Libertà è servire per il piccolo Gargantua praghese

Libertà è servire per il piccolo Gargantua praghese Libertà è servire per il piccolo Gargantua praghese VORREI rubare il titolo di una bella canzone di Paolo Conte. «Sotto le stelle del jazz», per cominciare a parlare di «Ho servito il re d'Inghilterra», terribile e bellissimo libro di Hrabal. Non tanto perché la sua scrittura fa delle improvvisazioni e variazioni sul tema un non secondarlo elemento strutturale; sotto le stelle del jazz, vorrei ricordarlo, in molti Paesi dell'Est maturarono negli Anni Cinquanta giovani generazioni avide di novità, piccole avanguardie irriverenti. Fu anche il jazz, coltivato in gruppi semiclandestini, ad annunciare in Unione Sovietica (si vedano certi romanzi di Aksenov). In Cecoslovachla (certi romanzi di Skvorecktf) il tepore del disgelo. E mi sembra uno straordinario scherzo del destino 11 fatto che oggi, in tempi di fredda normalizzazione, 11 libro di Hrabal, un habitué di disavventure editoriali, abbia potuto uscire (nel 1982, era stato scritto nel 1971) in un numero ristretto di copie come materiale ad uso interno dell'Associazione jazzistica cèca. Cosi, sinistramente, i conti tornano, e il jazz continua a coincidere con quel tanto di eterodossia e sovversione tollerato dal potere, ad accogliere nel suo rumoroso ventre gli «eretioi». DI Hrabal (nato a Brno nel 1914, ha al suo attivo una ventina di libri, due del quali mandati al macero, molti inediti) 11 lettore italiano può ricordare Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare (Einaudi 1968). Vuol vedere Praga d'oro? (Longanesi 1973), Treni strettamente sorvegliati (e/o 1982), ma non mi pare che il narratore boemo abbia avuto presso il pubblico straniero 11 consenso e il successo che merita. Scambiato per partigiano, l'ex cameriere viene arrestato dalla Gestapo, divenuto milionario con 1 preziosi francobolli «confiscati» dalla moglie agli ebrei, raggiunge (siamo ormai dopo il 1948) una sorta di lussuoso internato-prigione per capitalisti, e finalmente, privato di ogni avere, lavora come cantoniere in una sperduta località di confine. Alla struttura del romanzo picaresco sembrano rimandare il proliferare di treni, viaggi, stazioni, ma quello del protagonista è un viaggio d rebours. La coscienza della propria identità, che dovrebbe essere 11 traguardo finale del suo metaforico itinerario, continua a sfuggirgli: invano egli cerca ogni volta di . plasmarsi sui modelli che la storia gli propone: 1 ricchissimi viaggiatori di commercio, i mattres più esperti (come quello che «ha servito il re d'Inghilterra»), i milionari, gli ariani, 1 partigiani. Il suo unico modo di essere è il servire, il suo unico modo di esistere, l'assistere. Qualcosa — qualcosa che solo raramente e, si direbbe, ironicamente assume le forme della coscienza, come nella magistrale scena in cui il ricordo dei martiri boemi torturati dalla Gestapo gli impedisce di spremere dal proprio corpo quelle gocce di sperma che dovrebbero dimostrare la sua idoneità a partorire figli «germanici» — lo obbliga ad essere sempre esterno agli avvenimenti, a guardarli (e guardarsi) con l'occhio premuroso e sollecito del cameriere, che osserva e previene i desideri altrui passando inosservato. Anche da ricco proprietario il suo sogno è quello di servire nel modo migliore possibile 1 clienti e nel finale lo ritroviamo, completamente solo in una casupola di montagna, intento a servire 1 suoi ospiti: una gatta, una capra, un cavallo. Agli abitanti del villaggio che sono riusciti a raggiungerlo la notte di Natale si presenta con il frac e l'onorificenza ricevuta un tempo, all'hotel Paris, da Halle Sàlassiè: l'unica immagine che è riuscita a costruirsi e che lo accanisce, sempre più torva e minacciosa, dagli specchi. Quella di Hrabal è, non tardiamo a comprenderlo, una provocatoria parabola sulla servitù come condizione metafisica che spalanca impensabili, grotteschi spazi' di libertà dalla storia insieme.a.un 1 vuoto paralizzante e micidiale; il vuoto che 11 racconto vuole sconfiggere con la rappresentazione di una realtà iperbolica, grandiosamente deforme! Le pantagrueliche abbuffate, innanzitutto (fino allo straordinario banchetto preparato dal cuochi etiopi: un cammello farcito di antilopi farcite di tacchini farciti di pesce farcito di uova...), e poi knedliky, goulash sanguinolenti, dentiere nel boccali di birra... Nel Grand Guignol non solo gastronomico rievocato dal logorroico e disordinato flusso di coscienza dell'Io parlante, la tecnica automatica del surrealismo, matrice prima della scrittura di Hrabal, è perfettamente dominata dalla scaltra regia dell'autore. E cosi, se gli eterni schiavi hanno l'anima muta e immobile del manichini di gesso, i sempre vincenti sono voraci vesciche che devono essere riempite in continuazione, a rischio dell'inesistenza. Come il romanzo, come il linguaggio. Serena Vitale Bohumil Hrabal, «Ho servito il re d'Inghilterra»,' a cara di Giuseppe Dierna, edizioni e/o, 240 pagine, 22.000 lire. Disegno di Grosz C'è da sperare che le cose mutino almeno in parte con questo libro, storia dell'iniziazione (al mestiere, al sesso, alla storia) di un giovanissimo apprendista cameriere, di cui seguiamo l'ostinata e progressiva escalation fin dai tempi della Prima Repubblica. Costruito sul modello del romanzo di formazione, il racconto è scandito in «stazioni», gli alberghi il cui il giovane serve e quelli di cui poi diviene proprietario. Ma la struttura stessa del Bildungsroman viene ironicamente trasgredita: da quando il protagonista sposa Liza, una fanatica nazista, il ritmo ascensionale della sua carriera conosce intoppi e cadute.

Luoghi citati: Inghilterra, Praga, Unione Sovietica