Muti esalta il dramma di Giulietta

Muti esalta il dramma di Giulietta Muti esalta il dramma di Giulietta SESTA opera di Bellini, rappresentata alla Fenice di Venezia nel marzo del 1830,1 Caputeti e i Montecchi mette in scena la viceAda di Romeo e Giulietta confezionata in versione melodrammatica da un librettista di prim'ordine, com'era universalmente considerato, allora, Felice Romani, poeta e futuro direttore della 'Gazzetta Piemontese* dal 1834. Estrapolando dalla vicenda shakespeariana il nucleo centrale dell'amore impossibile, Romani, come nota Lippmann nel saggio che accompagna i dischi, accentuò, secondo il costume melodrammatico, i sentimenti luttuosi, oscuri e dolorosamente presaghi di morte: sentimenti che Bellini, in più d'un passo, li capovolse in un purissimo lirismo estatico, recuperando, attraverso la musica, l'idea di una beatitudine vagheggiata con nostalgia e contrapposta, còme ideale, alla dura realtà del presente. Elegia dell'amore impossibile: questo il tema centrale dell'opera, che Bellini avvolge entro un'aureola, tutta speciale, di candore e di tenerezza giovanile. L'antagonista non è qui un marito tradito, ma il padre di Giulietta che si oppone alla pace propostagli da Romeo; il quale deve assolutamente cantare con voce di contralto, come previsto nella partitura originale veneziana (la versione per tenore fu approntata, con disappunto, in seguito dallo stesso Bellini). Solo cosi l'intreccio delle due voci — contralto e soprano —, il loro dolce vaporoso andamento per terze nel duetto d'amore renderà appieno il candore verginale di questi giovani, dolorosamente sospesi sul baratro dell'infelicità totale. Come sostiene Lippmann, è certamente riduttivo limitare la corda poetica di Bellini all'espressione del lirismo elegiaco: i Caputeti mostrano infatti la maestria del compositore anche in scene brillanti, nell'espressione energica della sfida guerriera, nella pittura lugubre e presaga del dramma che incombe. Ma tutto sembra orientato a definire, intorno al lirismo dei due innamorati, una serie di quadri contrastanti che ne facciano spiccare meglio il fulgore. Fulgore che è, certo, di melodie vocali, ma anche di stile orchestrale: preziosità strumentali abbondano infatti nei Capuleti. opera lavorata con somma cura, pur nella fretta che incalzava il compositore (unico sollievo il poter riprendere, con significative varianti, parecchie pagine della Zaira, rappresentata senza successo l'anno prima, a Parma). Anche sul piano delle forme l'opera riserva liete sorprese. Accanto a recitativi convenzionali ce ne sono altri, dove la melodia s'infiltra tra voce e strumenti, e li permea entrambi nell'emozione del suo girovapare, tanto più intensa, quanto più sciolta da simmetrie e schematismi di struttura (si ascolti, a tal proposito, il dialogo tra Romeo e Giulietta che segue lo stupendo •Ah! per Romeo v'invoco* e interrompe il fragore della sommossa; oppure l'arioso di Romeo nella scena II dell'atto secondo. L'opera, più di altre dello stesso Bellini, è tutta un impennarsi di episodi concitati che sfociano nelle dilatate e ripetute espansioriidell'estasi lirica, in quelle melodie .lunghe lunghe lunghe* di cui parlava Verdi, cogliendo ciò che effettivamente rappresentavano nell'opera del tempo: nuova intensità di affetti ottenuta dilatando il tempo drammatico. Donde l'ammirazione di Wagner e l'opposta risoluzione verdiana di concentrare al massimo il ritmo dell'azione, pur mantenendo l'intensità dell'espressione. Intensità che l'esecuzione dell'opera di Bellini diretta da Riccardo Muti per la Emi con i complessi londinesi del Covent Garden esalta al massimo grado. Quello che piace in Muti, quando affronta il repertorio italiano dell'Ottocento, è l'elasticità del fraseggio e dei ritmi, oltre alla cura di ogni particolare, per cui anche gli accordi d'interpunzione, nel più convenzionale dei recitativi, assumono uno slancio ed una vitalità impensata. Si immagini quindi che cosa diventa, sotto la sua bacchetta, la melodia belliniana che trova in Agnes Baltsa (Romeo) e Editha Gruberova (Giulietta) interpreti complete per profondità e intensità d'espressione. Grata sorpresa, in questi due dischi, registrati dal vivo, lo squillante tenore Dono Raffanti che nel ruolo di Tebaldo spicca con grande autorità. Capellio e Lorenzo sono, rispettivamente, Gwynne Howell e John Tomlinson. Maestro del coro è Rainer Steubing che istruisce in suoi cantori con slancio e precisione. Paolo Galiarati Bellini: Lp Emi. «I Capuleti e i Montecchi», dir. R. Muti, 2 II successo del libro

Luoghi citati: Parma, Venezia