Richelmy, un poeta che viene dal mondo di Gozzano

Richelmy, un poeta che viene Richelmy, un poeta che viene dal mondo dì Gozzano rio Soldati, Enzo Giochino, Sergio Bonfantini, Carlo Levi, Giacomo Noventa in transito per Parigi. Longanesi vuole a tutti i costi — perché Richelmy in casa vanta uno zio cardinale colto e umanitario, protettore del giornale «Il momento» — che scriva «un Hbro sull'educazione del sacerdote'. Agostino Richelmy dopo aver gridato « Viva Oberdan*, ed essersi fatto un po' di guerra aveva cominciato a insegnare letteratura italtana alle magistrali e alle giovani monache, «ma finché non arrivava la Madre Superiora non potevo entrare In aula». Gli amici. Soldati e Bassani, gli facevano pubblicare versi su «La Piera Letteraria» e «Paragone», la principessa Marguerite Caetani su «Botteghe Oscure», l'amicizia con Cesare Pavese e Giulio Einaudi lo avvicinarono alle traduzioni da de Musset, VirpiMo, Fedro. Ma la sua poesia vive ancora di mondi lorntanl, «in questo scorcio di secolo e di millennio che vede tramontare, fra tanti altri miti, il mito ossessivo e obbligante della modernità», come ha scritto Roboni nel risvolto de «La lettrice di Isasca». E questi mondi possono essere percorsi dal ricordo di «una radice di gelso che si diceva avesse piantato l'Alfieri e che oggi dovrebbe aver quasi attraversato piazza San Carlo, nel centro di Torino», o, ancora indietro nel tempo, «perché io mi sento di appartenere più al '700 che all'800 quando la marchesa di Brlcherasio saliva nel suo Palazzo in portantina e ' la sua coetanea Spanna faceva a piedi lo scalone del suo, fermandosi ogni tanto fUme panchette che si era, fatta costruire *pe*«riposarslV. COOkill Ufi E allora Richelmy, che in anni lontani ha guidato Soldati sul Po, alla ricerca del •cibi genuini; rimane fedele a quella naufraga natura. «Modernità è essere antico, dice, come l'estrema giovinezza delle foglie che tornano sul rami». E il mondo fra montagna e campagna è spiare il ritorno della lepre bianca, le piccole nidiaci, le ragazze del gesti antichi, il cielo delle stagioni. Ma lo facon un grande pudore, scabrità di scrittura, rispetto del verso, adoperando endecasillabi e settenari, ricordando che «la poesia, nata con Petrarca, è morta con 11 Pascoli». E le ,sue storie di movimenti lenti, circolari hanno la cadenza dei sentieri stretti di montagna dove l'occhio a distanza misura la resistenza di una vita meno fragorosa ma tenace nella sua misurata sopravvivenza. «La poesia, conclude, mi appare come un rapporto continuo fra vita e morte». TORINO — «Ho amore per le piccole manifestazioni della natura. Dalla primavera all'estate posso dar loro del nomi, poi d'inverno sto zitto*. E questo sarebbe un inverno di silenzio profondo per un poeta come Agostino Richelmy, con la neve alta che ha cancellato i gelsi intorno alla grande villa settecentesca di Collegno, coperto la ragnatela dei rami della sofora, le aiuole a labirinto del parco, se quei nomi che riprende a pronunciare a primavera non fossero scritti tra i versi di un libro appena pubblicato: «La lettrice di Isasca. (Garzanti, pagine 153, lire 26.000). Così alughe e cornioli, papaveri e fiordalisi, glicini, fiorcappucci e maggiorana come flotti di luce, Mluminelll. fra le erbe più umili, alzano le laro teste colorate in una poesia appartata e nobile, fra la più amata e considerata da critici come Gianfranco Contini e Cesare Garbolii scrittori come Mario Soldati, poeti come Giovanni Roboni. Già Eugenio Montale aveva amato questo poeta, nato nell'anno 1900, quando, nel '65, aveva pubblicato una raccolta di poesie, oggi introvabile, da Einaudi: «L'arrotino appassionato». «Più vecchio diventavo e più diventavo vecchio e cadevo nel dimenticatolo», dice Richelmy, affatto preoccupato, sprofondato in una vecchia poltrona, la testa carica di capelli forti e bianchi, arruffati intorno ad un viso da ghiro. «DI me, dice, avranno pensato, è vecchio come la luna», e forse era inopportuno disturbarlo: «Che gli altri si occupino di noi è pur "#4n%e àa» ffa»Séh't'ecsòprusò, E' vero che un poet«vcSiflida agli-altri tfèuoi versi Imprudentemente. Certo 1 versi li fan vivere chi li legge, solo 11 seme è nostro». Per lui la poesia si perde negli inizi del secolo, fra i nomi di un amico del fratello: Guido Gozzano, o in casa, dove il padre corrispondeva in versi con uno zio, presidente della scuola di Applicatone degli Ingegneri. Allora non si studiavano lingue straniere, e se il padre faceva scolpire madrigali sulle murasdi una torre da poco acquistata, il suo prozio di Ivrea, il Giuseppe Realis, Economo del Benefizi Vacanti, era un grande studioso di lingua italtana che andava a caccia d'errori fra i decreti ministeriali. I suol ricordi fanno perno Intorno agli ,Anni 20. C'è l'Università, maestri come Vittorio Clan, con il quale prese la tesi sulle »Rime* di «Boccacci, lo chiamavano il Giovanni Boccacci. Poi c'era Ferdinando Neri, che mi chiedeva sempre: ha preso la tessera?», e poi Lionello Venturi. Ci sono le amicizie, il vicino di casa Ma¬ Nlco Orengo

Luoghi citati: Collegno, Gozzano, Isasca, Ivrea, Parigi, Torino