Il surf di Heidegger di Gianni Vattimo

D surf di Heidegger I RITI DELLA SOCIETÀ' TELEMATICA D surf di Heidegger «Heidegger, ha scritto una volta Marshall McLuhan, il grande teorico della società dei mass media, fa il surf cavalcando l'onda elettronica con la stessa sicurezza con cui Cartesio cavalcava l'onda meccanica», il che, tradotto in termini meno immaginosi, significa che Heidegger può considerarsi il filosofo del mondo tardo-moderno, caratterizzato dalla televisione e dall'informatica, così come Cartesio era il filosofo del mondo moderno, dominato dalle macchine. Macchina, meccanismo, sono termini che hanno da fare con il movimento, con lo spostamento fisico di materiali, che appunto le macchine ci permettono di realizzare con più efficacia. Nel mondo dell'elettronica gli spostamenti tendono a diventare impercettibili: l'immagine televisiva o le unità di informazione nei circuiti dei computer si trasmettono senza apparenti spostamenti di masse. E Heidegger, secondo McLuhan, interpreta con la sua filosofia proprio questa nuova condizione della nostra esperienza (il che, tra l'altro, spiegherebbe anche la popolarità che il suo pensiero sta conoscendo negli ultimi decenni). La frase di McLuhan è citata da Mario Perniola nell'introduzione al suo ultimo libro, Transiti (ed. Cappelli), che ne fornisce un'ampia e persuasiva illustrazione. Quel che accade nel mondo dominato dall'elettronica (televisione e informatica) è una radicale trasformazione dei caratteri temporali dell'esistenza: «Offrendo la disponibilità immediata di una informazione istantanea teoricamente illimitata, la telematica favorisce un'infinita dilatazione del presente che incorpora passato e futuro e si afferma come l'unico tempo. Tutto è potenzialmente presente, perché conservato nei data fi Ics, negli archivi-dati, e potenzialmente attuale nel display del singolo screcn, nella visualizzazione del singolo schermo». In molti sensi (anche in quclfd~3i un cerco immobili^ smo ipolitico, che caratterizza, i rapporti tra le grandi potenze e la vita delle società industrializzate) la nostra esistenza, determinata basilarmente dal trattamento elettronico dell'informazione, si viene destoricizzando. Non solo nella civiltà dell'immagine che riduce tutto al presente, ma anche nella teoria (e qui si spiega il riferimento a Heidegger) si è dissolta l'idea di una storia come movimento lineare tra un principio e una «fine»; le trasformazioni che viviamo non hanno più il carattere di tappe sulla via di un qualche «progresso», sono piuttosto, dice Perniola, «passaggi dallo stesso allo stesso», cioè appunto «tran siti». Nei transiti, la differenza tra una fase e l'altra finisce per consistere solo nella differente ripetizione di uno stesso modello. E' ciò di cui abbiamo l'esempio nei riti: la ripetizione di una certa azione rituale deve essere sempre identica al modello, ma ogni ripetizione si differenzia anche da tutte le altre proprio per il fatto di essere quella detcrminata ripetizione: il rito di oggi non è quello di ieri, e cosi via. Proprio nella ripresa di un concetto come quello di rito per descrivere le nuove condizioni temporali dell'esistenza nel mondo tardo-moderno consiste la principale originalità del libro di Perniola. Sul filo del concetto di rito come modello di transito, di passaggio dallo stesso allo stesso, Perniola arriva a collegare fenomeni diversi tra loro come la civiltà delle videocassette e l'antica civiltà romana, l'erotismo, la spiritualità barocca, fino a certi tratti «negativi» della tradizione culturale italiana. E', come si vede, un elenco eterogeneo e paradossale, che riesce ad avere un senso solo in base alla nozione di transito. Se l'esempio più pregnante di transito lo cerchiamo nel rito, come un'azione regolata da norme che tende a ripeterai senza alcun sostanziale riferimento a un significato originario (è qualcosa che sperimentiamo continuamente in molte feste religiose, o nelle ritualità della vita privata e sociale), allora dovremo rivalutare anche, dice Perniola, la religione e il costume dei romani antichi, che si caratterizza proprio come una certa ri¬ (rtudmgufipcptdslcccgceNMdpcrppd Heidegger visto da lavine (Copyright N.Y. Rcview of Books. Opera Mundi e per l'Italia .la Stampa-) tualità staccata da ogni radice di significato: la religione romana, a differenza di quella greca, non ha una teologia o una mitologia rigidamente definita, e per questo, in età imperiale, può assimilare ecletticamente le divinità dei vari popoli assoggettati, in un pantheon tenuto insieme soltanto dalla ritualità, che è nello stesso tempo religiosa e politica. Esemplare di rutto questo è la storia degli scudi che i sacerdoti Salii portavano in processione in una delle più antiche e solenni feste di Roma; gli scudi erano dodici, e undici di essi erano la riproduzione esatta, commissionata da Numa Pompilio allo scultore Mamurio Veturio, di uno scudo divino mandato dal cielo a città per liberarla da una pestilenza. Numa, per timore che lo scudo miracoloso fosse rubato, lo aveva fatto moltiplicare in modo che non lo si potesse più riconoscere. Come in questo esempio, tutta la religione e la visione romana del mondo è intessuta di riti che non portano più memoria di un significato originario. Di questa mentalità fa parte anche un altro esempio di «transito»,.-l'erotismo codificato nell'ari amatoria, di. Ovidio, ed esemplificato iri molta poesia d'amore latina: ciò che Ovidio descrive non è una tecnica per raggiungere certi scopi, ma piuttosto un insieme di modalità per «ritualizzare», conferendogli significato e dignità attraverso codici e riferimenti mitologici, il rapporto d'amore, al di fuori dei modi a e i , o i più tradizionali che lo vedono, platonicamente, come un passaggio dal mondo dei sensi al mondo dello spirito, o invece lo demonizzano come un precipitare nella violenza, nell'orgia c nella sfrenatezza (è ciò che si vede in certe pagine di Bataillc). L'erotismo, nel suo senso più autentico, non è invece un passaggio catastrofico (dalla terra al cielo, o dalla terra all'inferno), ma transito, rito, nobilitazione di certe esperienze attraverso la ripetizione in forme codificate. E' intuitivo come queste premesse permettano a Per niola di rivalutare alcuni tratti considerati generalmente come vizi di quella che egli chiama a «differenza italiana»: una certa tendenza all'eclettismo, una certa arte del compromes so che, almeno a partire dal Guicciardini, dal Barocco, dala Controriforma, caratterizza no, secondo i più, negativa mente, la nostra cultura. Dal punto di vista della tarda mo dernità come transito, questi elementi del carattere italiano diventano preziose anticipazioni della spiritualità postmoderna, che si è liberata dalla passione per il significato ori ginale, per l'autentico, e comincia ad apprezzare un'arte del vivere in cui è decisiva la prudenza e la capacità di adat tarsi alle circostanze. ★ * Dobbiamo sospettare questa rivendicazione della differenza italiana una intenzione paradossale e ironica, o al con trario un eccesso di ottimismo nei confronti del mondo telematico dell'inautenticità e del compromesso? Probabilmente, ci sono nell'atteggiamento di Perniola entrambi questi elementi. Quello che egli non vuole assumere è una posizione di «critica» filosofica dell'esistenza: per far questo, dovrebbe infatti riferirsi a un significato «vero», a una struttura autentica della realtà, tradendo così gli insegnamenti di Numa Pompilio e di Marshall McLuhan. Resta che, come ha sostenuto Heidegger, anche la nostra situazione di transito si è determinata «storicamente», ha una provenienza e, probabilmente, una destinazione. Su questo punto, forse, la riflessione filosofica dovrebbe avere qualcosa di più da dire, ritrovando anche una certa capacità di critica. Gianni Vattimo

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