La princesse de Clèves un amore che rinuncia per paura della realtà

Torna (con qualche errore) il capolavoro di Madame de La Fayette Torna (con qualche errore) il capolavoro di Madame de La Fayette La princesse de Clèves un amore che rinuncia per paura della realtà DOMANDO se una Donna virtuosa, la quale nutre tutta la stima possibile per un Marito quanto mai degno, ma è al tempo stesso combattuta da una violenta passione, che cerca in tutti t modi di soffocare, per un Amante... fa meglio a confidare questa sua passione al marito o a tacerla esponendosi a battaglie continue...*. Questo quesito che, nell'aprile del 1678, il supplemento del giornale parigino il Mercure Galant rivolgeva ai suoi lettori, sottoponeva al giudizio del vasto pubblico la querelle apertasi con la pubblicazione della Princesse de Clèves, apparsa anonima appena un mese prima e già oggetto della curiosità generale. Non stupisce che molti lettori potessero giudicare scandalosa o quantomeno •stravagante» la soluzione data al dilemma, cosi efficacemente sintetizzato dal Afercure, dall'eroina del capolavoro di Madame de La Fayette. Scegliendo la strada della confidenza e della verità, la principessa di Clèves non solo uccideva un marito che non resisteva al dolore di non essere amato, ma attentava alle fondamenta stesse dell'istituto familiare. Nella concezione aristocratica dell'/I ncien Regime, il matrimonio si ispirava infatti a valori eminentemente sociali e mondani, rappresentava il frutto di una politica patrimoniale e di una complessa strategia di alleanze familiari ed era garantito dalla reciprocità degli interessi e da un preciso codice di comportamento. Tutto ciò non implicava necessariamente la negazione della sfera affettiva, ma non ne faceva un elemento qualificante dell'istituto coniugale. La confessione della principessa esponeva cosi sconsideratamente il matrimonio alla precarietà di un arbitrio personale, di una crisi soggettiva, riducendolo alla stregua di una semplice Federico Leutrum, il leggendario re di Cuneo nell'assedio del 1744 i o n e i ti ti o uel tos. h 6 a n o o e a, astorie locali. La sola biografia del prode, a nostra conoscenza, si deve a Giuseppe De Botazzi, che la scrisse alla fine del secolo scorso, intitolandola Documenti ufficiali inediti e cenni storici sul valoroso generale Barone Federico Leutrum, eroico difensore di Cuneo nell'assedio del 1744, liberatore d'Asti e d'Alessandria nel 1746 (ed. Roux e Viarengo, Torino 1899). La davvero preziosa operina si può trovare alla libreria Peyrot di Torino (piazza Savoia 8) a L. 50.000. Ah, la stessa dispone anche, per 10.000 lire, di un raro disco della canzone del Barin Litrón (l\ Barone e la Pastora, Ricordi, 1960 ca), eseguita da Fausto Amodei. Rolando Jotti vicenda sentimentale. Ma la . Princesse de Clèves non al limitava a contravvenire alla norma sociale, metteva in discussione un'antica convenzione letteraria e gettava le fondamenta del romanzo moderno. Voltando le spalle a una tradizione narrativa che risaliva alla cultura trobadorica. Madame de La Fayette esiliava l'amore dalle libere regioni fantastiche su cui aveva esercitato fino ad allora un incontrastato dominio, per confrontarlo con la difficile realtà contemporanea e costringerlo entro le mura disadorne della coscienza Individuale. Per operare questa metamorfosi la scrittrice non aveva esitato a contaminare il romanzo, a renderlo partecipe delle altre esperienze artistiche del Grand-Siècle, a orientarlo verso quella scienza delle passioni e del cuore umano su cui tragici e moralisti avevano già costruito l loro capolavori Non è un caso che Madame de La Fayette suggerisse una lettura della sua opera In chiave memorialistica, ed è indubbio che l'orgogliosa consapevolezza dell'eccezionalità della condotta adottata conferisca alla principessa di Clèves l'aura di un'eroina corneilliana. Nel romanzo di Madame del La Fayette la comparsa dell'amore dà l'avvio a un duplice processo conoscitivo: permette al lettore di cogliere man mano, al di là dello stereotipo convenzionale basato sulla bellezza, la virtù, la nobiltà, 11 profilarsi della singolare personalità della principessa di Clèves, e svela contemporaneamente l'eroina della storia a se stessa, rendendola poco a poco arbitra della propria vita. Al termine di questa quète che, com'è stato osservato, segna per lei 11 passaggio dal silenzio alla parola, dall'apparire all'essere, la principessa di Clevès non rinunzia alla propria autonomia interiore e, sebbene libera di sposare l'uomo che ama, gli preferisce la solitudine e la pace. Se la critica seicentesca aveva fissato l'attenzione sul problema dell'amen (e, nel De l'Amour, Stendhal riprendeva la polemica sentenziando: «La principessa di Clèves non doveva dire niente al marito e darsi a Monsieur de Nemours*), la critica moderna si è soprattutto interrogata sul significato della retratte di Madame de Clèves e sulla sua aspirazione al repos. La decisione finale della principessa è stata di volta in volta interpretata come rifiuto della realtà, rinunzia alla vita, volontà di suicidio, paura della felicità, adesione orgogliosa a un modello eroico di virtù, scelta della libertà. In uno studio di qualche anno fa (La principessa giansenista, Bulzoni, 1981) Gabriella Violato, esaminate le molte Ipotesi avanzate dalla critica, suggeriva di leggere la rinunzia della principessa di Clèves alla luce della cultura giansenista, a cui Madame de La Fayette si era andata progressivamente awici- «Strumenti critici» ha ritrovato una cscritta a otto anni in terza elementar •Preziosa» Mademoiselle de Scudery, alla grande Madame de Sé vigne. Riproporre in edizione economica un classico è sempre una Iniziativa benemerita (della Principessa di Clèves circola anche, nella collana «Centopagine» di Einaudi, la ristampa della intelligente traduzione di Maria Ortis); •attualizzare» un capolavoro è un'esigenza diffusa che dovrebbe quantomeno astenersi da forme diseducative come quelle di non fornire neppure 11 nome del traduttore e di stampare l'apparato «attualizzante» (120 pagine su un totale di 270) con caratteri tipografici macroscopici rispetto al teste. Inoltre, nel caso in cui l'editore ritenga, come qui, opportuno di •arricchire» un gioiello della letteratura francese con l'introduzione di una saggista esente da remore specialistiche, come Annanda Gulducci, sarebbe forse auspicabile che una. sia pur frettolosa, revisione editoriale intervenisse ad evitare di far dire alla povera Madame de La Fayette frasi come: *Ah, ah! Ho male al cuore; non voglio la minestra* (p. 66) (quando forse l'illustre scrittrice intendeva più prosaicamente alludere a un senso di nausea (•Avoir mal au coeur*) o di tradurre, con inevitabile fraintendimento del senso del testo citato, arrèt con •arresto», là dove significa inequivocabilmente «sentenza» (p. 119), o infine di trasformare, a meno di non voler rispettare un lapsus freudiano, 1 Mémoires tanto spesso evocati (pp. 21, 69, 78, 93, 103) in un sostantivo femminile. E nonostante il •nozionismo» abbia cessato di essere di moda, mi permetto di ricordare che la pace del Pirenei (1659) pose fine alla guerra tra Francia e Spagna, iniziata 24 anni prima, e non già come scrive A. Gulducci, alla Fronda che travagliò la monarchia francese tra il 1648 e il 1652. Benedetta Craveri M.me de La Fayette nando nell'ultimo periodo della sua vita. In quest'ottica, la retratte, 11 repos, «do che era [parso] soluzione di fuga, paura di rimettere in discussione in un confronto con il mondo i valori acquisiti, diventa scelta contro il mondo, dopo averne sperimentato fino in fondo l'insufficienza e il carattere limitato*. Anche Annanda Gulducci, nella lunga prefazione che accompagna la ristampa di una vecchia traduzione de La principessa di Clèves nella BUR (Rizzoli, pagine 267, lire 8000), sembra riprendere la linea interpretativa giansenista proposta dalla Violato, Incorporandola in una chiave di lettura programmaticamente femminista. La Gulduccl vede nella scelta finale dell'eroina di Madame de La Fayette «ta presa di coscienza, nella donna, della propria femminile solitudine e diversità d'amore* ; e ne cerca le premesse teoriche e culturali In una serie di figure storiche, da Mademoiselle de Gournay, figlia spirituale di Montaigne, alla curiosa lettera re

Luoghi citati: Alessandria, Cuneo, Francia, Spagna, Torino