I nuovi centauri di Aldo Rizzo

nuovi centauri ULTIME NOTIZIE SUL POTERE MILITARE nuovi centauri • Il caso più recente è quello delle Filippine. Fu una rivoluzione o un colpo di Stato? Chi opta per la rivoluzione porta ad argomento la straordinaria mobilitazione popolare, «non violenta» per la sua prevalente ispirazione cattolica, e tuttavia pressante e influente sulla decisione ultima di Marcos di &bandonare il potere. Chi è kt il colpo di Stato (o meglio per il contrc-colpo di Stato, perché ce n'era già uno permanènte, da parte del regime autoritario) sottolinea il Sattere risolutivo dello spomento di campo di uominichiave delle Forze Armate, come Enrile e Ramos. Certo, uria storia complessa, piena di sfaccettature, nella quale è però innegabile che i militari abbiano svolto un ruolo essenziale. Del resto è sempre cosi nelle crisi di regime, soprattutto nel Terzo Mondo, dove i militari sono il puntello delle situazioni autoritarie, quando non ne sono i protagonisti diretti, e in conseguenza sono essi stessi a decidere il come e il quando del cambiamento. Filippine a parte, negli ultimi ttent'anni, cioè in pratica nell'arco di storia complessivo del Terzo Mondo, inteso come Paesi di recente indipendenza, il numero degli interventi politici delle Forze Armate, in un senso o in un altro, è pressoché incalcolabile. Nella sola Africa sono stati più di sessanta i colpi di Stato coronati da successo, per tacere di pronunciamenti e sedizioni di minore portata. In tutto il Terzo Mondo, almeno due Paesi su tre hanno avuto un problema con i militari, in termini di controllo del potere politico. Naturalmente questo dipende dalla debolezza intrinseca, dove più e dove meno, del le strutture «civili», alla quale si, contrappone la forza, comunque maggiore, delle strutture militari. A questo riguardo, gli osservatori e gli studiosi sono divisi da un problema èjarrìebolezza del potere civile, ad attrarre e a stimolare il potcwìniiliiarc, oppure (ibil'arrói* ganza,, diciamo cosi autonoma, del secondo a provocare o almeno ad aggravare la fragilità del primo? Esistono casi di ogni genere, ma è-chiaro che in uno Stato dove il potere civile sia solido, in senso democratico, c'è poco spazio anche per il più arrogante e intraprendente dei gruppi dirigenti militari. Il problema fu posto, già negli Anni Trenta, da Curzio Malaparte in un libro famoso, uscito per la prima volta in Francia perché sgradirò, pour cause, all'Italia fascista: Technique du coup d'Eiat. Malaparte, senza pensare allora, ovviamente, al Terzo Mondo, ma agli Stati moderni in generale, sosteneva che anche il più organizzato di essi fosse vulnerabile da parte di una cospirazione militare, che lo colpisse nei suoi gangli tecnici vitali (comunicazioni, trasporti, servizi vari). L'esempio classico era quello degli uomini di Trockij che avevano paralizzato in una notte Pietrogrado, dando un decisivo contributo tecnico alla rivoluzione politica dei comunisti. In anni più recenti, questa tesi è stata riproposta, con minore talento letterario, ma con più abbondanza di dettagli operativi, dà un polemologo di origine romena, che poi ha fatto fortuna in ' America, Edward Luttwak. Ne è nato, addirittura un manuale per aspiranti golpisti, ristampato in Italia da Rizzoli (Strategìa del colpo di Stato). Sorretto da un'ironia ambigua, ma forse pedagogica, il manuale di Luttwak ' comprendeva tabelle e,disegni circa le forze da impiegare e il modo di impiegarle. Resta che qualsiasi lezione di golpismo, seria o semiseria che sia, è sterile e inutile di fronte a un potere civile che non riveli vuoti e intermittenze, in qualsiasi parte del mondo. Al «potere militare nelle società contemporanee» fu dedicato qualche tempo fa a Torino un convegno internazionale di studi, organizzato dalla Fondazione Basso con la collaborazione della Regione e della Provincia. I «materiali» di quel convegno, i principali, sono stati ora pubblicati, sotto lo stesso titolò, dal Mulino, con una presentazione di Franco Zannino e una conclusione dì Gianfranco Pasquino. Chi' voglia approfondire questo o qscdsgatLgaAclprecldcvctcdg quell'aspetto del problema, in senso geografico, storico e sociologico, troverà un'abbondanza di dati, analisi e spunti, sui quali riflettere. Rispetto a quando il convegno si tenne (dicembre 1983), alcune situazioni sono cambiate. Per esempio in America Latina, fortunatamente in meglio. E del resto il convegno anticipava quest'evoluzione. Altrove, come in Africa, non è cambiato niente, o addirittura la situazione è peggiorata. Ma, più ancora degli interventi diretti dei militari nella politica, cioè dei colpi di Stato o dell'influenza decisiva sui cambi di potere, il volume nel suo complesso registra un fenomeno più sottile e sfuggente, però forse più' influente sui destini complessivi del mondo in cui viviamo: quello delle lobbies, cioè dei gruppi di pressione, militari o filomilitari, che agiscono in vari Paesi, e anche nei due più importanti, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. L'azione di questi gruppi viene vista e giudicata nel contesto della sfida «bipolare», tra i due massimi centri di potenza del mondò, una sfida che oggi tocca i più alti livelli della tecnologia e coinvolge giganteschi interessi economici. Ne consegue un ruolo crescente sia dei gruppi militari alla «periferia» del sistema bipolare, o bi-imperiale, sia dei complessi militari-industriali all'interno delle superpotenze, secondo.una linea generale che viene definita di «mi- litarizzazione della politica». Naturalmente, anche questo problema delle lobbies è tutt'altro che inedito. Basti dire che la stessa espressione «Military-Industrial Complex» fu coniata da Eiscnhover, alla scadenza del suo mandato, quasi un promemoria per un successore che si chiamava Kennedy. Da allora vi sono stati dedicati un'infinità di studi, a partire da quello di Galbraith. Più controverso è il caso del complesso militare-industriale sovietico, che tuttavia esiste, ovviamente nei modi specifici di quel sistema. Ma, secondo l'osservazione di David Collingridgc, relatore sul tema «Potere militare e ricerca scientifica», la continua rincorsa tecnologica tende sempre più difficile, o addirittura «impossibile», il controllo «politico» della gara di potenza, perché la logica dell'equilibrio, nell'età nucleare, non tollera margini di dubbio o «finestre di vulnerabilità», questo sempre più consente alle lobbies militari di dire, o di tentare di dire, l'ultima parola. E Gianfranco Pasquino, nelle conclusioni del volume, quasi echeggiando in chiave tecnocratica il pericolo del 2otere invisibile» denunciato . Bobbio in chiave generale, per tutte le democrazie, teme che la strategia nucleare, «con le sue rivendicazioni di complessità, con le site necessità di segretezza», finisca per condurre a sistemi «dominati da nuovi centauri», ossia personaggi «civili con istruzione e mentalità militari», oppure «militari con legittimazione e potere civili». E sembra un identikit del generale Abraham son, direttore del programma delle «guerre stellari», o del suo collega sovietico, se non fosse che Abrahamson, almeno, è una persona nota e accessibile. Però è lo stesso Pasquino a mettete in guardia contro «traumatizzanti pessimismi» e a ricordare che, sempre e comunque, ai livelli della più alta e sfuggente tecnologia corné'^elli della ^ùff^ meritare1 ^contesa di potere,''!' militari «sono una variabile dipendente del funzionamento complessivo del sistema». Come dire che in nessun caso il potere civile può dichiararsi vittima incolpevole dell'arroganza militare. Insomma un vecchio, eterno problema, che i dati della storia aggiornano e reinventano, a uso di ogni democrazia che voglia difèndersi. Aldo Rizzo