Parigi, il banchetto liberista di Barbara Spinelli

Parigi, il banchetto liberista DOMANI IN FRANCIA LE ELEZIONI LEGISLATIVE: IL MONDO FINANZIARIO COL FIATO SOSPESO Parigi, il banchetto liberista Chirac e Giscard hanno promesso la privatizzazione delle industrie di Stato - Il progetto costituirà il principale nodo della convivenza tra Mitterrand e un'eventuale maggioranza parlamentare a lui ostile - Ma il presidente ha spiazzato gli avversari, concedendo a privati antenne della radio e della televisione -1 retroscena del duello elettorale - Il grande rischio di un gioco al massacro DAL NOSTRO INVIATO PARIGI — Da qualche tempo, il mondo finanziario incetnazionale guarda alla Francia con l'animo sospeso, e come stregato dalla possibilità di una vittoria dell'opposizione. Chirac primo ministro gli andrebbe a genio, ma anche Mitterrand presidente non spiacerebbe. Siamo in tempi di vacche grasse e non è una nuova politica economica che banchieri e industriali attendono con tanta impazienza. Quel che li attira è ben altro boccone: è la restituzione ai privati delle banche e delle industrie e delle compagnie d'assicurazione che Mitterrand ha nazionalizzato nell'82. E' «la Franila che potrebbe mettersi ad imilare il liberismo di Margaret Thatcher», annuncia l'avvocato Jean Loyrettc, il Kissinger delle denazionalizzazioni promesse dall'opposizione. Nessuno sa però come andranno esattamente le cose. La Francia diventerà forse il secondo laboratorio europeo delle denazionalizzazioni, ma l'alchimia si preannuncia molto più complessa che in Inghilterra, e più incerta. Primo perché la gestione socialista non è paragonabile a quella (catastrofica) dei laboristi britannici: checché ne dicano, Giscard e Chirac non cominceranno da zero. Secondo perché all'Eliseo resterà pur sempre un presidente sociali sta. E Francois Mitterrand ha già mandato a dire che ingoia re rospi non è di suo gusto. Che piuttosto preferirà le dimissioni. E aprire una crisi di regime che bloccherà tutto. D'altronde il capo dello Stato ha già vinto la prima manche, nella gara liberista. Inizialmente, Chirac e Giscard mv; o. '. pittila .-. avevano deciso di cominciare con .un gesto simbolico: prima sarebbe venuta la liberalizza' zione del piccolo schermo — era scritto nel calendario — e poi si sarebbe proceduti alle privatizzazioni «pesanti». Affamati di immagini televisive, i francesi avrebbero subito ap prezzato l'alternanza politica. Ma ecco che Mitterrand ha sorpassato i rivali-avversari, con l'abilità di dribblatore che gli è congenita: nel giro di pochi mesi ha affidato a Berlusconi la Rete 5, ha creato un sesto canale di musica rock, ha garantito una settima rete «a vocazione culturale». E ha | messo a disposizione di Hachette le onde radio di Europa-1, controllate fino a ieri dallo Stato. «Da allora l'opposizione barcolla, come avesse ricevuto una mazzata in testa», mi dice Jeanne Villencuve, una giornalista che ha seguito con cura il dossier delle nazionalizzazioni, «i confini fra destra e sinistra si confondono, e l'opposizione non può più guerreggiare sulle libertà confiscate dallo Stato». In altre parole, l'era delle denazionalizzazioni che si profila all'orizzonte non interrompe l'esperienza socialista iniziata nell'81, come pretende l'opposizione, ma paradossal¬ mente la completa. E' il frutto maturo — anche se inatteso — del mittcrrandismo. Così almeno pensano gli operatori economici francesi che abbiamo interpellato, per i quali il liberismo socialista sul terreno dell'audiovisivo non è che la punta di un iceberg, il segno visibile di una svolta che già è avvenuta sul piano industriale e finanziario, a dispetto delle nazionalizzazioni massicce attuate nell'82. Una svolta che Mitterrand non ama confessare, e che l'opposizione volutamente ignora, ma che gli imprenditori hanno vissuto in prima persona fra l'83 e l'86, negli anni decisivi del rigore economico, delle modernizza¬ zioni industriali, e delle denazionalizzazioni striscianti. «E' in quel periodo che la Francia ha cambiato pelle, da cima a fondo. Che non solo la sinistra, ma anche Giscard e Chirac hanno preso congedo dalle abitudini socialdemocratiche, e dallo Stato produttore», commenta il politologo Jacques Julliard. La trappola Gli industriali francesi non hanno dubbi in proposito, e per questo seguono con in- 3uictudine la foga demagogica ci duellanti elettorali, e l'incertezza che continua a pesare sulla «coabitazione» tra presidente socialista e eventuale maggioranza di destra. Quest'ultima potrà applicare il suo programma, oppure Mitterrand glie lo impedirà? Sapranno, gli uni e gli altri, evitare la trappola del gioco al massacro e la campagna anticipata per le presidenziali? Rispondere a questi interrogativi non è semplice, perché nessun uomo politico vuole analizzare la data fatidica dell'85, la scelta dell'Eliseo di restare nel Sistema monetario Cee, il ruolo che l'Europa ha svolto nella frantumazione dei dogmi: i socialisti dovrebbero confessare di essersi sbagliati, e l'opposizione non potrebbe annunciare, senza coprirsi di ridicolo, la «rottura con il sociali- smo», sostengono gli industriali più avveduti. Fin qui lo scenario politico della prossima battaglia sulle privatizzazioni, che si annuncia assai più ideologica del previsto. Il ritmo e l'ampiezza delle denazionalizzazioni dipenderanno dalla maniera in cui sarà vissuto il dramma della coabitazione, dopo le elezioni di marzo. Dal programma più o meno «revanscista» della futura maggioranza, e dal giudizio più o meno obiettivo espresso sulle nazionalizzazioni di Mitterrand. In principio, l'opposizione aveva previsto una privatizzazione a tappe forzate: delle due grandi compagnie finanziarie (Suez e Paribas); dell'intero sistema creditizio (comprese le «Tre Grandi» nazionalizzate da De Gaulle: Crédit Lyonnais, Société Generale, Banca Nazionale di Parigi); di sei gruppi nazionalizzati nell'82 (Compagnia Generale di Elettricità, Saint-Gobain, Pechiney, Rhònc-Poulenc, Thomson, Bull). Anche Renault era in vendita, e le imprese siderurgiche di Sacilor e Usinor. Adesso la lista si è drasticamente assottigliata, e si parla di una denazionalizzazione a dosi omeopatiche, distribuita su dieci anni. Questo perché alcune imprese sono in stato critico, e non troverebbero acquirenti. E' il caso della siderurgia, di Bull (nonostante il recente pareggio dei conti). E naturalmente di Renault, perennemente in perdita (1900 miliardi nell'86). Ma si vuol anche evitare l'effetto perverso delle privatizzazioni: «Grande è il rischio, afferma per esempio Philippe Thomas, ex presidente.di Pechiney, che lo Stato prosciughi le risorse che sì libereranno dalla vendita dei titoli, e impedisca la crescita del mercato finanziario francese». E' la ragione per cui Thomas e Loyrettc suggeriscono metodi soffici, come il disimpegno di fatto dello Stato attraverso aumenti del capitale delle aziende, oppure cessioni parziali dei titoli. «Lo Stato potrebbe in alcuni casi mantenere il il per cento», afferma Serge Moyet, collaboratore di Giscard (una proposta simile fu avanzata nell'82 da Jacques Dclors, ma l'Eliseo la bocciò). Risultato del mini-programma: Suez e Paribas sarebbero denazionalizzate, e una parte del credito a esclusione delle «Tre Grandi» che sono deficitarie. Per le industrie si proseguirebbe l'opera di Mitterrand, che già ha permesso la quotazione in Borsa di una parte dei titoli, e ci si concentrerebbe sui gruppi più fiorenti. E qui veniamo al punto cruciale della discussione: al bilancio delle nazionalizzazioni socialiste. Tutto cominciò con a demagogia, nell'81. «L'impresa pubblica sarà lo strumento dell'avvenire», diceva il Presidente. «£' un regalo fatto al Paese», incalzava il socialista Labarrcrc. «In realtà è stato il prezzo che Mitterrand ha pagato ai comunisti», afferma Philippe Simonnot, che ha appena scritto un lungo rapporto sulle nazionalizzate, «e per i con Irtbuenti è stalo t ut l'altro che un regalo. Le indennità versate dallo Stalo agli azionisti privati ammontano a Ì0 miliardi di franchi, e la somma (di per sé eccessiva) si raddoppia se si considerano le sovvenzioni erogate tra l'ai e l'Bi. Quest'anno i risultati positivi delle nazionalizzate saranno più che compensati dalle perdite della siderurgia e dalle voragini di Renault». Ma nell'83, come abbiamo visto, Mitterrand cambia rotta: cominciano allora i licenziamenti in massa, l'imperativo diventa il riequilibrio finanziario. E una scric di imprese è abilitata a quotare in Borsa le proprie filiali (Saint-Gobain) o a rilasciare certificati di investimento o titoli partecipativi che in un secondo momento potranno essere convcrtiti in azio¬ ni (Paribas, Suez, Société Generale, Pechiney, RhónePoulcnc). Le nazionalizzate, più capitaliste che mai, rifioriscono grazie ai socialisti. Ecco il paradosso dell'attuale situazione: è perché le imprese pubbliche sono state gestite con intelligenza, e senza clientelismi, che ora possono, con profitto, essere denazionalizzate. In Borsa L'euforia che regna da tempo in Borsa conferma l'emergenza di questo neo capitalismo francese. «E una festa continua, prosegue Simonnot, ; corsi si sono raddoppiati, e i piccoli risparmiatori hanno scoperto il fascino di Palazzo Brongniart, non fosse altro perché l'immobiliare è in crisi. Inoltre la Borsa vive ancora del denaro affluito all'indomani delle nazionalizzazioni, e dunque anche di un mercato più ristretto, e beneficia infine della disinflazione socialista». Di qui il secondo paradosso: sono gli operatori di Borsa, e i piccoli risparmiatori, che temono oggi un rientro massiccio in Borsa delle nazionalizzate, e una depressione dei corsi. Non solo: temono anche i raid di industriali stranieri, che si prcannunciano numerosi {«Sono interessati gli italiani e i belgi, per il momento», affermano fonti informate). Le possibili partecipazioni straniere alimentano lo scontro fra destra e sinistra, c dividono la stessa opposizione. I socialisti sono i patriottici più ferventi, e accusano l'opposizione di voler «svendere la Francia». Anche Raymond Barre consiglia tuttavia la massima prudenza, e non a caso è d'un tratto malvisto dagli ambienti finanziari internazionali. L'avvocato Loyrette auspica invece una grande apertura delle frontietc. Intanto si rifiuta di parlare di «stranieri» a proposito degli europei («Sella Cee esiste la libera circolazione dei capitali», dice) e aggiunge: «Non vedo perché la Francia non può avere delle multinazionali. Chi oserebbe dire che la Philips o la Royal Dutch non sono olandesi, o che Nestlè non è svizzera.'». Resta il timore dell'espropriazione nazionale, tipicamente francese. E dunque la soglia di partecipazione straniera è fissata al 20 per cento, negoziabile caso per caso. E resta, infine, la triste sorte toccata alle nazionalizzazioni, mito centrale della sinistra francese. Triste perché le nazionalizzate sono servite a rafforzare il capitalismo, e perché nel successo di Mitterrand è iscritta la perdita di potere della gauche, ^e non avesse ' messo le "rnaftf' 'sull'economia'" nazionale, la sinistra non sarebbe oggi nell'occhio del mirino: non sarebbe accusata dei licenziamenti, delle ristrutturazioni. Né si può dire che la disoccupazione sia stata frenata grazie all'ingresso dei sindacati nei consigli di amministrazione: alle cosiddette «leggi Auroux». Mitterrand paga oggi un suo errore strategico: quello di aver avvelenato un'ottima gestione economica, fondandola sul terreno minato delle ideologie. Barbara Spinelli Marsiglia. Chirac in visita elettorale al mercato del pesce: «li ambienti finanziari sono con lui (Afpl