Bologna, clan dei sardi respinge le accuse «Non abbiamo rapito Ludovica e Patrizia»

Bologna, don dei sardi respinge le aciuse «Non abbiamo ranifo Ludovica e Pafrisia» è Prima udienza al processo per i sequestri Machiavelli e Bauer (3 miliardi in tutto) Bologna, don dei sardi respinge le aciuse «Non abbiamo ranifo Ludovica e Pafrisia» è o abAj)9lèb DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA — Si apre un processo per sequestro di persona, ed è il primo qui a Bologna. Pare di tornare a una stagione lontana, quando le. campagne, soprattutto quelle toscane, erano battute da bande di sequestratori. Serpeggiava la paura e l'insofferenza razziale anche perché 1 «briganti» erano soprattutto sardi. E anche In queste brutte storia cinque accusati sono sardi, certo non affiliati a quella che chiamarono Inanonima sequestri», ma buoni imitatori. Vivevano fra la Toscana e l'Emilia. Fra 11 4 maggio e 11 2 novembre 1983 alle porte di Bologna rapirono Ludovica Rangoni Machiavelli, che allora aveva 24 anni, forse più conosciute per esser la sorella dell'attrice Nicoletta che per il lavoro di fotomodella; e Patrizia Bauer, 27, impiegate nell'azienda del padre che Importa strumenti musicali L'avvocato Nicolò Rangoni Machiavelli trattò personalmente il riscatto e pagò 240 milioni in due rate; per Patrizia Bauer il prezzo fu più alto: due miliardi e mezzo. I carcerieri, raccontarono le ragazze, erano stati corretti, per quanto le circostanze lo avevano consentito. Ha ricordato Ludovica Rangoni Machiavelli: «Nella sfortuna posso dire di essere capitata bene. Me lo dicevano anche loro, gli incappucciati: c'è chi tratta male gli ostaggi, raccontavano, noi invece ti trattiamo bene. Ed effettivamente avevano certe piccole attenzioni: per esempio, il mattino mi chiedevano se preferivo il caffè o il caffelatte. Mi tenevano in una tenda, a volte mi portavano in un'altra dove c'era la cucina per farmi vedere la televisione. Qualche volta abbiamo anche giocato a carte*. Ieri in tribunale Nicoletta Rangoni Machiavelli non c'era ma sarà presente per deporre come parte lesa. Mi diceva suo padre: «Anch'io sarò in aula per deporre. I rapitori li ho incontrati due volte. C'è una situazione, così, come dire, strana, in Italia, con cose che vanno al di là di quanta hanno compiuto questi otovani». , Puntuale all'apertura della prima udienza, invece. Patrizia Bauer che pure, quando fu liberate, 97 giorni dopo il ratto, aveva dichiarato: «Li oidio quelli che mi hanno preso. Li odio ma non mi auguro niente. Spero soltanto di non doverli neppure vedere in * un'aula di tribunale. Voglio solo dimenticare*. Non le è stato possibile e cosi ora dice: 'Paura? Certo, si può immaginare. Uno ha paura anche di morire». E' vero, conferma, 1 banditi non si sono comportati come belve e qualcuno ha parlato di «sentimenti di umanità*. Ma la ragazza puntualizza: «Se è umano darti da mangiare e da bere, non picchiarti, allora si sono comportati umanamente. Ma tutto questo è avvenuto all'interno di una si¬ tuazione disumana*. Non fu minacciate, le procurarono 1 libri che aveva elencato su un foglietto. Certo speravano quello che spera ogni farabutto: fare il colpo e sparire. Ma sono stati trovati la tenda, nella campagna toscana attorno a Piombino, e quell'elenco di libri. In aula sono in nove imputati su undici, quattro son chiusi in gabbia, due non 11 hanno ancora presi. Non son sembrati, quando li catturarono, particolarmente orga¬ nizzati, ma non per questo, si sottolineò, erano meno peri colosl. Del resto, dicevano alcuni inquirenti, è caratteristica dei briganti sardi riunirsi in gruppo per un colpo e subito dopo separarsi. Il «capo» di questo manipolo, come lo indica l'accusa, sarebbe Attilio Cubeddu, 39 anni, di Arzana (Nuoro), già perseguito per il sequestro di Cristina Perù zzi, a Montepulciano in provincia di Slena. E di Arzana, un paese dell'Ogliastra, di 3443 abitan- ti, che in sardo significa nebbia, sono anche i presunti carcerieri Danilo Trudu e Bruno Ferrai, latitante. Per difendersi gli Imputati non sembrano aver molti argomenti e adottano una strategia unica: negare, negare finché è possibile e ammettere soltanto ciò che si ritiene poco significativo e comunque indiscutibile. Teso, attento a non commettere errori, Trudu ha risposto alle contestazioni con voce profonda caratterizzata da una «s» molto fischiata: la stessa voce indicata dalle prigioniere. Ha ammesso di conoscere Cubeddu, di esser stato in contatto con lui, latitante nei giorni dei sequestri. «Lo facevo per spirito di amicizia e poi perché sapevo che c'era una taglia su di lui. Tentavo di farlo costituire, forse avrei potuto avere parte di quella taglia*. Attillo Cubeddu sembra tenerci a interpretare il ruolo del capo. Dà risposte sprezzanti, gli hanno trovato 50 milioni e lui dice: «Dovevo riciclarli, mi sarebbe toccato il 40 per cento. Sapevo che era denaro sporco ma non ne conoscevo l'origine. Ho avuto le banconote da uno che non era sardo ma il nome non lo faccio: al mio paese chi ha parlato è morto*. In una settimana anche queste brutte storia dovrebbe finire. Vincenzo Tessanàori fd