Con i dogi di Venezia quanti segreti chiusi nel Palazzo di Sergio Quinzio

Con i dogi di Venezia quanti segreti chiusi nel Palazzo Con i dogi di Venezia quanti segreti chiusi nel Palazzo EBBE centoventi Dogi la Serenissima Repubblica. Dimenticato quasi da tutti è il primo, Paolo Lucio Anfesto: correva l'anno 697, gli abitanti dell'arcipelago lagunare cominciavano appena ad aver coscienza di popolo. D'abbastanza fresca memoria è l'ultimo, Lodovico Manin: nel maggio del 1797 cedeva il passo ai Municipalisti, con i Francesi incombenti ai bordi della laguna; Napoleone un mese prima aveva già promesso Venezia all'Austria. E tutti gli altri Dogi, noti e meno noti? Per la prima volta se ne dà notizia organica in un prezioso volume, assai illustrato, «Il Serenissimo Doge»: opera che l'architetto Umberto Franzoi, direttore di palazzo Ducale, ha curato avvalendosi delle ricerche storiche di dieci appassionati collaboratori-estensori: Donatella Asta, Mariolina Carnali Frascella, Francesca Checchia, Domenico Crivellari, Mariolina Foscari Malacrea, Giovanni Gorini, Michela Knezevich, Mirella Pasquinucci, Olga Premoli Taiti, Franca Quirini. Il libro rievoca il millennio di storia della Serenissima, senza mai perder d'occhio lui — il Doge — centro della costruzione istituzionale della Repubblica, propulsore delle leggi e della politica estera, anfitrione di regnanti stranieri, condottiero, quasi sempre devoto ma più incline a impersonare il ruolo di garante dello Stato che della Chiesa. E se per follia o per arteriosclerosi avesse derogato, se fosse stato preso dall'uzzolo della monarchia assoluta, se fosse apparso sdolcinato coi propri figli, non gliela avrebbero perdonata: vi era un accuratissimo equilibrio della Serenissima a propria tutela, esistevano varie magistrature che esercitavano rigidi controlli. Ne seppe qualcosa itDoge Marin Fallerò (1354-1355), che per una presunta congiura ammantata di mitomania fu decapitato sulla scalinata interna di Palazzo Ducale, e mosse a pietà qualche secolo dopo Byron. Rossini, Donizetti, Fleury e Delacroix che lo ricordarono in versi, musica e pittura. Ne seppe qualcosa Francesco Foscari (1423-1457): a 85 anni era stato abbandonato dal vigore fisico e mentale e fu costretto a dimettersi dal Consiqlio dei Die¬ ci, che testualmente gli diede .otto giorni, di tempo per sloggiare. Poco successo, il povero Foscari, aveva ottenuto qualche anno prima nelllmpetrare la grazia per suo figlio Jacopo, pericoloso scavezzacollo, confinato in perpetuo all'isola di Candia da un incorruttibile tribunale. Anche la seconda moglie di Francesco Foscari, Marina Nani, ebbe lunghe, dolorose disillusioni per colpa del figlio Jacopo. Nel libro di Franzoi — oltre ai capitoli su istituto dogale, significati politici del dogado, metodi elettivi, costumi e simboli, cerimonie pubbliche e funerali del Doge, monumenti funebri e medaglie, dimora, abitudini e iconografia dogali — una quarantina di pagine sono sapidamente dedicate alle dogaresse: che neanche alla lontana sono paragonabili a una Nancy Reagan o a una Jacqueline Kennedy per rappresentatività; e tanto meno furono figure di primo piano nella vita politica della Serenissima, seppur trattate come regine. «Più che simbolo del potere regale, le dogaresse dovevano essere mogli dei loro Dogi, e per ciò unicamente esempio di virtù morali». Non deve stupire se tra i numerosi quadri di palazzo Ducale, nonostante le molte figure femminili rappresentate, non vi sia una, nemmeno una soltanto, immagine di dogaressa o .ducissa.. Franzoi annota però varie trasgressioni all'obbligo di vita morigerata delle serenissime spose: Teodora, principessa greca presa in moglie dal Doge Domenico Selvo (1071-1085) faceva chiacchierare parecchio i veneziani. L'aria delle sue stanze era sempre piena di profumi, si tuffava ogni giorno in un bagno «d'acqua di inebriante leggerezza». Sì cospargeva il corpo con la rugiada raccolta per lei dagli schiavi, usava per mangiare una forchetta d'oro sconosciuta ai latini (la forchetta comparirà in Francia nel 1397). Forse combinava altre monellerie: «L'atroce morte di Teodora — scrivono Mirella Pasquinucci e Olga Premoli Taiti — dovuta a una misteriosa e disgustosa infezione fu guardata da tutti sulla laguna come un castigo di Dio». _ _.„,. Franco Giliberto •H Serenissimo Doge», a cura di Umberto Franzo!, Canova, pagine 400, lire 110.000. ti, a farci apparire il passato, tanto più quanto più è lontano, elementare e piatto. Le domande sul Cristo si affollavano alle menti e ai cuori. I testi sacri sui quali la fede In lui era fondata non erano univoci. Soprattutto, passando da un orizzonte culturale all'altro, termini fondamentali come «Spirito» e «Parola», o formule fondamentali come «Figlio di Dio» o «Figlio dell'uomo», acquista¬ vano fatalmente sensi diversi, discutibili all'infinito. Come si distinguono tra loro «Padre», «Figlio» e «Spirito»? D Verbo divino incarnato in Gesù è una cosa sola con lui? Gesù è 11 Cristo preesistente da sempre, oppure diventa tale al momento della nascita, o al momento del suo battesimo nel Giordano quando su di lui scende la colomba Inviata dall'alto, o al momento della sua glorificazione nella morte e resurrezione? Fra 1 testi riportati da padre Orbe una prima distinzione è quella che si può fare separando gli scritti appartenenti alle diverse tendenze eretiche da quelli della nascente ortodossia ecclesiastica. E allora va detto che spesso sono gli eretici, forse perché meno vincolati, a formulare le tesi più audaci e penetranti. Gli autori che consideriamo ortodossi, come Clemente .Ales¬ Sergio Quinzio «Il Cristo», Voi. i, Testi teologici e spirituali dal I al IV secolo, a cura di A. Orbe, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, C 434 pagine, 30.000 lire. La scienza delle comete BIBLIOTECA STORICA Il piacere di leggere la storia

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