Sudan, pianeta di frontiera di Mimmo Candito

Sudan, pianeta di frontiera Ansie e contraddizioni, nella difficile ricerca d'identità nazionale, dopo la fine della tutela pretoriana Sudan, pianeta di frontiera Il futuro del Paese, che sta votando per l'Assemblea Costituente, non lascia trasparire segni di ottimismo - Cerniera tra il mondo mediterraneo e quello continentale, tra i giochi destabilizzanti di Gheddafi e la politica panaraba di Mubarak, Khartum avverte tutte le tensioni che legano all'Africa e al Medio Oriente gli equilibri strategici delle grandi potenze - La difficile transizione con i militari, privi di un progetto politico per un reale confronto con la guerrìglia del Sud - La benevolenza saudita e del Fmi hanno finora evitato la bancarotta economica Si è cominciato a votare l'altro ieri, e si andrà avanti fino a metà mese, per eleggere la nuova Assemblea Costituente. Il Sudan del dopo-Nimeiri tenta i primi atti concreti d'una legittimazione del potere, ma il processo di normalizzazione politica appare tuttora contraddittorio e incerto; tra società e regime militare transitorio, e più ancora tra forze armate, partiti politici, organizzazioni sindacali e guerriglia, l'equilibrio delle rivendicazioni e dei diritti continua a restare molto dubbio: e 11 futuro del Paese che dovrà essere consegnato ai 264 nuovi deputati non lascia trasparire i segni d'ottimismo che dovrebbero accompagnare la fine d'una tutela pretoriana. I destini d'ogni Paese sono decisi molto spesso dalla sua geografia. Quelli del Sudan ne pagano certamente il cesto d'una influenza pesante, lungo la cerniera che nel tempo ha unito (o diviso) la storia degli Arabi e quella de gli Africani. Le due storie hanno avuto percorsi intricati, accompagnando in una cronaca di conquiste e di guerre d'egemonia l'espansione dei discendenti di Maometto verso le terre del deserti meridionali; ma è stato poi il dominio delle grandi potenze coloniali — quelle europee certamente, ma anche quella ottomana — a segnare la mappa sulla quale si sarebbero combattute e decise le sorti di popoli la cui identità era fissata dalla legge della tribù o dell'etnia ma non dall'ideologia dello Stato. Basta andare a Khartum e avere l'invito d'un residente inglese a una cena nella piscina del. Sudan Club per prendere dall'atmosfera solida e cerimoniosa del Circolo il valore concreto dei segni della storia. Grande otto volte l'Italia, esteso quanto nessun altro Paese in tutta l'Africa, il Sudan e il sogno dei suoi granai di sole erano destinati a restare nei gioielli imperiali della Corona britannica: e Londra aveva perciò deciso di consolidare dentro i confini del suo territorio anche terre, e popolazioni che sarebbe stato più logico (ma c'è poi una «logica» nelle scelte della politica di potenza?) attribuire invece al Kenya, o all'Uganda, o forse anche all'Etiopia, Ma questa difficile ricerca di una identità resterebbe 11 mitata alla storia «nazionale» del Sudan se non s'incrociasse con le tensioni che legano all'Africa e al Medio Oriente gli equilibri strategici delle grandi potenze. Il Sudan, cerniera orizzontale tra il mondo mediterraneo e quello continentale, è poi anche un confine longitudinale tra 1 giochi ambiziosi e destabilizzanti di Gheddafi e la cauta politica panaraba di Mubarak: col risultato che sulle sue basse pianure senza vento si riversano tutti i progetti diplomatico-militari che incrociano i territori del Sahel e 11 controllo delle rotte lungo 11 Mar Rosso. Se ai tempi di Nimeiri la scelta delle alleanze aveva alla fine determinato un allineamento lungo lo schieramento moderato e filo-occidentale, la caduta del maresciallo dopo i moti popolari di un anno fa ha rimesso in discussione le vecchie scelte riaprendo un'incertezza che lo spregiudicato dinamismo di Gheddafi tenta di coinvolgere e determinare a proprio favore. E i forti aiuti militari libici che fino all'aprile scorso reggevano la capacità di fuoco del fronte della guerriglia, ora sono diventati una linea di credito aperta con generosità da Tripoli verso il governo di Khartum, avversario d'un tempo. Una lettura, come dire ideologica dei fatti di quest'ultimo anno rischia di non comprendere le contraddizioni della società sudanese, appiattendo su un ipotetico profilo rivoluzionario l'abbattimento della dittatura di Nimeiri. Ma la presa del potere da parte del Consiglio Militare Transitorio è stata piuttosto la chiusura preventiva di qualsiasi sbocco radicale per gli scioperi e le manifestazioni popolari che nei primi giorni d'aprile avevano trascinato in piazza milioni di sudanesi (in verità, fu un fatto soprattutto di Khartum e delle grandi città del Nord). I militari si presero il potere per evitare che finisse nelle mani di quanti stavano organizzando la protesta; e lo presero con la consapevolezza che le scelte del Paese dovevano comunque tener conto del suo forte indebitamento, delle pressioni del vicini, dei rischi di smembramento che arrivavano dalle province meridionali. Non si può nemmeno dire che questa fase di transizione sia ora terminata. La decisione, l'altro ieri, d'interrompere il processo di «fusione» che Mubarak e Nimeiri avevano concordato quattro anni fa, cancellando in prati¬ pq ca gli istituti politici destinati a consolidarlo (il Consiglio supremo d'integrazione e il Parlamento della valle del Nilo) può essere anche considerata come una presa di distanza dall'Egitto; ma non può valere certamente come una scelta di campo filo-libica. Il potere del generale Swar al Dahab poggia, oltre che sul controllo delle forze armate, comunque decisivo, anche su un tentativo di equilibrare le pressioni che gli arrivano dalle componenti più attive della società: e tra queste, la pressione per una rottura col passato delle collusioni di Nimeiri è certa¬ mente una delle più forti. Questa rottura è stata finora piuttosto teorica, con un'epu razione assai limitata (meno di 200 arresti, quasi tutti in provincia) e con una linea politica di moderazione a tuttocampo; la scelta ora di sciogliere i legami sovrannazionali con l'Egitto pare un'operazione di facciata, che può soddisfare le richieste di molti avversari del vecchio dittatore senza però fare concessioni reali, di valore politico decisivo. Le stesse elezioni di questi giorni hanno un valore piuttosto limitato: non soltanto perché restano escluse dal voto quasi tutte le circoscrizioni del Sud, ma anche per la mancanza ancora di un progetto politico che renda possibile un confronto reale con l'Epls (Esercito popolare di liberazione del Sudan). La guerriglia del colonnello John Garang è infatti uno del quattro poteri reali del Sudan oggi, insieme al Consiglio militare, al Governo provvisorio, e all'Alleanza Nazionale; ed è un potere reale perché ha modificato la sua vecchia linea d'azione, ch'era di un rivendicazionismo sudista e tribale, per affermare invece con la concretezza delle azioni militari un programma di riforme radicali a livello nazionale. Il suo futuro è certo dipendente dalla consistenza di aiuti militari che può ricevere dall'estero, ma il suo radicamento politico si è ormai esteso al di là delle province meridionali e dopo aver «conquistato. l'Alto Nilo, Bhar al Ghazsl e Equatoria, ora muove la sua influenza sulle province del Darfur e del Kordofan. La linea di compromesso tentata con qualche fortuna dal generale Swar al Dahab dovrà comunque fare delle concessioni alle forze politiche che avranno vinto le elezioni di questi giorni: sia il Partito dell'Umma di Sadek al Mandi (pronipote del grande Mahdi), oppure il Partito democratico unionista, o il Fronte islamico, o anche il partito comunista. E queste concessioni dovranno tener conto delle spinte sempre più decise che muovono dai forti organismi professionali e sindacali, contropotere tradizio naie nella prima società po stcoloniale. La combinazione di questi programmi e di queste spinte non sarà un facile scambio politico, perché s'innesta su una realtà quotidiana deteriorata pesantemente dalla gravità della crisi economica. - Il Sudan è il Paese africano più indebitato, con quasi 11 miliardi di dollari da pagare a breve e medio termine, e con un esborso quest'anno che da solo vale quattro volte l'intero ricavato delle esportazioni dell'84. Se il disastro e la bancarotta hanno potuto essere evitati finora, questo è dipeso essenzialmente dai contributi e dalle generose donazioni dell'Arabia Saudita (e ora anche dal petrolio che gli regala la Libia), ma anche dalla politica di buona attenzione che ha mostrato di praticare verso Khartum il Fondo monetario internazionale. n generale Al Dahab sa bene quale ruolo abbiano gli Stati Uniti nel Fmi, e non ignora che l'aiuto americano al Sudan nell'85 e stato di 254 milioni di dollari, facendo di Khartum il secondo beneficiario di Washington in Africa, dopo II Cairo ma ben prima di Rabat e Mogadiscio. Anche se Gheddafi fa trasparire una voglia di grande generosità verso questo suo vicino tanto importante per i destini del Sahel e per gli equilibri interni egiziani, il Consiglio militare mostra di non volersi lasciare invischiare nella logica dei conflitti regionali, badando a costruire una sorta di non-allineamento che tenga margini di equidistanza tra Libia ed Egitto. La strategia inoltre di Gorbaciov in questa regione non pare aver scelto ancora linee di dinamismo accentuato, e la modifica dunque dei vecchi equilibri d'influenza resta rinviata casomai a un processo di ulteriori interventi, magari con un'azione congiunta tra Tripoli e Addis Abeba. Quello che c'è ora è soltanto una crisi drammatica, ac centuata dalla siccità, resa difficile da sedici anni di dittatura. I fattori di disintegrazione dell'unità nazionale restano forti, e numerosi; ma le scelte politiche che hanno portato alle elezioni di questi giorni sono l'avvio di una fase di recupero, che deve accettare anche i rischi di uno sviluppo contraddittorio e la moltiplicazione delle ingerenze straniere, lontane ma anche vicine. Mimmo Candito Merowe Omdurman SUDAN A IRRA Mediai ETIOPIA mM Khartum. Donne sudanesi alle urne: è la prima volta in diciotto anni (Telefoto Associated Press)

Persone citate: Gheddafi, Gorbaciov, John Garang, Kenya, Mubarak