Fleet Street nel museo delle cere di Paolo Patrono

Fleet Street nel museo delle cere Nuove testate, tecnologie d'avanguardia, editori d'assalto: è la rivoluzione nella stampa inglese Fleet Street nel museo delle cere DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — L'età dell'oro di Fleet Street è finita: la celebre strada dei giornali, nel congestionato centro della capitale dove hanno sede alcune delle maggiori testate inglesi e le agenzie di stampa, inframmezzate da una miriade di negozietti, ristoranti e pub formicolanti di vita, sembra destinata a una rapida scomparsa, soffocata dall'avanzata degli uffici e delle banche, ormai allo stretto nel loro storico «miglio quadrato» della City. E' una rivoluzione non solo urbanistica che sta divorando anche quest'angolo di Londra: perché con 11 repentino declino di Fleet Street sono 80 anni e più di storia londinese che tramontano. A firmare l'atto di decesso è stata l'uscita, nei giorni scorsi, di un nuovo giornale. Sembra un paradosso: Invece di essere una prova di vitalità, di salute della stampa Inglese, la pubblicazione di Today (questo il titolo del nuovo quotidiano) ha rappresentato 11 colpo mortale per 11 mondo di Fleet Street. Non tanto perché Today si stampa lontano dal centro, alla periferia della capitale verso l'aeroporto. Ma perché si tratta di un giornale «nuovo», anzi avveniristico per la tradizionale, imparruccata editoria giornalistica inglese. Tabloid come lo sono tutti i fogli «popolari» con tirature di alcuni milioni di copie, ma in più composto per intero elettronicamente, con foto a colori, videoterminali e tecnologie d'avanguardia. In realtà, Today ha un po' tradito tutta l'attesa elettrizzata che aveva circondato la sua uscita. La sua ambizione di rivaleggiare con gli abbondanti notiziari televisivi del mattino, all'ora del breakfast, si è rivelata almeno per ora eccessiva. I primi giorni sono stati costellati anche da problemi tecnici, da ritardi di distribuzione che hanno reso più Incespicanti del previsto i primi passi del nuovo quotidiano. Ma detto questo, biso¬ gna anche riconoscere che Today si sta ritagliando una bella fetta di mercato e potrà addirittura arrivare al milione e mezzo pronosticato dal suo dinamico, intraprendente editore, Eddie Shah. Questo personaggio merita un breve approfondimento perché la sua storia dimostra come sia cambiato radicalmente il mondo dell'editoria britannica, abituato fino ad un recente passato a un ventaglio di Lord, di rampolli della nobiltà che si dilettavano di giornali, spesso sperperando le fortune avite. Ma ai tradizionali baroni, negli ultimi anni, erano già subentrati veri e propri capitani d'industria, megaeditori dello stampo dell'australiano Rupert Murdoch (proprietario di una catena in Inghilterra guidata dal prestigioso Times e poi di altri giornali in Australia e negli Stati Uniti, con l'aggiunta di società cinematografiche e tv) e dell'anglo-ce- coslovacco Robert Maxwell, editore del laborista Afirror, il quale non si lascia però contagiare dall'ideologia nel condurre gli affari che dirige con durezza da -padrone delle ferriere». A questi editori che per un verso o per l'altro hanno già fatto la storia di Fleet Street, si è aggiunto adesso il giovane (quarantaduenne) Eddie Shah, cugino alla lontana dell'Aga Khan, figlio di emigranti persiani, seppur di famiglia agiata. Prima di approdare al Gotha del giornalismo britannico, Eddie Shah ha fatto un po' di tutto, come i giovani che vogliono sfondare a ogni costo senza saper bene quale porta spalancare per arrivare al successo: uomo di teatro, poi dì tv. infine pìccolo editore di provincia. Ed è stato da una piccola tipografia presso Manchester, dove stampava un giornale locale gratuito, autofinanzlato dalla pubblicità, che Eddie Shah ha spiccato il volo verso Fleet Street. E' successo infatti che al piccolo editore sconosciuto di provincia toccasse sfidare il •colosso» del sindacato nazionale dei poligrafici, in una vertenza emblematica per il governo Thatcher. Da una parte c'erano le potenti Trade Unions. la tradizione di assumere tipografi solo attraverso il sindacato, la gabbia di norme consuetudinarie sui salari, sul mercato, sulle «rigidità- del lavoro. Dall'altra, il focoso minieditore, deciso ad assumere chi voleva purché i s'impegnasse a non scioperare, ad attuare la necessaria -flessibilità» nel lavoro, pronto a sfidare il sindacato, i suoi scioperi e i suoi picchetti. Quando Eddie Shah vinse quella difficile -sfida» alla fine dell'83, avvalendosi delle nuove leggi sui sindacati e sullo sciopero emanate dal governo Thatcher, non fu difficile pronosticare che il piccolo editore di provincia era pronto a dare la scalata a Fleet Street, era l'elemento adatto per scardinare consolidati equilibri maturati dalla tradizione. E cosi è infatti avvenuto: in poco più di un paio d'anni, Shah ha tradotto in realtà il suo progetto, ha lanciato il nuovo quotidiano elettronico che richiede l'opera di sole 450 persone, fra giornalisti e manodopera. Un decimo del personale impiegato nelle altre testate. I giornalisti scrivono e impaginano direttamente sui videoterminali, gli elettricisti hanno sostituito i tradizionali tipografi per far funzionare computers e rotative automatizzate. La -rivoluzione, è scoppiata cosi a Fleet Street, ancor prima che uscisse realmente Today. E' bastato infatti l'annuncio del nuovo giornale, della sua fabbricazione modernissima, a innescare un processo di svecchiamento e di ristrutturazione oggi appena iniziato. Maxwell prima e Murdoch poi hanno fatto due conti e si sono accorti che, seguendo la via tracciata da Eddie Shah e dal suo nuovo giornale, avrebbero potuto risparmiare un bel mucchio di quattrini, stampare di più e meglio, moltiplicare le edizioni. Il sindacato ha reagito con miopia a questi cambiamenti ineluttabili. Ha sfidato con uno sciopero temerario Murdoch, e l'editore ha trasferito in pochi giorni tutti i suoi giornali (Times e Sunday Times, Sun e News of the World) nel nuovo stabilimento di Wapping (costo 200 miliardi) nella vecchia zona dei Docks, lungo il Tamigi. E da sei settimane riesce a stampare e a distribuire 1 suoi giornali, malgrado i picchetti, grazie a 500 elettricisti (ingaggiati al posto di oltre 5000 tipo grati licenziati) e ai gior¬ nalisti, convinti al trasloco forzoso dalla minaccia di licenziamento e da un aumento di mezzo milione al mese. Sono metodi spicci, brutali, si può obiettare. Ma su questa strada si stanno incamminando anche gli altri editori di Fleet Street, abbandonata in tutta fretta agli uffici e alle banche. L'Inghilterra sta conoscendo una ristrutturazione industriale drastica, radicale. Dopo il settore tessile e l'industria automobilistica, è toccato alla cantieristica, poi alla siderurgia, quindi alle miniere. Adesso tocca all'editoria, alla carta stampata: il luddismo non paga, travolto dalle innovazioni tecnologiche. Certo il Times può sempre gloriarsi di essere una istituzione cara edì'establishment, con le notizie di corte, i battesimi, i matrimoni, i lutti, le famose lettere scelte fra la posta dei lettori che offrono uno squarcio penetrante della società inglese. .La gente che conta legge il Times, proclamava un orgoglioso slogan ripreso dai giornalisti del Times. E ancor oggi è in gran parte vero. Paolo Patrono

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