Gli allegri falliti di Masolino D'amico

Gli allegri falliti MALAMUD EI SUOI EBREI D'AMERICA Gli allegri falliti Quasi contemporaneamente, presso editori diversi, poco più di un anno fa sono stati tradotti di Bernard Malamud il primo romanzo, del '52, e l'ultimo, scritto trent'anni più tardi: // migliore (titolo originale, The Naturai, ossia «Talento naturale»), e Dio mio, grazie; due libri assai dissimili c forse anche non troppo caratteristici dell'autore, che quindi ci guarderemo bene dal prendere rispettivamente come il punto di partenza e quello di arrivo della sua ammirevole carriera; due libri tuttavia ricchi di fascino e non facili da dimenticare. // migliore, che ha dovuto il suo rilancio a un film con Robert Redford, era stato preceduto da almeno un decennio di attività nel campo della short story, e costituisce un unicum nella produzione del romanziere Malamud, in quanto è il suo solo rèdi lungo i cui personaggi non siano ebrei. E' la storia di un giocatore di baseball dall'immenso talento, il quale, reso invalido da uno scherzo della sorte prima ancora di essersi affermato, riesce a tornare a galla a }4 anni, ossia quando uno sportivo è di solito decrepito, c a vivere almeno una favolosa stagione prima di riaffondarc nell'ombra. 11 libro, che incontrò un successo moderato, rivelava uno splendido talento di narratore, oltre che il desiderio di rendere omaggio all'AmericaAmcrica dei Ring Lardner o addirittura degli Hemingway. Rileggendolo oggi tuttavia vi si trovano anche indicazioni di una componente fiabesca, meravigliata, alla Chagall (sbarazziamoci subito di questo nome, tanto spesso evocato : proposito di Malamud), cospi diamente assente, non c'è dì sogno di dirlo, dal prodotto hollywoodiano. Dio mio, grazie, col quale Malamud purtroppo ci ha lasciati, è invece un apologo allarmante ed ebràicissimo", còri' un, palcologo figljo di( rabbino, Calvin Cohn, ùnico superstite, ma in seguito a un errore da parte delle alte sfere, di un nuovo diluvio universale (per la vcrirà, di una guerra termonucleare fra «Djanks» e «Druzhkis»), insieme con uno scimpanzè educato a parlare e ad altri primati meno evoluti di costui. Cohn tenta di fondare una nuova razza fecondando una scimmia' e educando le altre, ma i quadrumani si ribellano e finiscono per sacrificarlo in cima a un monte, novello Isacco senza angelo salvatore. Questi certamente casuali Alfa e Omega della produzione narrativa di Malamud esibiscono peraltro due caratteristi che che lo scrittore rivelò fino dagli esordi, e che non avrebbe smentito fino all'ultimo. La prima è quella Lmt zu fabulieren, secondo l'espressione goethiana, ossia quel piacere di raccontare — e di raccontare brillantemente, vivacemente, con risvolti nel capriccioso e nel fantastico — che ramificandosi nelle sue vene ha come lontana origine quel cor so maestro da cui discendono anche i suoi confratelli I. B. Singer, S. Bellow, Sholom Aleichem, Philip Roth. La se conda caratteristica, o forse dovremmo dire qui il tema, è l'attenzione ai falliti, ai soccombenti, ovvero ai lottatori sfortunati. Il tipico eroe di Malamud è un ebreo sconfitto, il cui tipico antagonista è un gentile crudele; di solito la contrapposizione avviene in termini così netti da conferire al conflitto una qualità emblematica, con aggettivo che abbiamo già adoperato, fiabesca. La figlia del protagonista di The Assistani («Il commesso», del 1962, che rimane forse il romanzo più ammirato di Malamud insieme con The Fixer, «L'uomo di Kiev», del 1966), uno spento droghiere a nome Morris Bobcr, dice di suo padre: «Con quel nome non si poteva avere alcun senso di sicurezza della proprietà, era come se si avesse il non possedere ni il proprio sangue ni la propria storia, o se per qualche miracolo si fosse posseduta qualche cosa, era come se ciò fosse avvenuto solo nel rischio continuo di perderla». Questo umile personaggio, sfuggito ai pogrom russi per trovarsi nell'America della depressione, alle prese con lo spettro della miseria e con incomprensione dei familiari, riversa il suo affetto, un po' come il Bloom joyciano, su di un giovane goy che si prende in casa come commesso, il quale lo ripaga stuprandogli la figlia. A sua volta Bobcr reagisce perdonando, e accogliendo il reo gli impone tutto il peso della propria ebraicità. Ma dicendo a costui «ora sposa mia figlia, eredita il mio negozio, diventa me stesso», in fondo ebreo tradito si vendica, omc ha osservato Philip Roth; ora toccherà al gentile assaggiare la sua condizione. Esponente della generazione più giovane — Malamud era nato nel 1914, e inoltre si rivelò tardi, i suoi maggiori successi appartengono agli Anni 60, dopo il National Book e Award vinto coi bei racconti del Barile magico — Roth stesso è un esponente della nuova classe ebraica, ormai piccolo borghese e nutrito da nuove nevrosi, che in lui prendono la strada della provocazióne -brillante. Roth' si ttqv». comunque nella posizio-. ne ideale per percepire ogni sfumatura del vittimismo, o meglio delle vittime presentate da Malamud, e in un saggio intelligente mise una volta l'accento sul significato della violenza che Malamud accumula su certi suoi protagonisti. Dell'Uomo di Kiev Roth scrisse: «Non conosco altri autori seri che abbiano fatto la cronaca della brutalità fisica e della mortificazione della carne così particolareggiatamente e così a lungo, e che abbiamo similmente preso un solo innocente indifeso e abbiano costruito quasi un libro intere sulle incessanti violazioni sopportate da quel personaggio per mano di aguzzini crudeli e perversi, se non Malamud, il Marchese De Sade, e l'anonima autrice dell'Histoire d'Q...». Questa violenza può sembrare, ed è, deliberatamente esagerata: Malamud crea dei miti costantemente intessuti di ironia, chiamandoci paradossalmente a sorridere delle sue vittime, il cui destino, annuncia con rassegnazione beffarda, non potrebbe essere diverso. Tralasciando altri romanzi, fra cui Pìctures of Fidelman: an Exhibition, ovvero «La Venere di Urbino» (1969) e The Tenants («Gli inquilini», 1973), tralasciando anche di dire qualcosa sullo stile caratteristico di Malamud, in quanto certamente impossibile da riprodurre in qualsiasi traduzione (è un americano reinventato su basi yiddish, che non riproduce il gergo delle comunità ebraiche statunitensi quanto lo reinventa, con estrosa espressività), bisogna certo concludere queste brevi norc ricordando l'autore di racconti. y x E' forse in questa specialità tanto radicata nelle tradizioni del suo popolo che Malamud appare più costantemente al suo meglio. Ho sotto mano Stories, un'antologia curata da Malamud l'anno scorso e che presenta il meglio di un quarantennio di attività: un libro, inutile dirlo, che ci si augura di veder tradotto al più presto, e non so se ammirarne di più l'inventiva, la varietà e la capacità mimetica (Malamud sa rifare molto bene ii verso an che ai negri e agli italiani) c la profondità di certe «rivelazioni», che colpiscono i personaggi non meno del lettore, * ★ Due esempi tipici di queste ultime sono il giovane rabbino che si sente in dovere di procurarsi una moglie, indispensabile alla carriera, e pertanto si rivolge a un sensale di matrimoni: e avendo scartato tutte le candidate raccomandabili, finisce perdutamente innàrhbr&ò* 'W 'pròbTèmatica figU'a dicostjui, g^l figlio, che tentando disperatamente di salvare il padre mortalmente malato, ricorre all'opera di un ciarlatano, e quando costui gli estorce una somma, si rende conto con furore non soltanto di essere stato truffato, ma in realrà di non aver mai nemmeno desiderato la guarigione del genitore, che odiava. Masolino d'Amico Bernard Malamud in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Review ot Boote. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.)

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