La Maginot di Saddam Hussein di Emmanuel Jarry

La Maginot di Saddam Hussein Iraq e Iran si fronteggiano nelle trincee dello Shatt-el-Arab in una guerra che nessuno riesce a vincere La Maginot di Saddam Hussein A difesa dell'autostrada per Bassora l'invalicabile «zona della morte» - La riconquista della città di Faw occupata dai soldati di Khomeini è un obbiettivo chiave - A Baghdad ristoranti e locali notturni affollati per tentare di dimenticare lutti e austerità - Epurazioni tra ministri e burocrati per combattere la corruzione - B crollo dei prezzi ha subito soffocato la ripresa dell'esportazione di petrolio NOSTRO SERVIZIO BAGHDAD — In alcuni punti, l'autostrada BaghdadBassora è cosi vicina che è impossibile non vederla. E' un terrapieno, alto circa quattro metri, sul quale, ogni 150-200 metri sono piazzati carri armati e cannoni puntati verso l'Iran. In basso, nella scarpata, a intervalli regolari, le batterle da 130 millimetri. Davanti a questo «muro», per circa 180 km, tra Amara e Baghdad, un altro terrapieno, punteggiato di pezzi d'artiglieria da 122 millimetri e filo spinato, completa un dispositivo degno della Linea Maginot. Al di la, verso Est, si estendono quelle che gli artiglieri iracheni chiamano eloquentemente le •killing zones*, le zone della morte: una terra di nessuno dove il minimo movimento nemico segnalato dall'aviazione Irachena scatena un tiro di sbarramento mortale. Queste fortificazioni sono state realizzate l'anno scorso, si dice, dopo l'offensiva iraniana nelle paludi di Howeiza. Il loro scopo è difendere la strada di Bassora in caso di una nuova offensiva iraniana nella regione, il guaio è che, cosi come accadde per la «Maginot», possono essere aggirate. Superando lo Shatt-elArab per arrivare sulla penisola di Faw, il 9 febbraio scorso, gli iraniani sono passati, evidentemente, proprio nel punto in cui io Stato Maggiore iracheno non li aspettava. E' stato un errore di tattica o incompetenza di alcuni ufficiali? L'interrogativo è stato posto dagli esperti militari stranieri e preoccupa non poco le autorità di Baghdad. La sostituzione, all'inizio della controffensiva irachena, del comandante in capo del 7° Corpo d'Armata con il generale Saadi Tohmeh Al Ziburi sa tanto di sanzione, a parte quello che dicono 1 capi militari iracheni; visibilmente imbarazzati quando si affronta questo discorso. «Fato sarà il cimitero degli iraniani* assicurava qualche giorno fa il presidente Saddam Hussein. Sta di fatto che la battaglia di Faw è già la più lunga tra quelle che gli iracheni hanno dovuto combattere sul loro territorio e senza dubbio la piti sanguinosa (certamente più pesante di quella di Howeiza che era costata da 7 mila a 8 mila morti). E Baghdad stavolta non può accontentarsi di tamponare la falla e chiudere lo scontro In parità come In precedenti offensive lrania ne. Dopo il 1982 gli iraniani hanno preso il controllo, di' rettamente o tramite i ribelli kurdi del Nord-Est del Paese, di circa 4 mila km quadrati di territorio iracheno, stando alle stime di fonti occidentali. Questa avanzata è stata sempre sottovalutata dal potere baatista, anche quando si è trattato di Faw. Faw, per la verità, ha perso molto della sua Importanza strategica dopo il 1981. Oli abitanti se ne sono andati; il terminal per il quale passava il 75% del petrolio iracheno prima del conflitto è stato distrutto. Lo Shatt-el-Arab, sul quale sorge il porto di Bassora, a una sessantina di chilometi più a Nord, è chiuso.al traffico commerciale sin dall'inizio della guerra. Ma l'occupazione permanente di una parte della riva occidentale dello Shatt-el-Arab. darebbe a Teheran un controllo totale su questa via. d'acqua che, anche se oggi è inutilizzabile, conserva un valore politico e simbolico di gran lunga più importante di qualche zona di palude o di montagna. Dopotutto, 11 contenzioso sullo Shatt-el-Arab è una delle cause «storiche» del conflitto. E attestandosi a Faw gli Iraniani «lnchtode ranno» gran parte delle forze irachene in questo settore, assicurandosi una testa di ponte vicino alla frontiera iracheno-kuwaitiana e soprattutto la base navale di Oum-Quast fino a una settimana addietro a tiro dei grossi calibri Iracheni. Uno scacco o una mezza vittoria nella penisola di Faw darebbe peraltro molte più preoccupazioni delle tre quenti nuvolaglie che si addensano sul resto del fronte La caduta vertiginosa dei prezzi del greggio e quella; parallela, del dollaro, rischia in effetti di ridurre a zero gli sforzi del dirigenti iracheni di rimettere in piedi la loro economia di, guerra proprio nel momento in cui stavano per dare 1 primi frutti. Nonostante 1 morti rimpatriati é resi alle famiglie nella più grande discrezione e l'immensa sopportazione della popolazione che non ha ancora finito di pagare il suo pesante tributo alla guerra, i ristoranti di Baghdad sono affollati, i locali notturni fioriscono, per i matrimoni si svolgono sempre1 sontuosi banchetti in alberghi di lusso che gli iracheni benestanti frequentano assiduamente non potendo uscire dal Paese. L'austerità imposta da sei anni di guerra costosa si «agghinda» con una frenesia di superfluo che la rende più sopportabile. Dopo aver rischiato la bancarotta nel 1982, le autorità irachene sono state costrette a ridurre le importazioni. Il che ha voluto dire paralisi degli investimenti giudicati non essenziali, penuria di alcuni generi di prima necessita, code davanti ai magazzi¬ ni di Stato. Senza tuttavia ridurre le restrizioni alle importazioni, il Consiglio del Comando della Rivoluzione (CCR), organo supremo del poterei a partire dal 1984 ha preso una serie di misure destinate a porre un rimedio a questa situazione e alla falle nell'apparato statale. La parola d'ordine è, secondo la formula di un diplomatico occidentale: «Più la guerra dura, meno deve pesare: Per .tutto l'anno scorso, mentre la stampa pubblicava caricature feroci della burocrazia, il presidente ha moltiplicato le visite nei ministeri e i discorsi moralizzatori. Alcune di queste allocuzioni sono veri pezzi, da antologia, come quella del 4 giugno '85 in occasione della nomina di due nuovi governatori a Irbil e a Baghdad. «L'osto e i cattivi amici inducono a trattare con gente che cerca soltanto il suo interesse personale. Diffidate dei vostri segretari e dei vostri collaboratori più stretti, che vi lusingano a danno della verità e del diritto*, disse allora il capo dello Stato. Seguiva un vero e proprio appello alla delazione: -Osservate e analizzate il comportamento pubblico degli alti funzionari (...) per capire da dove provenga l'aumento delle loro fortune. Cercate di regolare i problemi in base ai vostri poteri e sottoponete ai vostri superiori quelli più grandi di voi. E' necessario applicare la tradizione e la morale del partito all'amministrazione*. Se si pensa alle condanne a morte, nel gennaio scorso, di cinque alti funzionari accusati di corruzione e al siluramento, qualche giorno prima, del governatore della regione di Digala e del suol collaboratori, quel discorso non era soltanto un'esercitazione oratoria. Si parla anche della «disgrazia» del ministro dell'Agricoltura, Sadiq Abdellatif Yournes, sostenitore della «statalizzazione» a oltranza. In compenso, il CCR ha nominato, il 25 luglio, un membro della vecchia guardia del partito Baath, Samlr Mohammed Abdel Wahab, alla testa del ministero dell'Istruzione superiore, attualmente in pieno rimaneggiamento, segno che, a dispetto della guerra, resta un problema prioritario. Parallelamente a questa «riconquista» dell'apparato statale da parte del Baath, squadre di ispettori braccano da un anno i commercianti sospettati di speculare sulle provviste e di praticare?* il mercato nero. Anche qui il partito non ha esitato a fare appello alla delazione per snidare 1 «profittatori», che vengono puniti con 15 anni di prigione e la confisca di tutti i beni. Il risultato di questa campagna, accompagnata da una riorganizzazione dei circuiti di distribuzione, si e fatta subito sentire: numerosi prodotti di consumo, specialmente alimentari, sono riapparsi sul mercato. E infine, dopo il bastone la carota: negli ultimi mesi c'è maggiore liberalità nella concessione di licenze al settore privato che, per la verità, rappresenta soltanto il 10% dell'economia irachena. Il terzo aspetto, ma quello minore, di questa politica, è stato la ripresa delle esportazioni petrolifere, cadute da 3,2 milioni di barili al giorno prima della guerra a 700 mila nel 1982, dopo la distruzione del terminal di Faw e la chiusura dell'oledotto KirkukBanyas da parte dei siriani Con l'aumento della capacita dell'oleodotto Klrkuk-Dortyol, via-Turchia, e l'entrata in servizio, nel settembre scorso, della nuova pipeline attraverso l'Arabia Saudita, gli iracheni potevano contare sull'esportazione di un milione e mezzo di barili al giorno. Di colpo, le entrate petrolifere Irachene sono passate da 9 miliardi di dollari nel 1982 a 11,5 nell'85, tanto quanto costa la guerra in un anno. Questa boccata di ossigeno ha avuto breve durata. Con 11 barile a 15 dollari, forse anche meno, le entrate di Baghdad stanno per ripiombare al loro livello più basso. Una prospettiva che può portare alla catastrofe di questo Paese il cui debito estero ammonta a 40 miliardi di dollari — di cui 25, per la verità, dovuti a Paesi amici del Golfo; ma questa cifra non tiene evidentemente conto del petrolio venduto dall'Arabia Saudita e dal Kuwait per conto dell'Iraq (310 mila barili al giorno). A Baghdad già si mormora che le autorità hanno deciso di sospendere ogni nuovo progetto di investimento in attesa di fare meglio i conti con il loro bilancio. Emmanuel Jarry Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» l i o a e a

Persone citate: Amara, Khomeini, Saadi Tohmeh, Saddam Hussein, Sadiq Abdellatif Yournes, Samlr Mohammed Abdel Wahab