I vescovi filippini suonano il requiem per il dittatore Marcos La Chiesa ha capito: è finita l'epoca dei «re cristianissimi»

I vescovi filippini suonano il requiem per il dittatore Marcos La Chiesa ha capito: è finita Vepoca dei «re cristianissimi» I vescovi filippini suonano il requiem per il dittatore Marcos La Chiesa ha capito: è finita Vepoca dei «re cristianissimi» avuto molto da perdere e nulla da guadagnare sul versante autentico della fede, anche se la religione, ogni volta che un concordato è stato stipulato, è stata spesso dichiarata «di Stato». La storia continua. Pinochet e Marcos, ai due estremi del mondo, ne sono le ultime manifestazioni. E la Storia, quella che di solito si scrive tuttora con la maiuscola, sembra non aver insegnato nulla a dittatori del genere. Ha evidentemente invece insegnato molto alla Chiesa. Le opposizioni più forti a questi due cattolici di strettissima osservanza e di frequente pratica sacramentale, sia Pinochet che Marcos le hanno dovute affrontare in questi mesi, in questi giorni, proprio da parte della Chiesa; e non dalla base, spesso liquidata come criptocomunista, bensì dai vertici episcopali. Se il Papa non può, come suol dirsi, denunciare con nome e cognome i delitti del tiranni, denuncia però sempre più dura¬ mente le loro sopraffazioni, persecuzioni e stragi. I vescovi possono farlo, debbono farlo, e ormai a grandissima maggioranza lo stanno facendo. L'ultima prova di questa resistenza ecclesiale ed insieme sociale, politica e culturale è data appunto dall'episcopato delle Filippine contro Marcos. Sono passati gli anni in cui, anche da un attentato al Papa, Marcos cercava di trarre pubblicità al proprio regime. Di questa rapina di pubblicità a proprio vantaggio Marcos ne dette l'esempio più significativo proprio quando Papa Montini, nel suo viaggio nelle Filippine, a Manila venne avvicinato da un maniaco che tentò di aggredirlo e di pugnalarlo. Marcos fece rapido il gesto di riparare il Pontefice, ma fu preceduto dal segretario di Paolo VI, Pasquale Macchi, che stroncò l'attentato. Eppure, la stampa filippina di regime non mancò di celebrare Marcos come salvatore del Papa. Come Pino- Il -requiem.- per Marcos c'è stato. Ma il «funerale» non ancora* Perché quello che sembrava ormai un «cadavere politico», pur in coma irreversibile, ha ripreso improvvisamente l'unica forma di vita dei piccoli e grandi mostri della storia, quella di ingannare ed uccidere gli avversari politici e chiunque dissenta. In più, da questo momento — salvo colpi di scena in contrarlo da parte degli Usa — Marcos può aggiungere un nuovo orrore alla propria gii minacciata vendetta: la persecuzione di quella Chiesa filippina, di quei 60 vescovi che lo hanno per tutta la campagna elettorale, e già prima, denunziato e condannato, prove di truffa e strage alla mano, davanti a tutto il mondo. Il nuovo, in questa tragedia, consiste appunto, come altrove in questi ultimi vent'anni, nella «conversione, e nella maturazione, sempre maggiore e profonda, di quasi tutti i vescovi e gli episcopati, che sono passati dal silenzio, dal¬ la tolleranza, o dal semplice disagio nella convivenza con le più svariate dittature, all'opposizione, alla resistenza, alla condanna e alla scelta radicale dei poveri, degli oppressa del torturati. La sfida del cardinale Sin e di tutta la Chiesa filippina è stata ancora più violenta, frontale e senza sfumature di quella di un Romero ieri nel Salvador, e di quella di un Da Silva Henrlquez e di un Fresnu Larrain in Cile. Con l'escori come questi, la Chiesa vive una svolta storica, appunto la conversione e la maturazione e lidentificazlone coi popoli, non solo opponendosi ai dittatori, ma scegliendo in modo irreversibile l'opposizione popolare stessa e identificandovisl. Qualcuno può giudicare il saluto del cardinale Sin a Cory Aquino quale nuovo presidente della Repubblica come un'imprudenza temeraria: è invece una delle profezie più evangelicamente coraggiose di questi decenni. La Chiesa dice die non ha più bisogno di «protettori». Né di «re cristianissimi» e «imperatori cattolici» come quelli di ieri, né del loro equivalenti di oggi. Ha bisogno dì libertà e dì amici disinteressati, e anche di contestatori sinceri, posatici e stimolanti. Il cardinale Sin, già amico e frequentatore di Marcos (mal però consenziente alla sua politica repressiva), dimostra quale cammino un vescovo può fare con logore e coerenza proprio nella condanna e nel distacco da un protettore diventato tiranno Irrecuperabile. Le dittature più sfrontate e feroci del Paesi cattolici d'anagrafe nella storia si sono sempre dichiarate protettrici della Chiesa e garanti della sua libertà. La storia è cominciata con Costantino, imitato dopo secoli da Napoleone, da Hitler e da Franco. Hitler e Franco sono stati gli ultimi esempi storici di questa usura della religione come strumento del proprio potere temporale. Con loro la Chiesa ha chet, anche Marcos finora ha continuato almeno a spende re la stessa pubblicità, estgen do i fotografi e le telecamere persino al momento della Comunione. Ma forse questi tempi sono definitivamente al tramonto. L'unico disastro da temere il destino della povera gente, soprattutto del tanti opposi tori che Marcos, proprio durante le elezioni e dopo le elezioni, ha fatto uccidere uno dopo l'altro. Un altro disastro sarebbe il cambio di protettore, la Russia invece degli Usa Non risolverebbe affatto problema, aggraverebbe ulte rlormente Invece il destino di un popolo che cadrebbe dalla padella nella brace. La Chiesa, in ogni caso, con questa condanna esplicita e durlsst ma dimostrerebbe, senza al cuna ombra d'equivoco, d'a ver scelto davvero i poveri e, se occorresse, d'essere con loro e come loro bersaglio degli ultimi folli colpi del ditta tore. Nazareno Fabbrettl 4 au» ■ ni mi ninnai

Luoghi citati: Cile, Filippine, Manila, Russia, Salvador, Usa