Fortini e Sanguineti due diari in pubblico contro il presente

n n Fortini e Sanguineti due diari in pubblico contro il presente n Kdoardo Sanguinea confesso) L'ospite ingrato fosse ricordato soprattutto come una raccolta di epigrammi. Di epigrammi ce ne sono, certo, e anche di memorabili (vorrei citare almeno quelli a pag. 20. 35, 52. 141, 142. 150...), sia nella parte corrispondente alla prima edizione sia nella parte nuova; ma non formano, In realtà, piti d'una striatimi, d'una sottile filigrana nella complessa e compatta tessitura del libro. Per 11 resto, non è davvero d'Irrisione o sberleffo che si tratta, giusta una massima che Fortini annota a pagina 215: «li riso vale come critica solo se si aggiunge a una critica che non ride. Non può sostituirla.. Critica, dunque: critica — come sempre in Fortini — dell'esistente In nome di ciò che potrebbe esistere. Tutto — fatti e persone della politica e della cultura, aspetti del costume, trasformazioni della lingua e della forma letteraria — è visto, insieme, come conferma di una perdita, di un'offesa senza remissione, e come pegno di un riscatto ineluttabile. Nessuna speranza viene vantata a buon mercato, qui; ma nemmeno c'è sottrazione o messa al bando della speranza. E proprio per questo, forse — o, almeno, anche per questo — un libro cosi duro e desolato, che rifiuta al lettore anche 11 piacere di gustarsi In prima fila lo spettacolo della catastrofe, può essere ricordato, appunto, come un libro •di epigrammi». Difficile prevedere, invece, come rlcor- HA scritto Franco Fortini In un recente articolo sull'autore di Conversazione in Sicilia che bisogna rileggere le prose non narrative di Elio Vittorini — segnatamente Diario in pubblico — per capire «che cos'è 11 coraggio mentale-. Affermazione bellissima e In tutto condivisibile, che verrebbe voglia, mutando ciò che va mutato, non già di ritorcere, ma di far rimbalzare su chi l'ha pronunciata. Naturalmente, tutti i libri di Fortini — dalle raccolte di poesie a quelle di scritti letterari, teorici, politici — sono prove e documenti di «coraggio mentale»: coraggio che è innanzitutto, in lui, capacità ostinata di pensare la realta come modificabile, e la storia come luogo di continue, dolorose responsabilità personali. Ma è pur vero che se vogliamo cogliere tutti insieme — In una coesistenza anche fisica, In un intreccio anche materiale — i vari filoni della sua ricerca e, dunque, 1 vari modi e nodi del suo coraggio, non c'è opportunità migliore di quella offerta da L'ospite ingrato, di cui esce ora presso Marietti, a vent'anni di distanza dalla prima, una seconda edizione raddoppiata e portata sino all'oggi: e si dà 11 caso che L'ospite ingrato sia, appunto, una sorta di «diario in pubblico», dove a versi, epigrammatici e no, si alternano riflessioni In prosa non meno acremente sollecitate da movimenti o ristagni del presente. E' strano che da molti (anche da me, lo Livia De Stefani ci parla del suo romanzo «La stella Assenzio» Franco Fortini deremo fra vent'anni Scribilii, terza raccolta (dopo 1 due Giornalini pubblicati anni fa da Einaudi), degli scrìtti giornalistici di Edoardo Sanguineti. Difficile perché Sanguineti non persegue, come Fortini, un attraversamento del presente, ma una sua ricognizione anche spicciola, volutamente, e molto pragmatica; e non si pone orizzonti particolarmente alti e severi se 11 libro si conclude, come si conclude. parentele con i pamphlet. Spiega Livia De Stefani: «La cosa più difficile per me è stata trovare la formula narrativa con la quale raccontare le terrificanti e grottesche visioni da fine del mondo che hanno i protagonisti di questo mio libro. Un saggio avrebbe rischiato di essere illeggibile, un pamphlet di non essere neanche pubblicato, un intreccio tradizionale di essere impresentabile». La formula trovata è stata quindi la scrittura in forma di diario che giorno per giorno, su ordine del loro medico curante, i cinque fanno del 1 percorso, che. li ha portati a, I trasformarsi-da persóne «h muni ire veggenti della tragedia umana. Ma c'è anche del suspense nel racconto e perfino un filo di amaro umorismo. Livia De Stefani confessa di essere abituata a scrivere soltanto partendo da fatti concreti. Per La vigna di uve nere, il suo esordio clamoroso che nel '53 la fece definire uno dei migliori talenti del dopoguerra e che l'anno scorso è diventato anche uno sceneggiato televisivo per la regia di Boichi, scelse un caso di cronaca nera che aveva letto sul giornale. «Dovevo trovare In fretta una storia perché avevo giurato a Arnoldo Mondadori di aver pronto nel cassetto un romanzo. Ma era una bugia: nel cassetto avevo solo racconti brevi e, a quell'epoca, i racconti non interessavano nessuno». Per La stella Assenzio si è servita dell'osservazione minuziosa e attenta della campagna. «Ho vissuto spesso In mezzo al verde. Da bambina in una villa vicino Palermo, adesso in una casetta vicino Roma dove vado appena posso. Negli ultimi vent'anni ho visto il progressivo e inesorabile decadimento della natura: è stato come un pensiero fisso che non riuscivo a togliermi di dosso. Il libro, questo libro, vuole solo esserne una testimonianza». Il romanzo sulla mafia che ha ispirato il film d

Luoghi citati: Palermo, Roma, Sicilia