Gregoretti: «Ho sbagliato città» di Carlo Massarini

Crune crune: si gira! Crune crune: si gira! Gregoretti: «Ho sbagliato città» Rallino «il sostrato ironico delle mie scelte non è arrivato al pubblico....! mio era un invito a divertirsi su D'Annunzio» Tutto è cominciato quando Catherine Deneuve è scesa da un'auto, ha guardato verso mamma con quel suo fare noncurante e altezzoso da borghese che vota per Bokassa, ha confermato di essere se stessa con forte accento parigino e poi se n'è andata, e allora mamma mi ha detto che a lei sembrava una Lancia e non una Dianno e comunque che cosa c'entrava col formaggio Brle. Mamma ha chiarito che apre i suol rotocalchi e II Brie sta Illustrato dentro una scatola di legnorotonda e alta due dita per via del fatto che, quando lo apri e spezzi la sua sottile crostlclna, dilaga e sciaborda: «/Von come la varatone In lette cellofanate del Mercato Comune dove sembra stracchino Imbalsamato; e comunque perché quella signora Invece reclamizza soprattutto l'auto, poi si ferma davanti a "Fauchon" e prima di entrare dice del Brle e che viaggia In Dlanne, ma si vede solo lei?.. Abbiamo rivisto insieme quello spot, che lo credevo elegante, dove l'attrice francese in un flash chic scende da un'auto davanti ad un luogo anonimo ma di lusso suggellando il suo (personale e della vettura) status-symbol di vip semplicemente sussurrando: «Ou/,/0 suls Catherine Deneuve». Il guaio è che mamma, pur conoscendo II francese per aver vissuto in un'epoca in cui i week-end a Parigi costavano quanto un vasetto di paté oggi, non è riuscita a cogliere l'essenzialità della proposta, non ha riconosciuto la diva e sua legittima presunzione ed ha maturato un suono sballato cui ha peto dato dimensioni pubblicitarie sempiici e quotidiane. Lei, è chiaro, tifa per la pubblicità che le trasmettono in simboli chiari giornali e riviste Bontà sua se, nell'occasione, ha riconosciuto la Lancia e non ha equivocato come nel caso dell'«auto messicana» che sfidava gli aerei, ma finiva trainata dai somarelll: «E per forzai Come si fa a chiamare una macchina Vavavubagrlngo?l.. Bisogna prendere atto che ciò che è chiaro per i vldeopubbllcltari, non lo è per moltissimi telespettatori che ormai vivono la pubblicità come un programma parallelo, ossessivo, p6r molti versi incomprensibile, sempre più improbabile, talvolta frustrante. •Diseducativo. Incalza zia che è stata severa maestra elementare. Lei si riferisce al the. Che viene reclamizzato da un americano che parla come un cronista sportivo americano e se le spieghi che l'hanno fatto apposta, che è proprio un cronista americano, iei dice che allora dovrebbe occuparsi di cocacola mentre invece quella la esaltano le gheise e le ballerine di flamenco. C'à di più: un'altra pubblicità la fa un Inglese che sembra II direttore della' Royal Accademy, ma gli fanno dire che il the va bene anche in bustina: roba che può funzionare con un altoatesino sull'Himalaya, mentre anche un campagnolo come Livingstone, piuttosto che soggiacere ad un simile mezzucci si sarebbe dato in pasto ai cannibali; lo stesso 007, sarebbe passato al Kgb. •Fumettistica e sfacciataconclude zia che in privato ha conlessato che quell'altro spot sincopato: «Ome /piaci, estlto osìlllil. che un branco di femmine discinte dietro le sbarre fa precedere da •AaaaAaaa...MmmMmm... MrrRrr.... nei confronti di un uomo vestito in un certo modo, esalta l'uomo-oggetto come solo avveniva nelle crociere di una volta, allora però c'era Qardel che cantava tanghi, ballavi anche tu e capivi tutto quel che diceva. •Parlano come nel primi album di Topolino che ti compravo più o meno quarant'annl fa; sottolinea mamma Memorizza che schiamazzavo per casa: •Colngl Stratacoingl. proprio come fa il cabarettista mascherato quando scopre ' qualcosa d'Insolito all'orizzonte di «Drive In» e finivo con aspri •Cruncl Crune/» che adesso si applica alle patatine, ma per me erano fette di pane abbrustolite con sopra poco burro e tanta marmellata. •Swooooossssssh* che si pronùncia •Swuuuuussssh. era sfrecciare; •Ooopps.: ecco fatto; •Mmmm. seguito da nota musicale: soddisfazione come da profumo di torta che poteva essere an nunciato da -Sniif, anlff., annusare. E .Art, art. era ' mugolare di cane contento. Mamma se II ritrova tutti In tv questi suoni scritti e poi reinlerpretati, ma è come se avessero cambiato significato. Mamma dice che a questo punto ascoltare per tutta la notte un architetto del grande «A» spiegarti come mai le maniglie del cassetti non usano più, è un grande relax; poi ha un guizzo di malignità e dice che adesso gli sposi vittime di quella pubblicità •// deportano a Porto Rico: Emio Donaggio TORINO — Tutto è cominciato nel mese di settembre, quando Ugo Gregoretti, nuovo direttore del Teatro Stabile di Torino, si era simbolicamente affacciato alle finestre del suo ufficio in piazza Castello per annunciare l'apertura dell'.anno dannunziano». L'unico a prenderlo sul serio, racconta ora Gregoretti con un sorriso ironico, è stato l'Assessore Comunale alla Toponomastica: «Vuote Intitolare una strada a D'Annunzio, e mi ha chiesto di scoprire la lapide: non che si tratti di una via molto gratificante, un vicolo a Mlrafiort credo. Ma almeno avrò lasciato a Torino un segno tangibile del mio passaggio.. Fin qui, il risvolto comico, o quasi. Il resto, che è cronaca di questi giorni, lo è assai meno: 11 primo spettacolo della trilogia dannunziana, «I figli di Iorio» (per la regia dello stesso Gregoretti) è pia eluto con moderazione; il secondo, «Itala Film Torino», realizzato da Giancarlo Sepe è stato disertato in massa dal pubblico pagante e dagli abbonati, e ha trascinato lo Stabile in una ridda di polemiche. Infine, «n Vittoriale degli Italiani»: doveva rappresentare il compimento del discorso dannunziano, e probabilmente non si farà nemmeno. E in questo caso Ugo Gregoretti lascerà Torino. •E' cosi, ma ci tengo a precisare che non si tratta di un capriccio: mi hanno insegnato che è dovere di un galantuomo, quando si accorge di aver sbagliato tutto, quello di andarsene. Sema però creare nuovi problemi, il che significa che cercherò di collaborare con lo Stabile per scegliere con oculatezza il mio successore Ma lei è davvero convinto di aver sbagliato tutto? Francamente non ha l'aria di essere pentito... •Infatti non lo sono per niente: continuo a credere, in linea di principio, alle scelte che ho fatto: solo che non hanno interessato il pubblico, almeno in termini di pura quantità Quindi il suo è stato un errore di previsione? •No, perché direi di aver escluso a priori questo tipo di riflessione: in vita mia non ho mai fatto alcunché pensando al pubblico. E questo è, per il direttore di un Teatro Stabile, un grave di/etto: ma siccome io non ho nessuna intenzione di correggermi, questo significa che non sono adatto a ricoprire l'incarico.. Questo, però, lo aveva già detto qualcuno quando fu presentata la sua candidatura. E lei stesso aveva accettato la carica mettendo le mani avanti. Adesso afferma che in qualche modo aveva previ sto anche l'insuccesso di Itala Film: ma allora, a che gioco ha voluto giocare? •Giocare è la parola giusta, io volevo giocare, nel senso più alto del termine, e a Tori- che il costo si aggiri intorno ai 350 milioni, compreso un filmato di un'ora che la Rai ci ha permesso di realizzare a un prezzo poco più che simbolico. Lei aveva detto, un anno fa, che la scelta di D'Annunzio voleva in qualche modo anticipare una «moda» culturale che era già nell'aria...Si era sbagliato? ......No, non credo, D'Annunzio va di moda: ma non a Torino.. Allora, 11 problema principale è proprio Torino? •Io sono convinto che Itala Film avrebbe avuto, a Milano o a Roma, una diversa accoglienza: a Torino il Teatro Stabile è condannato ad essere il grande magazzino del teatrone, a causa di una situazione di quasi monopolio. E in una situazione simile scegliere, avere una linea, diventa rischioso. Anzi, impossibile.. Lei. invece, ha scelto... ■SI, perché sono convinto che questa debba essere una delle funzioni del teatro pubblico. Forse bisognava semplicemente sorreggere di più queste scelte, promuoverle... La morale, in tutta questa storia, sembra essere poco confortante: il direttore di un teatro pubblico deve essere un «burocrate» e non un «creativo»? •Deve essere uno capace di misurarsi con problemi che solitamente non angustiano l'animo di un regista. In questi anni, poi, il pubblico che è tornato a riempire i teatri e t teatri si sono impegnati a fornire quasi esclusivamente ciò che piace al pubblico: se il successo diventa il valore preminente, allora è giusto che sia cosi..... Ma 11 successo è una delle condizioni di vita del teatro, pubblico e privato... •Lo è, ma allora io mi domando: in che cosa può distinguersi Il teatro pubblico, rispetto a quello privato? Se i teatri stabili vivono come fatti fortemente negativi la diminuzione del consenso, il calo degli abbonati in una singola stagione, allora cosa ci distingue da Lucio Ardenzt?.. Più che giusto, ma questi sono interrogativi che da anni l'ambiente del teatro si pone. E che sicuramente tei conosceva già bene prima di cominciare... «Lo sapevo, forse, ma non ci avevo mai pensato: prima, insomma, avevo una visione un po' idealizzata del teatro pubblico.. E magari ha gestito il teatro con un pizzico d'ironia in più rispetto alle consuetudini? «Si, anche questo è vero. La mia non voleva essere una celebrazione acritica del Vate, ma un invito a divertirsi su D'Annunzio. E' Il sostrato Ironico delle mie scelte che non è arrivato al pubblico, e dire che non era poi cosi difficile da cogliersi. Ma forse, qui, c'entra proprio Torino Ugo Gregoretti no ho trovato pochi compagni di gioco. Mi sono spesso sentito come uno che gioca a tennis contro il muro. Ma non esageriamo: io ho tentato di fare delle cose, e sono convinto di aver offerto al pubblico due spettacoli di qualità, ironici, innovativi, curiosi e, dato non indifferente, a costi contenuti. La ragione per cui non ho perso il buonumore sta nella consapevolezza di non aver causato danni reali: non ho giocato irresponsabilmente con le risorse del teatro, insomma..... Quanto sono costati 1 due spettacoli? •La cifra per l'allestimento de I figli di Iorio è stata coperta quasi interamente dal contributo del Festival di Benevento, e la compagnia non era certo delle più costose. In quanto a Itala Film, credo Stefania Miretti ROMA — E' una pigra e soleggiata domenica mattina. Pochi gli italiani in giro, e pochi i ramoscelli d'olivo nelle mani dei turisti che si soffermano a guardare senza fretta i morbidi colori del profilo di Roma dall'alto di Trinità del Monti. E' la prima vera mattinata primaverile ufficiale, a una settimana da Pasqua giorno di rinascita, di ritorni... Jackson Browne, in un angolo del ristorante panoramico, sta ordinando, meta in italiano e meta in inglese, e scatta' foto-ricordo della fidanzata, Daryl Hannah, un po' assorta, timidamente sorridente, e molto tenera, in controluce. Un perfetto quadro da giovani turisti americani, alle prese con i cambi delle monete, il vegetarianismo, i racconti di anni passati oltreoceano e la contemplazione del panorama. E' anche un perfetto quadro esistenziale, d'altro canto. E' tempo di rinascita ■pubblica» anche per Jackson, alla fine di un «promotour» europeo per l'uscita di CARLO MASS ARENI / Intervista al ristorante la tenerezza casalinga di ragazzo-padre. Per quanto la sua popolarità non abbia raggiunto quella di Dylan o Springsteen, sicuramente è stato ed è con Jonl Mitchell e Léonard Cohen quello che ha parlato della propria sfera emotiva con maggior ricchezza di linguaggio e maturità letteraria. Con tutti i grandi succitati, divide il dono raro della universalità di un linguaggio visuale e sintetico, ma di infinite possibili riletture. In più Lives In the Balance è anche un grande album'musicalmente parlando, in cui la tensione creata dalle parole si sposa a suoni e atmosfere altrettanto potenti e coinvolgenti. La limousine blu è già a porte aperte (•Sono tre settimane che non vedo mio figlio, è tanto, devo ripartire.). Ben tornato, o meglio, ben ripassato qua a primavera tempo di resurrezioni. E a ottobre, nel suo segno zodiacale della Bilancia la rockstar più umana mai incontrata in tutti questi anni sarà di nuovo sui nostri palchi. Carlo Massarini