Una Tripoli fìnta per giornalisti

Una Trìpoli fìnta per giornalisti L'arrivo nella capitale libica dopo la battaglia della Sirte * Una Trìpoli fìnta per giornalisti Indifferenza generale dietro le chiassose manifestazioni organizzate dal regime NOSTRO 8ERV1ZIO TRIPOLI — L'inganno comincia all'aeroporto. La fiumana di giornalisti sbarcata a Tripoli viene relegata in una sala arrivi addobbata a nostro uso e consumo: alle citazioni «permanenti* tratte dal Libro Verde del colonnello Gheddafi è stato aggiunto un nuovo florilegio di manifesti con scritte minacciose: «Lo sciatto e barbaro Reagan è un necrofilo»; la Central Intelligence Agency è «prima nella lista delle forze sataniche dell'imperialismo». Sfoderiamo i taccuini per gli appunti, e non avendo altro da fare per tre ore trascriviamo fedelmente gli slogan uno a uno. Poi, 1150 invia» di tutto ti mondo assistono, dall'albergo di Siato Al Kabir, a una «spontanea dimostrazione di libici»: gente ferma nella strada che scandisce In Inglese slogan anti-americani, ottimi per t microfoni delle radio subito sistemali sulle finestre, al piani superiori. Il culmine viene toccato venerdì pomeriggio, con un'altra manifestazione, questa volta all'esterno della caserma Aziza, residenza ufficiale di Gheddafi. I rappresentanti della stampa vengono scarrozzati, in un convoglio di pullman e auto, tra due ali di soldati, marinai, boy scout, •lupetti* e tgulde* In marcia per ascoltare ti «discorso delle due vittorie» pronunciato dal Colonnello. La prima vittoria è quella sugli inglesi, ritiratisi dalle loro basi militari in Libia 16 anni fa (la ricorrenza cade questa settimana); l'altra è quella sugli americani, che poche ore prima hanno lasciato il Golfo della Strte. La gente di Tripoli sospende soltanto per pochi a (rimi la sua attività per guardare le colonne in marcia e la sfilata dei giornalisti stranieri che sfrecciano via. Nella piazza antistante la caserma, le équipe televisive sistemano le telecamere. Ci sono inviati di tre reti americane, della tv sovietica, della Bbc e della Itn. Puntano su gruppi di bambini bene addestrati, che gridano slogan intonati dal captsquadriglia. Attorno a ogni telecamera, grappoli di ragazze e ragazzi, zelanti campane di vetro che le isolano da qualsiasi cosa che non siano le facce vocianti. Era il mio primo viaggio in Libia, ma capivo che la realtà era un'altra. A Tripoli l'entusiasmo per il verbo del Colonnello non è molto sentito. Sono andato a Slrte superando oltre dieci posti di blocco, e ho parlato con molti, e molto sospettosi Ubici. Nel Paese quello che impera non è l'entusiasmo popolare, ma la repressione dell'apparato poliziesco, e Itnsidia degli Informatori del Colonnello, che sono dappertutto. Tutte cose poco adatte alla televisione. Cosi, gli operatori si sono buttati sulle manife¬ stazioni. Al diavolo l'indifferenza della gente comune, come un'altra realtà poco fotogenica: il fatto che la maggior parte dei ragazzi in divisa reclutati per applaudire il discorso se ne stavano da parte con aria annoiata, presenti solo fisicamente. E intanto le telecamere riprendevano scene di travolgente fanatismo. Scene culminate, sempti e soltanto per gli schermi, nel •sacrificio*, da parte di un gruppo di miliziani di Gheddafi, di un vitello sul quale era stato dipinto a vernice, in caratteri latini, il nome del presidente americano. Come ossessi, gli uomini immergevano mitra e braccia nella gola dell'animale, danzavano sul corpo martoriato. E anche mentre si voltavano verso le telecamere agitando le mani grondanti sangue davanti all'obiettivo, si capiva che recitavano. _ . Paul Vallely Copyright «Times Newspapers» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Colonnello, Gheddafi, Paul Vallely, Reagan

Luoghi citati: Italia, Libia, Tripoli