Dall'Iraq un salvagente a Mitterrand di Enrico Singer

Dall'Iraq un salvagente a Mitterrand Baghdad grazia i due filoiraniani estradati - Il mediatore di Parigi tratta in Libano Dall'Iraq un salvagente a Mitterrand Ma subito la doccia fredda: osservatore francese assassinato a Beirut - Un nuovo avvertimento della Jihad? PARIGI — La Francia sta vivendo ore convulse. Aspetta notizie da Beirut, dove la sorte dei sette ostaggi in mano alla «Jihad islamica» è appesa al filo di una trattativa segreta e dall'esito imprevedibile. Spera, ma non si fa illusioni: il ricatto dei terroristi sciiti si è ormai intrecciato alla scadenza elettorale di domenica, e l'altalena delle minacce e degli spiragli di concessioni sembra destinata a dominare anche i prossimi quattro giorni. Almeno, questa è la sensazione che, per una volta, unisce opinione pubblica, governo e opposizione. E gli avvenimenti, anche ieri, lo hanno dimostrato: un capitano del corpo di osservatori francesi è stato assassinato nella capitale libanese proprio mentre il negoziato aveva fatto un primo passo in avanti con un gesto di disponibilità da parte del regime di Baghdad. Ancora nessuno ha rivendicato l'uccisione dell'ufficiale (Marc-Antoine Corvée, 39 anni), colpito da un cecchino nel cortile dell'ambasciata. Forse non è stata la «Jihad», ma certo i margini di manovra appaiono sempre più esigui, e la missione dei mediatori di Parigi disperata. Il segnale distensivo era venuto, soltanto qualche istante prima dell'agguato di Beirut, dal presidente iracheno Saddam Hussein in persona. La concessione della grazia ai due oppositori che il 19 febbraio la Francia aveva rispedito a Baghdad, scatenando la reazione violenta della «Jihad». Michel Seurat, l'ottavo ostaggio francese, era stato assassinato proprio in risposta all'espulsione dei due giovani, legati al movimento integralista islamico filo-iraniano. La loro liberazione era una delle condizioni poste dai terroristi libanesi per 11 rilascio degli ostaggi francesi. E il comunicato iracheno non soltanto ha annunciato la grazia per i due (Fawzi Hamza e Hassan Kheir el-Dln), ma ha anche precisato che 'potranno tornare liberamente a Parigi a completare i loro studi*. Esattamente quello che la •Jihad» aveva chiesto. E' davvero un grosso favore alla Francia da parte dall'alleata Baghdad (Parigi fornisce all'Iraq aerei e missili per la guerra contro l'Iran), perché in questo modo il governo francese è riuscito a ottenere una concessione senza tradire la linea della fermezza. Ma l'uccisione del capitano deir.rirm.ee, nella macabra logica dei terroristi, potrebbe già significare che la mossa Irachena non è sufficiente. Che la vita degli ostaggi resta legata alla soddisfazione di tutte le condizioni poste nell'ultimatum di sabato scorso: la liberazione dei cinque membri del commando che nell'80 tentò di uccidere l'ex premier iraniano Bakhtiar a Parigi (catturati e condannati all'ergastolo), e l'interruzione delle forniture militari francesi agli iracheni. Nel groviglio del negoziato è ancora impossibile sciogliere questo dubbio. Il compito spetta a uno dei mediatori francesi: Razah Raad, un medico di origine libanese (anzi, sciita e imparentato ad alcuni dei dirigenti della «Ji¬ had»), che da martedì sta discutendo direttamente con il gruppo che ha in mano gli ostaggi a Beirut, o forse a Baalbek, roccaforte delle milizie filo-iraniane. Raad dovrebbe concludere la sua missione oggi. E su Parigi pioveranno, probabilmente, nuove richieste, si imporranno altre scelte laceranti. In Francia, questo stillicidio di ricatti e di morte ha drammatizzato un clima elettorale già teso. E non poteva essere altrimenti. Ma, in fondo, di fronte alla minaccia della «Jihad islamica» il consenso e la solidarietà continuano a superare le polemiche. Quelle sulle contraddizioni della linea tenuta dal governo sin dall'inizio della vicenda degli ostaggi (i primi due furono rapiti un anno fa), e quelle sui suol sviluppi più recenti: la stampa ha rivelato ieri che il ministro dell'Interno, Joxe, presentò le dimissioni dopo l'espulsione degli studenti iracheni. Sono, invece, i grandi temi della politica interna a tornare alla ribalta. E in modo altrettanto clamoroso. Ieri Le Monde ha scritto che il presidente Mitterrand 'potrebbe dimettersi subito dopo le elezioni nel caso di una vittoria, netta, dell'opposizione di destra*. E' un'eventualità alla quale aveva accennato lo stesso capo dell'Eliseo appena pochi giorni fa (-Piuttosto che rinunciare alle mie prerogative, rinuncerò alla carica*. aveva detto in un'Intervista televisiva), ma che, adesso, il giornale rilancia, dedicandogli l'apertura della prima pagina. In sostanza, Mitterrand non accetterebbe una «coabitazione dura». Un rapporto conflittuale con un governo di destra per gli ultimi due anni del suo mandato presidenziale che scade nell'88. Le Monde, attribuendo le informazioni ad «ambienti dell'Eliseo*, sottolinea il rischio di una paralisi delle istituzioni della Quinta Repubblica e ricorda che anche 11 premier Fabius e il partito socialista hanno impostato tutta la loro campagna elettorale sullo slogan: «O noi o la confusione*. Enrico Singer