro straordinariamente curata — di assistere un ammalato cristiano. A quei tempi gli ebrei romani erano alcune migliaia, 3500 secondo un censimento tenuto sotto Clemente Vili all'inizio del Seicento. Il loro riscatto è ancora lontano. Ed anche quando arriveranno la Rivoluzione francese e Napoleone, saranno ancora una parentesi. L'invocazione volterriana alla tolleranza, condita di sopraffini sberleffi anche per quell'antica tribù credula e crudele ma tollerante, si fa strada lentamente e fra tenaci sospetti.

Persone citate: Ariosto, Clemente Vili, Gregorio Xiii, Paolo Iv, Peruzzi, Pio V

Luoghi citati: Ancona, Roma, Venezia