Fedora senza speranza è proprio insopportabile di Massimo Mila

Fedora senza speranza è proprio insopportabile A Verona l'opera di Giordano, regista Cobelli Fedora senza speranza è proprio insopportabile dal nostro inviato VERONA — Quest'anno è in atto, nella stagione lirica, una specie di controffensiva del verismo. Ha cominciato Roma con la «Cavalleria rusticana» accoppiata al nuovo «Salvatore Giuliano* di Lorenzo Ferrerò, poi 11 comando delle operazioni è passato a Verona, dove recentemente è stata avanzata una proposta dell'.Amico Fritz» di Mascagni, ed ora della Fedora di Giordano In scena al Filarmonico. L'attacco a fondo avverrà in estate, con V «Andrea Ohénier» all'Arena. Non c'è niente di male, anzi, è giusto ed Opportuno che si offrano queste occasioni di rivisitazione d'un periodo e d'uno stile che sono stati, secondo quanto lamentano alcuni, demonizzati, oppressi ed estinti dalla bieca cricca della «musica moderna». Perché no? — si pensa — potremmo davvero essere stati fuorviati da uno zelo missionario quando abbiamo opposto beneficio d'inventario a questa eredità lasciataci dalle generazioni precedenti, forse slamo stati ingiusti, chissà, adesso, calmate le polemiche, raggiunto lo scopo di un equlparamento della musica Italiana alle tendenze direttrici dell'arte contemporanea — Debussy, Strauss, Strawinsky, Schonberg — può darsi che quelle delizie melodrammatiche del nostri nonni ci si presentino sotto una luce nuova, meritevoli almeno di affettuoso ricordo. Ahimé no. Perfino la «Cavalleria rusticana» s'è buscata una feroce stroncatura da uno del più esperti studiosi della «musica nuova», «L'amico Fritz» ha riscosso qualche giudizio di compatimento indulgente, e questa Fedora, di cui conservavamo un vago ricordo lontano, non del tutto negativo per certa varietà di ori brillatiti al di fuori del dozzinale nucleo drammatico, bene, questa Fedora è proprio cosa insopportabile, quasi Indecente, per supina aderenza a una conce' zione programmatica di dramma musicale (quanto Wagner c'è, Imborghesito, specialmente nel terz'attot), dove alla musica è negata ogni autonomia, schiacciata com'è sopra la bistecca al sangue dell'intreccio ro¬ manzesco. . . il difetto sta nel manico, d'accordo: nella passionalità sbracata della concezione. Ma bisogna anche dire che la situazione è aggravata dalla modestia, per non dire la carenza musicale. Modestia d'Invenzione, non di mezzi, che anzi la partitura è dignitosa, come infatti la ricordavamo, curata con una sapienza che non si può mettere in discussione. Ma il discorso, con quei pochi pezzi famosi come «Amor ti vieta», «O grandi occhi lucenti», con le oleografiche vignette di canzoni •montanine», e con l'abbastanza brillante affresco della musica da ballo nell'atto parigino, è un tira e molla continuo di gomma da masticare che periodicamente si esibisce nella sua brava erezione fino all'acuto. Non credo che di questa impressione pesantemente negativa si possa dare responsabilità all'esecuzione. Bruna Baglioni sfoggia mezzi vocali sicuri e si destreggia in scena tra Ouldo da Verona e Francesca Bertlnl nel panni dell'ardente principessa Romazov. Il tenore Giorgio Me righi non sarà certo da avvicinare al primo interprete dell'opera. ch'era Caruso, ma insomma si comporta onorevolmente; non ha molto squillo ma dispone di timbro commovente, si dispera con sincerità, vive la parte, come si suol dire, e spicca bene le parole, cosa che pochi altri nella compagnia fanno. Renata Daltln porta quella dose di vivacità e di frivolezza con cui 11 personaggio di Olga è incaricato d'aprire una parentesi di leggerezza In tanto rovello di passioni. Vincente Sardinero, Bruno Grella, Angelo Luongo emergono tra la folla di comprimari, che del resto tengono bene le parti assegnate, e col loro numero riducono a poca cosa la partecipazione del coro, istruito da Aldo Danieli il tutto governato con precisione incisiva da Massimo de Bernard (L'orchestra è naturalmente quella dell'Ente Arena di Verona). La regia di Giancarlo Cobelli ha l'aria di divertirsi con il kitsch della recitazione, del costumi e dei gesti. Invece le scene di Maurizio Baiò (cui si devono pure gli appropriati costumi) sembrano prendere tutto maledettamente sul serio e caricano l'oleografia del gran mondo pletroburghese e parigino di ambiziosi soprasensi, come per portarne un severo giudizio storico. Sono scene anche pregevoli, ma sempre scure e indistinte. Non sai mai bene se sei in casa o all'aperto. Ne viene segnato a lutto lo splendore della festa nel salone parigino, contraddicendo alla natura estroversa di quel grande ballabile che è forse 11 pèzzo meglio riuscito di tutta la partitura. Nel terzo atto, quello svizzero, le montagne dell'Oberland bernese sono in vece dolomitiche, simili a quelle di Cortina, e rischiarate pallidamente da un astro rotondo, che non si sa bene se sia il sole o la luna. ' Se noi non-abbiamo mutato Hi'JHiehle» B 'nostro parére Sul verismo in gerìere e su Fedora in particolare (che non ne è uno dei prodotti migliori), bisogna dire che 11 pubblico ha fatto altrettanto e conserva un entusiasmo incondizionato per l'alta temperatura passionale dell'opera, il successo è stato vivissimo, con frequenti applausi In scena e ripetute chiamate ad ogni atto. Massimo Mila

Luoghi citati: Cortina, Roma, Verona