Così Reggio Emilia conquista l'America di Alfredo Venturi

Così Reggio Emilia conquista l'America VIAGGIO NELLE CAPITALI DELLA PROVINCIA EMERGENTE: LAMBRUSCO, MOTORI E QUALCHE FOLLIA Così Reggio Emilia conquista l'America DAL NOSTRO INVIATO REGGIO EMILIA — «Una densità umana, una capacità d'estro e d'impulso... una speciale e geniale follia... una provincia carica di potenza inespressa». Cosi Guido Piovine a proposito di questa città. A trenfanni da quelle parole, Reggio la sua potenza ha trovato il modo di esprimerla. Oggi è forse la città emiliana più dinamica. I suoi prodotti sono di casa in tutto il mondo: dal vino ai motori, dagli elettrodomestici ai formaggi, dalle trattrici alla moda. La produzione delle imprese reggiane, private o cooperative, viene per metà esportata. Una vitalità produttiva, una capacità commerciale che non finiscono di stupire, che molti considerano miracolose. Ma qui non si ama la parola miracolo: non soltanto perché questa è terra di tradizione laica, ma anche perché la gente, di forte radice contadina, detesta le metafore e la retorica, tiene i piedi bene ancorati a terra. Qui si pratica ciò che gli inglesi chiamano understatement e gli americani basso profilo: insomma si rifiutano le parole grosse e le ostentazioni. Niente miracolo dunque. •No, non parlerei di miracolo., dice Walter Sacchetti, senatore comunista, presidente delle Riunite. Allora, com'è andata che avete inondato le Americhe di lambrusca? Il responsabile della più sorprendente cooperativa del mondo (in un anno un milione e mezzo di ettolitri, 165 miliardi di lire, venduti all'estero per i quattro quinti) allinea le ragioni del successo. •Ecco, negli Anni 60 sono mutati 1 gusti: la gente nel mondo ha cominciato a apprezzare 1 vini giovani, leggeri, frizzanti. Ora noi qui, da sempre, produciamo il lambrusco, che è 11 re di questi vini Sacchetti elenca altre circostanze favorevoli. Per esempio una malattia degli olmi che ha tolto di mezzo i sostegni tradizionali dei vigneti. E cosi si è accelerata la creazione di vigneti più moderni, più produttivi, accessibili alla vendemmia meccanizzata: e con vantaggi anche sul lato della qualità. Per esemplo il bizzarro ma¬ trimonio fra la cooperativa rossa e un'impresa capitalistica, la società americana Villa Banfi. Un giorno, alla Fiera di Milano, Sacchetti se ne stava nel padiglione delle Riunite, quando gli si avvicinò un tale: .Sono John Mariani della Villa Banfi di New York. Importo vino italiano. A Francoforte ho assaggiato il vostro lambrusco, credo che in America potrebbe sfondare. Possiamo metterci d'accordo». Era il '68, cominciava cosi una straordinaria avventura commerciale. Da allora, dice Sacchetti, «abbiamo fatto investimenti per quaranta miliardi, tutti ammortizzati. E con la Villa Banfi, al 50 per cento, abbiamo fatto il nuovo stabilimento di Campeglne, entrato in produzione da due anni». Qualche problema per il dollaro calante? Sorriso radioso: «No, a suo tempo si è deciso di operare in lire! ». Il peso del mutato rapporto dollaro-lira è dunque a carico dell'importatore. Quando si dice i piedi per terra: qui non si sono lasciati sedurre, a suo tempo, dalla tentazione di lucrare sul rialzo apparentemente sema fine della moneta americana. «Noi lavoriamo sui preventivi, dice Sacchetti, e ci sembra corretto evitare la variabile valutarla». 71 cooperatore comunista parla di spirito d'impresa: «Slamo pronti a confrontare 1 nostri costi di produzione con qualsiasi imprenditore privato». Il peso della cooperazione, a Reggio, è enorme. Ci sono le Riunite per il vino, c'è la Giglio per ti latte e i derivati, c'è una folta presenza nel settore alimentare, nell'edile, nei trasporti, nei servizi. «Soltanto qui poteva accadere che una cooperativa affrontasse 1 grandi mercati misurandosi alla pari con le imprese private». La struttura offre dei vantaggi, come le agevolazioni legate al fatto che sono considerate agricole le cooperative che trattano, sia pure con procedure industriali, prodotti dei campi. Ma anche svantaggi: come l'impossibilità di attingere al mercato delle obbligazioni. A Reggio, dice il sindaco Ugo Benassi, la cooperazione ■non è soltanto un fatto eco¬ nomico, è anche un fatto di cultura». Ricorda che dopo Helsinki questa, è la città d'Europa con il più fitto tessuto cooperativo. «Mettersi insieme, per noi, è il modo naturale di operare». Non soltanto nelle cooperative, ma anche nei consorzi, nelle associazioni. Ciò facilita certe innovazioni: per esempio, l'informatica, inaccessibile in proprio alla maggior parte delle aziende reggiane, cooperative o private, che sono di piccole dimensioni, diventa accessibile come servizio collettivo. E cosi l'innovazione va avanti anche nelle imprese minori: lo conferma Luigi Mescoli, direttore dell'Associazione industriali. Quanto alle maggiori, come la Bombardini, motori diesel, o la '.andini, trattrici, ora della canadese Massey Ferguson, o la Smeg, che produce elettrodomestici a Guastalla, sono tecnologicamente aggiornatissime. O le Reggiane, di proprietà pubblica, che costruiscono materiale ferroviario. Imprese, queste, che occupano fra i 600 e i 1000 dipendenti, con la punta dei 1350 della Lombardini. In passato le Reggiane hanno avuto fino a 14 mila operai. Erano gli anni della guerra, quando da questa fabbrica uscivano aerei e altro materiale militare. Inevitabile, dopo, la riconversione: con duri sacrifici di manodopera. Furono tempi difficili, lo scontro sociale raggiunse punte di asprezza cruenta. «Eppure, dice Mescoli, quella fu per Reggio l'occasione storica». Infatti moltissimi operai licenziati si misero in proprio, e molti con la loro perizia, con la loro rabbia, fecero fortuna. Achille Maramotti, titolare della Max Mara, individua nella «cultura dell'interesse», implicita nella tradizione mezzadrile e niente affatto contraddittoria rispetto allo spirito cooperativo, il segreto di simili successi. Mescoli cita un caso per tutti: quello di Mirko Landini, operaio senza lavoro allora e oggi titolare di un'impresa, la Itamiant, che produce materiali in amianto-cemento, con duecento dipendenti. Un caso esemplare di riuscita individuale è quello di Maramotti. «Avevo la laurea in legge e nessuna voglia di fare l'avvocato. Mia madre era maestra di taglio. Nel '47 andai in Svizzera a studiare il francese, e intanto lavoravo in una fabbrica d'impermeabili. Al ritorno, misi su il primo laboratorio». Oggi la Max Mara è una holding: cinque società, otto stabilimenti fra il Reggiano e il Cremonese, 350 miliardi di fatturato, un terzo della produzione esportato. Del resto quella di mettersi in proprio è un'aspirazione ricorrente da queste parti, e contagia persino gli immigrati. A Reggio vivono più di mille nordafricani, bene inseriti fra questa gente cordiale e generosa. Miracolo anche questo? Il sindaco Benassi fa discorsi realistici. •Abbiamo fatto grandi passi avanti, ma ci rendiamo conto che tenere le posizioni non è impegno da poco». Parla del nuovo piano regolatore, un modello urbanistico d'avanguardia, della scelta di un consolidamento attraverso la qualità. Parla di una tradizione ben radicata qui. la solidarietà internazionale. Questa è la città che ha curato, nel suo ospedale, i feriti della guerriglia nelle colonie portoghesi. Fra poco partirà per una di quelle ex colonie, il Mozambico, una nave carica di aiuti. E' la terza «nave della solidarietà»; nel quadro di una politica, gestita da questo Comune, che ha anticipato la politica nazionale degli aiuti al Terzo Mondo. E che ha avuto le sue brave ricadute: un capitale di simpatia che ha fruttato commesse, affari. Il sindaco parla della vivace vita culturale che anima la città. Storicamente a disagio fra le due orgogliose capitali degli antichi ducati, ugualmente lontana dall'eleganza di Parma e dalla grazia scontrosa di Modena, la rustica Reggio ha superato, si direbbe, i vecchi complessi. Per esempio si è presa la briga di organizzare un'affascinante esplorazione, filmica e fotografica, letteraria e musicale, di una strada, la Via Emilia, che è qualcosa di più di una strada. Ne emerge l'animatissimo ritratto del corso principale di una città-regione. l'Emilia-Romagna. Della cultura a Reggio mi parla Guido Zannoni, direttore dell'ente teatrale. Una città di centoventimila abitanti, ricorda, e due teatri, il Valli e l'Ariosto, intensamente attivi nella prosa e nella lirica, nella concertistica e nel balletto. Fedele alla filosofia locale che ho definito dell linderstatement, Zannoni rifiuta l'etichetta, più volte applicata a Reggio, di capitale della danza. Non sarà la capitale della danza, ma è la sede di un'attività di balletto seguita a livello internazionale. Quest'anno sono in cartellone le compagnie più prestigiose, da Martha Graham a Maurice Béjart. Qui il teatro è importante: vi confluiscono, dice Zannoni, «gli interessi, la passione, la curiosità, il piacere di incontrarsi». Pochi giorni fa. quando è venuto Cossiga. gli è stato offerto uno spettacolo prodotto qui: il Didone ed Enea di PurceH, messo in scena da Pier Luigi Pizzi. L'occasione era importante, anche perché dopo tante polemiche (è milanese o reggiana la data di nascita della bandiera nazionale?), e dopo la contrastata vittoria di Reggio, la visita del Presidente chiudeva la «guerra del Tricolore». Ma ecco che scatta di nuovo la molla dell"understatement: «Per carità, dice il sindaco Benassi, non chiamiamola guerra, non chiamiamola vittoria». Alfredo Venturi