Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Coraggio perii Duemila L'Enea (Ente Nazionale per le Energie Alternative) pubblica una bella rivista, ricca di statistiche, analisi e immagini, che non è purtroppo destinata a diffusione popolare; cosi le cose lucide, che il suo presidente Umberto Colombo viene periodicamente riproponendo, non sembrano avere quell'eco di dibattiti e di scelte operative che meriterebbero. La proiezione delle previsioni e delle aspettative va ormai al di là del traguardo sin troppo vicino del Duemila e sembra delineare spazi sempre più ristretti per decisioni sempre più urgenti. Quale componente non d'avanguardia della comunità dell'Occidente europeo, l'Italia rischia di diventarne il ventre molle, se dovessero inasprirsi nel futuro quei fattori di regresso e di emarginazione che da quasi mezzo secolo inducono i profeti di sventura a parlare di «declino dell'Occidente». Si sono in parte dileguati alcuni spettri minacciosi. Nessuno pensa più, oggi, che il crollo degli imperi coloniali segni la fine di un benessere fondato sullo sfruttamento dell'arretratezza, o che il calo demografico estenui gli eserciti, o che le rivalità tra le potenze europee ne abbiano minato irreparabilmente il primato. Su un altro terreno si disputano le sfide del futuro, che è quello del progressivo affinarsi delle tecnologie e della competitività internazionale, all'interno di una concorrenza ormai planetaria. Essere sconfitti in questa contesa significa dover ripiegare su livelli di vita più modesti Fabbriche automatizzate, robotizzate, regolate dai computer, stanno per trasformarsi in realtà diffuse, imposte dalla necessità. L'espulsione dell'uomo dalla fabbrica, la disoccupazione che ne consegue, sono un fenomeno doloroso (e che esige correttivi e iniziative), ma irreversibile; a tempi non lunghi può essere compensato da tre fattori positivi: la crescita dell'imprenditorialità e degli investimenti produttivi, il dilatarsi delle aspettative di beni e di servizi (non ultimi, i nuovi imI pieghi nella robotica e nelI l'informatica), infine l'ormai massiccia diminuzione delle nascite. Ne emergerà una società molto più dinamica, mobile e intraprendente, con molteplici occasioni di lavoro a tempo parziale o addirittura da svolgere a domicilio, con possibilità oggi impensabili dischiuse a iniziative di modeste dimensioni, appoggiate a organismi in grado di fornire conoscenze, sistemi, «pacchetti» di informazioni utilizzabili per le produzioni più disparate. Gò consentirà di ridurre radicalmente i vantaggi oggi decisivi dell'economia di scala e di restituire spazi all'iniziativa e all'intelligenza. Dovrebbe infine moltiplicarsi la ricerca di nuovi materiali altamente specifici rispetto alle destinazioni d'impiego e facilmente bio-degradabili per ridurre l'inquinamento ambientale; più in generale, si prevedono riduzioni sensibili nella produzione di beni di consumo superflui per esaltare invece la produzione e la circolazione dei beni immateriali o «intellettuali», dalle banche dei dati tecnici ai grandi archivi, liberamente accessibili a tutti, della cultura, dell'arte e della scienza. Una società così mossa, estrosa, individualistica, cioè sostanzialmente più «libera», dovrebbe trovare fra noi agevole sviluppo proprio in armonia con i caratteri dell'italiano comune, insofferente di strette discipline, ma inventivo e operosissimo ove si tratti dell'interesse proprio. Siamo dunque di fronte a prospettive che sembrano addirittura tagliate su misura per la nostra gente. Stupisce invece una certa sordità, o disorientamento, dell'opinione pubblica, il tenace arroccamento sulla situazione attuale. Va dunque da se che l'adeguamento al futuro dev'essere prima di tutto una presa di coscienza, un fatto di cultura. Fattori di arretratezza e di confusione non mancano. Qualcuno, ad esempio, getta discredito sulla tecnologia, che dovrebbe finire per disumanizzarci, senza essere in grado di risolvere i gravi problemi della convivenza sociale. Sarebbe come dire che l'invenzione della ruota o del lume a petrolio non ha redento il genere umano dall'egoismo o dall'avidità. La tecnologia è uno strumento, e sta in noi farne un uso buono o cattivo. Per intanto essa ci ha consentito di avere un tetto, cibo sufficiente, quarant'anni di vita in più, analgesici contro il dolore, veicoli rapidi, strumenti d'informazione in tempo reale e denti finti per continuare a masticare anche da vecchi. Altri suggerisce che non siamo giapponesi e che una fabbrica di allucinante efficienza non fa per noi: uh errore di prospettiva, perché la fabbrica «finale» automatizzata non avrà finestre, ni illuminazione, né riscaldamento, né giapponesi, e gii uomini staranno fuori, al sole, a premere bottoncini e a pensare. Altri si preoccupa della divaricazione fra le «due culture», quella scientifica, che vorrebbe dominare un mondo senza spirito, e quella umanistica, nobile, religiosa, ma ridotta all'impotenza. Oggi però, con la dilatazione dello scibile, le culture non sono più due, ma migliaia e migliaia, variamente compenetrate e articolate. Più l'uomo sarà libero dal bisogno e dalla fatica, più avrà tempo per leggere (anche il Vangelo). Se è vero, com'è vero, che quello che più ci fa difetto in vista del Duemila è una scuola rigorosa ed efficiente, non sarà il «buono» di Stato per le scuole confessionali ad aprirci la mente sulla realtà del prossimo futuro.

Persone citate: Cattivi Pensieri, Umberto Colombo

Luoghi citati: Italia