Jugoslavia malata di Kosovo di Frane Barbieri

Jugoslavia malata di Kosovo Due anni fa c'è stata la rivolta degli albanesi, ora sono i serbi a sentirsi non protetti nella regione Jugoslavia malata di Kosovo Al problema esistenziale del Paese, il contrasto tra le sei Repubbliche nazionali (in primo luogo tra la Serbia e le altre), ora si aggiunge la conflittualità all'interno della stessa Repubblica serba - La regione in cui Tirana ha soffiato sul fuoco dell'autonomismo albanese è la culla dei serbi - A ottanta chilometri dalla frontiera bulgara l'area calda della Federazione jugoslava pone anche seri interrogativi internazionali Due anni fa c'è stata la rivolta degli albanesi del Kosovo. Lunedì c'è stata la marcia dei serbi del Kosovo su Belgrado. Non è casuale, i due avvenimenti nascono uno dall'altro. Gli albanesi della regione inglobata nella Repubblica della Serbia rivendicavano un'autonomia più forte. Volevano una Repubblica federata a se stante, la settima della Jugoslavia. Non l'hanno ottenuta ma, in conseguenza della crisi, il governo serbo è andato man mano perdendo il potere nella «propria» regione autonoma. Di conseguenza, chi oggi si sente meno protetto sono i non albanesi (serbi e montenegrini) della regione. Un venti per cento della popolazione. Negli ultimi due anni decine di migliaia hanno abbandonato lavoro, case e terre per trasferirsi nella Serbia «ristretta» e per lo più sicura. Sostenevano di essere stati costretti con pressioni e minacce a vendere le proprietà agli albanesi e trasmigrare. Le loro denunce alle autorità locali, ormai dominate dalla maggioranza albanese, rimanevano senza risposte o ottenevano risposte negative, a volte minacciose. Ora, siamo all'episodio culminante: i serbi hanno preparato una petizione al governo federale in difesa dei loro diritti e della loro «stessa esistenza», raccogliendo centomila firme. Ma come, in prima istanza, la petizione compete agli organi regionali i promotori per tutta risposta si sono trovati in carcere sotto l'accusa di «fomentare l'odio nazionale e tramare contro l'integrità dello Stato». Esattamente la stessa accusa mossa due anni fa contro i rivoltosi albanesi, questa volta rovesciata. Se il problema esistenziale della Jugoslavia era e rimane il contrasto fra le sei Repubbliche nazionali, in primo luogo fra la più grande Serbia e le altre, ora se ne aggiunge uno nuovo: la conflittualità nella stessa Repubblica serba, che è nell'impossibilità di consolidare la propria «federalità» nel quadro della Jugoslavia fede- rata. La più grande come nazione e come Stato, la Serbia precipita in una crisi frustrante, a caratteri stòrici, sentendosi rimasta nelle riforme costituzionali «la meno uguale fra le sei Repubbliche uguali». Un problema ingarbugliato («l'Ulster jugoslavo», lo chiama il londinese Times con qualche forzatura anglocentrica) che richiede un passo indietro, nella storia, per essere compreso meglio. La regione del Kosovo è la culla dello Stato serbo, della prima dinastia, sede tuttora del patriarcato della Chiesa ortodossa serba. Nel Kosovo si svolse anche la battaglia che segnò il crollo storico del regno serbo e l'inizio di cinque secoli di dominio turco. In seguito alla sconfitta i serbi, condotti dai patriarchi dell'epoca, emigrarono verso il Nord, nelle zone cristiane. Così la nascita della Jugoslavia trovò già la zona a maggioranza albanese, dominata però e repressa dai serbi, anche perché estremamente arretrata. La situazione non cambiò di molto neppure durante e dopo la rivoluzione, malgrado un'importante presenza di albanesi nel partito comunista jugoslavo. Nel primo periodo del centralismo, ispirato da Rankovic, leader serbo, ministro degli Interni e braccio destro di Tito, poi emarginato, la regione del Kosovo con le sue mire autonomistiche è stata tenuta sotto controllo, con la forza e spesso l'uso della repressione. La caduta di Rankovic e la spinta riformistica «kardeljista», in preparazione del dopo-Tito, trasformò gradualmente la regione del Kosovo in una entità autonoma vera e propria. Con una spinta all'au¬ tonomismo tutta particolare. I dirigenti dei gruppi cosiddetti nazionalisti nel partito croato e nel partito macedone (si menzionano Tripalo e Crvenkovski) avrebbero incoraggiato il dirigente del partito del Kosovo Bakali a chiedere ed applicare il massimo di autonomia, fino alla Repubblica separata, per ridurre la Serbia geograficamente e politicamente «fra due fiumi, il Danubio e la Morava». Il disegno formalmente non è andato in porto. Ma. in pratica, la Serbia si vede e si sente «ridotta». Un marchingegno della nuova Costituzione, per esempio, porta il rappresentante del Kosovo direttamente in tutte le presidenze collettive della Federazione (il prossimo capo dello Stato jugoslavo sarà albanese) a pari diritti con i rappresentanti delle Repubbliche. La Serbia, di conseguenza, comunica tramite il centro federale con la propria regione, invece di essere là regione a comunicare con la Federazione, tramite la Repubblica cui appartiene. . La simmetria, tutt'altro che formale, causa scompensi politici nella Serbia, la quale si sente a tutti i livelli osteggiata dai «kosovari»: rivincita storica e strumento di battaglia attuale contro l'esuberanza serba. Scattano così rancori ancestrali e allarmi nuovi. La Serbia si considera estromessa dalla propria culla tradizionale (tutti i valori e i monumenti storici si trovano in quella regione). La frustrazione diventa allarme in quanto i serbi, anche senza l'esodo degli ultimi tempi, stavano scomparendo nella zona per ragioni demografiche: gli albanesi crescono del 28 per mille contro la me¬ dia serba e jugoslava di 3 per mille. Nel giro di pochi decenni diventeranno ad ogni modo uno dei più grandi raggruppamenti nazionali della Federazione. In più, non slavo: fatto che accentua il loro isolamento e una specie di autosegregazione. Una malaccorta applicazione del principio della completa autonomizzazione delle componenti del conglomerato jugoslavo ha cancellato per esempio l'obbligo di studiare la lingua serbo-croata, maggioritaria, nelle scuole delle altre regioni e Repubbliche. Fra sla¬ vi, il risultato non è stato nefasto perché fra slavi ad ogni modo ci si capisce, ma fra albanesi ha prodotto nuovi steccati culturali e nazionali., La regione, in conseguenza di uno sviluppo forzato, ha uno degli indici più alti di studenti fra tutti i centri jugoslavi. Sforna laureati oltre le esigenze locali, i quali poi, per la mancata conoscenza della lingua e della cultura slava, non possono cercare né trovare lavoro nelle altre Repubbliche. A parte che, per blocchi mentali, forse non lo cercherebbe¬ ro neanche e forse non sarebbero neanche bene accolti. Fatto sta che la «campagna culturale e educativa» nella regione retrograda ha portato alla compressione nazionalistica e all'isolamento, invece che all'integrazione. E' il punto in cui si innesta l'azione dell'Albania, quella «vera», di Enver Hoxha. L'emancipazione del Kosovo era concepita, nel quadro della riforma titoista, come un elemento di contrasto e di concorrenza con lo stalinismo persistente della vicina fortez- za isolata: una vetrina per dimostrare la superiorità di un libero sviluppo culturale, nazionale ed economico in contatto con il mondo attraverso il composito concerto federale della Jugoslavia L'effetto è stato, se non proprio il contrario, ad ogni modo non quello prospettato. Dal relativo isolamento culturale e dal persistente sottosviluppo economico (molto al di sotto di quello jugoslavo anche se superiore all'alb'anese) è nata parados salmente un'attrazione verso la «madrepatria». In certi aspetti ispirata al possibile riscatto dell'Albania dallo stalinismo, per opera degli albanesi jugoslavi, ma, più genericamente ispirata anche alla nostalgica tendenza verso la confluenza nazionale. Emerge cosi in seno alla Jugoslavia titoista un irredentismo albanese stalinista, non privo di sfondi e di leve ideologiche paramarxiste. E' stato formato nel Kosovo clandestinamente anche un partito comunista albanese di segno stalino-hoxhista. Ai fu nerali di Enver Hoxha la vedova del capo storico depose solennemente sulla bara una bandiera «tessuta e inviata segretamente dai fratelli soggiogati del Kosovo in segno di fedeltà e di speranza di liberazione». A Belgrado si sospetta poi che ci sia un intreccio fra il potere socialista locale e le vecchie strutture patriarcali degli skipetari del Kosovo, con vasti interessi anche economici. Gli albanesi jugoslavi sono 1,2 milioni, un terzo dell'intera nazione albanese. «Kosovo repubblica» — lo slogan degli irredentisti — non potrebbe che aprire in una prospettiva non troppo lontana la questione dell'autodeterminazione. Ci sarebbero due Stati albanesi, uno accanto all'altro. Uno non potrebbe esprimersi dalla spinta all'unificazione nazionale, e non importa da che parte la spinta verrebbe: se da Tirana, significherebbe amputare una buona parte della Jugoslavia; dal Kosovo significherebbe sbilanciare con un forte elemento non slavo (diventerebbe la seconda Repubblica e la seconda nazione per forza) la Federazione jugoslava. Nel senso geografico e strategico la Jugoslavia si troverebbe poi spezzata in due parti da una fascia albanese. I confini del Kosovo si avvicinano a quelli bulgari fino a soli 80 chilometri. Nel momento di tensioni e di pressioni si scoprirebbe proprio qui il tallone d'Achille dello Stato di Tito. -Che non si sia nelle sfere della fantapolitica lo dimostra il fatto che l'unico trattato fra quelli non disdetti da Tirana dopo la rottura del 1961 con i Paesi del Patto sovietico è sta to singolarmente il Trattato con Sofia. Nel Kosovo la Jugoslavia aveva messo alla prova tutti i suoi principi autogestionari sorti dal rigetto dello stalinismo: ora, una crisi le scoppia fra le mani. Colpa dei principi o delle inadempienze? I giornali e i partiti delle rispettive Repubbliche non sono concordi nella risposta. Le interpretazioni anche dell'ultimo episodio di lunedì, della marcia dei serbi del Kosovo su Belgrado si differenziano profondamente. Per gli uni si tratta di «provocazione nazionalistica», per gli altri di «autodifesa nazionale». Significativo, e preoccupante, che la distinzione passi fra i giornali serbi e quelli delle altre Repubbliche. La Fede razione «federata» per certi versi era naturale che si creasse in contrasto con il centrali smo e «l'unitarismo» serbo, ma difficilmente potrà consolidarsi senza il concorso convinto della Serbia o addirittura nelle pressioni permanenti contro la Serbia. Frane Barbieri

Persone citate: Crvenkovski, Enver Hoxha