Prato vuole un altro miracolo di Sandro Doglio

Prato vuole un altro miracolo Speranze e delusioni delle aree grandi e piccole che vogliono diventare Province Prato vuole un altro miracolo Duecentomila abitanti, spera di staccarsi da Firenze perché ha organizzato l'economia industriale in modo diverso rispetto al resto della Toscana - Le fabbriche hanno chiuso e gli operai sono ridiventati artigiani - La figura delFimpannatore, personaggio chiave che decide il prodotto, cura il campionario, tiene i rapporti con i clienti DAL NOSTRO INVIATO PRATO — In trent'anni la popolazione di Prato è più ohe raddoppiata; con la citta è cresciuto quasi di pari passo il suo hinterland. Oli stracci — materia prima povera e colorata degli artigiani pratesi di ieri — non ci sono più c nelle fabbrichete 1 vecchi telai sono stati sostituiti da macchine automatiche: sono arrivati i computers e i robots. Il successo, qui, è tangibile: nelle cose, nella gente, nei negozi, nella qualità di vita. Nell'Italia dei miracoli economici Prato e il suo'circondarlo rappresentano probabilmente uno dei fenomeni più straordinari e appariscenti e sembra durare nel tempo. Adesso i pratesi chiedono di diventare provincia, staccandosi da Firenze. Tra le città d'Italia che aspirano alla prefettura e a una propria targa automobilistica, quello di Prato è un caso un po' anomalo. La città non accampa particolari ra gioni storiche (anche se esi stono) e neppure di campanile. Non ha il timore — come per esempio Lodi nei con fronti di Milano — di essere schiacciata o assorbita dalla metropoli vicina (Firenze è appena a diciannove chilo metri). Non ci sono neppure particolari ragioni religiose come ha Lecco, per esempio, che avendo il rito ambrosia' no è a disagio con i cattolici romani di Como, o come la stessa Lodi, dove la diocesi di rito romano si sente diversa dai cattolici ambrosiani della capitale lombarda. Prato chiede di essere provincia semplicemente perché fa un mestiere diverso, perché ha organizzato la propria economia industriale in un modo differente e originale rispettp al resto della Toscana: perché si sente isola nel lavoro, e nel modo di lavorare. Una storia di mestieri, Insomma, come si conviene alla tradizione toscana. Prato non pretende neppure una grande provincia: sette comuni soltanto. Caso di Trieste a parte, quella di Prato dovrebbe diventare la provincia con il minor numero di comuni in Italia (il massimo è raggiunto da Torino, che raggruppa ben. 315 municipi). Sarebbe anche una delle più piccole per estensione geografica: 366 chilometri quadrati appena, contro, per esempio, gli oltre 6900 chilo metri di Cuneo, che appunto è anche chiamata la -provincia Cranda». L'area provinciale di Prato sarà piccola, dunque, ma densamente popolata: oltre duecentomila abitanti; 11 capoluogo già oggi è la ventitreeslma città d'Italia per popolazione, superando demograficamente ben sette città capoluoghi di regione e addirittura setlantadue sedi di provincia sulle novantacinque che ci sono nel Paese. Prato è un caso che non cessa di essere studiato, e analizzato; non smette di sorprendere e non trova imitatori. Gli americani restano sbalorditi, gli studiosi di casa nostra parlano di «modello», di esempio unico, di «sinonimo di inventiva, capacità di adattamento, rigenerazione imprenditoriale». Da tempi remoti qui si fanno tessuti. Erano, soprattutto, tessuti poveri: la materia prima era prevalentemente costituita proprio dagli stracci, che venivano raccolti in ogni angolo d'Europa, lavati, disfatti e rifilati. Le grandi fabbriche, però, conoscevano difficoltà enormi; la crisi mondiale del tessile degli Anni Cinquanta e Sessanta avrebbe potuto rivelarsi una mannaia per decapitare la città e U suo lavoro. Il •miracolo» Intervenne proprio allora. Mentre le fabbriche chiudevano a una a una (oggi in tutta Prato non esiste più un solo lanificio a ciclo completo), gli operai ridiventavano artigiani; si portavano a casa il telaio acquistato a credito o a prezzi quasi fallimentari; mettevano al lavoro mogli, figli, cognati e parenti vari; si specializzavano ciascuno in una attività particolare. Di fatto, davano vita a una grande, unica fabbrica, costituita da migliaia di minuscole unità operative autonome. Può sembrare un passo indietro rispetto ai tempi, quasi un ritorno a un'organizzazione di tipo medievale. Ma è stata la salvezza e l'inizio del¬ la prosperità di Prato. Per comprendere la città e il suo modello, non si può ignorare la figura fondamentale dell'impanna lare. E' più dell'organizzatore: è il personaggio (ce ne sono più o meno trecento) che fa ricerche di mercato, decide il tipo di prodotto, cura il campionario, i rapporti con i clienti, l trasporti. E distribuisce 11 lavoro rivolgendosi alla miriade di piccoli operatori autonomi, al filatore, al tessitore, al rifinitore che appaiono i più idonei a garantire il meglio per il prodotto finale che si vuole. Spesso, l'impannatore ha soltanto un ufficio con una segretaria e un telex, e si avvale di dozzine di operatori diversi, che a loro volta non sono obbligati a lavorare per un solo lmpannatore, ma possono dare le loro prestazioni a impannatori diversi, secondo le richieste del mercato. Le spese generali sono cosi ridotte all'osso; il rischio è minimo per tutti. C'è elasti¬ cità ed estrema adattabilità. E c'è, naturalmente, anche una vasta plaga di lavoro nero: Prato è probabilmente una delle capitali della cosiddetta economia sommersa. E i finanziamenti? In parte provvede lo stesso lmpannatore, ma l'invenzione che ha reso efficiente e in grado di ammodernarsi continuamente dal punto di vista tecnico e delle ricerche questo singolare sistema è dovuta alla Cassa di risparmio e depositi locale: per consentire anche al piccolissimo operatore di rinnovare i propri impianti, acquistando telai automatici e ultramoderni, la Banca di Prato ha saputo concedere migliaia di prestiti, garantiti da una compagnia di assicurazioni. La fiducia è risultata ben riposta: anche 1 piccolissimi operatori oggi hanno macchine sempre moderne, economiche e ad alto livello produttivo. Soltanto un paio di prestiti su molte migliala, sembra, non sono andati a buon fine. Senza avere né grandi, né medie imprese — ma appunto questo pulviscolo di impresine (sono più di undicimila nell'area che vuole diventare provincia) — Prato dà lavoro ufficialmente a quasi 50 mila persone nel solo settore tessile e conta addirittura il 40 per cento dei fusi di cardato che esistono nel mondo. Si lavora e si comunica con 11 telex, soprattutto (ce ne sono più di mille); ogni anno la posta spedisce un milione almeno di pacchi e di campionari; la dogana locale effettua trecentomila operazioni all'anno. Le importazioni della zona ammontano a mille miliardi di lire; le esportazioni a 2500 miliardi. Il fatturato complessivo sfiora i cinquemila miliardi. Prato e la sua futura provincia rendono allo Stato, in tributi erariali. Iva e dazi doganali, oltre 450 miliardi all'anno. E' sufficiente tutto ciò per avere il diritto a essere prò vincia? I pratesi non hanno dubbi. Anche qui — come a Biella, Lodi, Lecco e Rimini — la -promozione» a capoluogo di provincia è vista come un riconoscimento che lo Stato deve concedere; qui in particolare la creazione della prefettura è interpretata quasi come una patente di nobiltà che la città e i suoi piccoli, straordinari imprenditori si sono conquistati sul lavoro Sandro Doglio