Reagan e i dodici solisti di Arrigo Levi

Reagan é i dodici solisti Reagan é i dodici solisti Ancora una volta una crisi mediterranea - ha suscitato qualche tensione tra l'America c l'Italia. L'azione della Sesta Flotta nel Golfo della Sirte è stata da noi giudicata, pubblicamente, inopportuna anche se legittima; e le nostre «preoccupazioni» — cosi Craxi le ha definite ieri, con espressione morbida, nell'incontro con il segretario di Stato americano — non sono piaciute all'opinione, pubblica statunitense, se non al governo di Washington. Ci compiaciamo del tono caldo e amichevole del comunicato italo-americano. Ma l'intero episodio impone una riflessione più approfondita; uno scioglimento meno rapido e indolore avrebbe potuto avere conseguenze serie sui rapporti italo-americani. Più in generale, si sono dimostrati ancora una volta inadeguati i meccanismi di consultazione non solo tra Roma e Washington, ma tra America e Europa. Questo problema si ripresenta ad ogni crisi. In un'alleanza di nazioni Ubere, beninteso, le divergenze non danno scandalo, anzi stupirebbe che non ci fossero; la Nato non è il Patto di Varsavia. Ma l'interdipendenza tra gli Alleati è una realtà, e i dissensi aperti sono un danno per tutti. Nel caso della Libia l'azione americana ha avuto motivazioni complesse, anche interne: Reagan voleva andare Incontro alle frustrazioni dell'America di fronte ai misfatti del terrorismo, e forse recuperare a destra Un credito compromesso dall'abbandono di Marcos. Poi c'erano ragioni di politica globale. All'inizio di una nuova fase dei rapporti con l'Urss l'America ha probabilmente voluto lanciare a Gorbaciov un «segnale» non equivoco. All'accusa di «neo-globalismo» ha cioè risposto, coi fatti, confermando che l'America è effettivamente potenza globale, con mezzi sufficienti per essere presente in tutte le crisi, e che di ciò Gorbaciov deve tenere conto se vuole instaurare una nuova distensione. Del fatto che l'America, garante della nostra indipendenza, sia una superpotenza globale, I che si comporta come tale, noi europei non possiamo certo dolerci. Ma se noi italiani abbiamo giudicato l'operazione Sirte «inopportuna» ciò si deve al fatto che l'abbiamo analizzata, correttamente, in termini di politica regionale, per gli effetti che avrà cioè sul terrorismo e sul quadro mediorientale. Da questo punto di vista l'azione americana è sembrata controproducente non soltanto a noi, ma a quasi tutti gli alleati mediterranei dell'America: Spagna, Grecia, Egitto, anche Israele, se si dà ascolto alle opinioni reali, e non a quelle ufficiali, di Gerusalemme. Purtroppo il dittatore libico esce rafforzato, non indebolito, da questa crisi. Per di più, l'operazione presentava dei rischi di allargamento, che l'America giudicava, magari con ragione, limitati, ma che investivano più direttamente di tutti l'Italia. L'azione della Sesta Flotta suscitava infatti confusione tra il quadro «atlantico» e quello nazionale, e coinvolgeva impropriamente gli alleati atlantici dell'America, prima fra tutti l'Italia, nelle conseguenze di un'iniziativa intrapresa senza consultarli, e neppure informarli. Meglio sarebbe stato che le consultazioni ci fossero state, e che l'America, invece di coglierci di sorpresa, avesse prioritariamente chiarito nelle sedi appropriate il carattere «non atlantico» dell'operazione; si sarebbe così evitato che ques' chiarimento lo chiedessero poi gli alleati e che l'intero episodio finisse per avere effetti dannosi sulle due opinioni pubbliche. Cosi come sono andate le cose, gli americani si convinceranno ancor di più che gli italiani, e gli europei in genere, sono alleati deboli ed infidi; e gli europei diffideranno vieppiù dell'irruenza americana. Probabilmente era, in questo caso, impossibile far coincidere i punti di vista «regionali» degli europei con quello «globale» dell'America, e conciliare umori «interni» diver- genti. Ma era sicuramente possibile evitare, con tempestive consultazioni, la frattura aperta tra gli alleati. Purtroppo un altro problema serio è stato messo in.evidenza dal «caso Libia», e riguarda l'Europa. Anche in questo caso, ogni coordinamento tra i Dodici della Comunità è risultato impossibile; è stato tentato il primo giorno, ma senza successo. Già dopo il massacro di Fiumicino i 12 non erano, del resto, nemmeno riusciti a mettersi d'accordo per denunciare pubblicamente le responsabilità della Libia (l'aveva fatto solo Craxi), col risultato di giustificare almeno in parte la successiva azione unilaterale dell'America. La verità è che la cooperazione politica a dodici non funziona, e non può più funzionare, certo non in caso di crisi. Non dovrebbero allora le grandi potenze europee — Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna — studiare meccanismi pratici per stabilire, almeno tra loro, un adeguato «crisis management»? Arrigo Levi

Persone citate: Craxi, Gorbaciov, Reagan