Picabia, «enfant terrible» dell'avanguardia

Picabia, «enfant terrible» dell'avanguardia MILANO, MOSTRA DEL PITTORE E POETA CHE VISSE TRA YACHT, AUTO E BELLE DONNE Picabia, «enfant terrible» dell'avanguardia MILANO — Una cinquantina di opere antologiche di Francis Picabia, dagli Alberi vagamente simbolisti dipinti a 19 anni nel 1898 al Giorni della settimana, tavolette incubiche un poco picasslane, un poco tardosurreallste, dipinte nel 1951 due anni prima di morire. Le espone fino al 20 marzo lo Studio Marconi con l'appoggio di una ricchissima documentazione della poliedrica attività dissacratoria, in immagine e in stampa, di questo enfant terrible dell'avanguardia (e porrei l'accento soprattutto sull'enfant, robustamente bello, ricco e dissipatore): soprattutto attraverso le riviste 391 e Cannibale, dal 1917 al 1924. Vale la pena di elencare i collaboratori del n. 1 di Cannibale, 1920, il fior flore del nichilismo intellettuale fra Dada appena approdato a Parigi e il futuro Surrealismo: oltre al direttore Picabia. Aragon, Breton. Soupault, Ribemont-Dessaignes, Tzara, Cocteau. Duchamp con un disegno, Eluard. Enrico Baj, gran cultore, non solo come pittore, meccanico, artigiano collagista, della dissacrazione dada come una sorta di categoria assoluta, e dunque «naturale» organizzatore della mostra, cosi illustra questo padre padrino: • Pittore, scrittore, poeta, organizzatore di performances, dissacratore, promotore di manifesti articolista, sceneggiatore di balletti, cinea¬ sta, uomo-spettacolo in genere, oltre che ottimo pilota, meccanico e capitano a bordo. Ebbe 127 automobili. 5 yacht e una serie infinita di amanti. Picabia fu tutto, fu ricco, fu povero... Di lui possiamo ripetere quel che disse Duchamp: "Picabia, cosi prolifico, appartiene al tipo di artisti che possiedono lo strumento esatto: un'instancabile immaginazione"». Fra l'inizio e la fine di questa citazione sta forse il punto chiave, più delicato, della mostra: fra «pittore» e «immaginazione». Altri interventi nella bella antologia premessa al catalogo Electa, •storici» (Apollinare, Tzara, Breton, Pound, Gertrude Stein) e attuali, insistono, e a ragione, su questa inesausta capacità di invenzlonecontest azione-dissacrazione anarcolndividualista di Picabia («pittore dei pensieridice la Stein), precoce profeta agli occhi d'oggi di ogni concettualismo e «nomadismo.. Non a caso, nell'intervento attuale di Brunella Eruli In catalogo, si cita una frase del 1921: •Bisogna essere nomadi, traversare le idee come si traversa un paese, una citta». Ma, ed è questo il punto, questo viaggio corrosivo ed erosivo di ogni valore e convenzione attraverso le idee, che trova ottimo veicolo e dinamitarda aftabulazione nella pagina scritta e nel gioco grafico, con l'indubbio vertice delle immagini «meccaniche» fra gli Anni 10 e 20 (in realtà anch'esse dissacratorie del Mito della Macchina: il meccanismo come gioco Irrazionale e surreale), in che modo e quanto si traduce nel dibattito diretto con la forma pittorica? Se cerchiamo la risposta in pubbliche dichiarazioni di Picabia, eccola. Sulla copertina del n. 8 di 391, Zurìgo 1919, vi è un piccolo aforisma del direttore-autore: «Ho orrore della pittura i di Cézanne i mi fa imbestialire-. E' l'iconoclasta «freddo»: e, si badi, della rivoluzione, non della tradizione; o meglio, per uni¬ formarsi ai meccanismi logici (mai emozionali) di Picabia, di quella che è per lui la tradizione truccata da rivoluzione, ovvero la rivoluzione «in pantofole». Poi c'è il giocoliere della parola, del concetto, parallelo al cloum impudico, becero dell'immagine visiva, «dipinta». 391 n. 14, Parigi 1920. NotreDame-de-la-peinture: 'L'incensiere nella messa grande del lunedi, / fuma nella cattedrale semicircolare: i l'architettura spirituale, magnifica bellezza, i si schiera, incrudelisce al cimento armata di amianto o di lusinghe, l II Cristo prende un bagno nel cobalto sotto le volte i dalle nervature d'oro: gli angeli sono cervi volanti i mistici, i Questa Cattedrale è impregnata del ricordo delle / forme stabilite, e anche di colori magnifici i Tutto è rutilante, sfavilla per permettere alle vergini t di fare schizzi di rue Madame. / Su una tavola, su una sedia, i su un tavolino, su i un letto, su una spiaggia, su un tetto, su una poltrona, sui i gabinetti, l'anima immortale fa della pittura, della i letteratura, della musica, che somigliano a un i comodino. Francis Picabia. P. S. Tutte le mattine io infilo l le mie scarpette'. V'è coerenza, dunque, nella scelta, all'lncirca da quel momento, di ostentata antipittura, nei «mostri., nelle «trasparenze», fra la sfottitura e l'imbratto infantilistico di ogni modello d'avanguardia, Picasso e Masson, Mirò e i surrealisti. Da parte di un •bel» pittore, che è partito — è l'inizio della mostra — da Monet e Pissarro ed è arrivato nel 1909-10 vicino e al di là del più compatto Derain fra ■fauvismo, e cubismo (il bel Paesaggio del 1910); che. nelle ancora più affascinanti, dense, godute strutture visuali del Pollaio del 1912, è pronto a spiccare 11 volo per 1 capolavori cuboastrattisti del 1913, da Vdnie a Canzone negra, da Cultura fisica a Catch as catch can (che i grandi musei americani e francesi si tengono ovviamente assai cari). con i quali egli fu con Duchamp la grande rivelazione all'Armory Show di New York. Ma anche quando la scelta dissacratoria ad ogni costo è già dichiarata e compiuta, quando 11 dadaista Picabia riesce ad essere anche antidada, egli svela ogni presuntuosltà neospirituale del cubismo neoclassico facendo ancora della vitalissima pittura nel Paesaggio rosa e nella Tartane; ironizza sulla sovversione del dada rìvolu zionario con lo splendore dell'impasto e l'equilibrio dì cromie e di ritmi con il materiale da pattumiera, il metro da sarto, le scatole di fiammiferi, nel già noto capolavoro. Les centimètres. Si concilia un capolavoro, nel vecchio ovvio senso di capolavoro di pittura, con ciò che Picabia ha voluto essere e rappresen tare? Forse no, ma capolavoro rimane. In fondo, una volta consta tata l'evidenza, persino il compiacimento postribolare dei quadri .algerini, durante gli anni della seconda guerra mondiale (due In mostra), bisognerà pur riconoscere la compattezza della loro strut tura pittorica, quasi una ri volta di valori contro la volontà, forse la voluttà dello sperpero nel volgare. Viene da domandarsi quanto alto sia stato il prezzo pagato da Picabia al tavolo da gioco dell'antiarte. Marco Rosei Francis Picabia. Un disegno tratto dalla rivista «391»

Luoghi citati: Milano, New York, Parigi