Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

r Cattivi Pensieri r Cattivi Pensieri I dannati della «stecca» di Luigi Firpo Una dozzina di giorni fa il pubblico ministero Giorgio Vitati ha fatto il mio nome nella sua requisitoria al processo torinese per lo scandalo delle tangenti. Non compaio, beninteso, nella lista degli imputati, e nemmeno in quella dei testimoni, ma semplicemente come assertore di una personale opinione che il magistrato riporta e sembra condividere. Gliene sono grato, anche se. quando ebbi occasione di formularla, all'epoca del primo processo (sospeso per ragioni • piuttosto sfuggenti), volevo esprimere non tanto un concetto, quanto una sensazione di disagio e d'inquietudine, una preoccupazione oscura ma sconcertante. cQuello che mi preoccupa, dissi allora, non sono lauto le accuse, quanto le difese». Che persone chiamate a cariche importanti, a uffici pubblici che dovrebbero essere circondati, di fiducia e di rispetto, approfittino del loro potere, confidino in una garanzia di impunità e tendano ad approfittarne, può apparire sconsolante, vergognoso, riprovevole, ma resta pur sempre una delle tante prove dell'umana debolezza. Infinite sono le tentazioni e le occasioni di prevaricare, specie in un tempo in cui quasi tutto si può ottenere con il denaro: persino il potere, attraverso le costosissime cmacchino elettorali e. grazie al potere, nuove possibilità di arricchimento. Non sto giustificando i ladri; dico solo che ladri ce ne furono da che mondo e mondo, tant'c vero che il Codice prevede espressamente i reati non solo di furto e di rapina, ma l'appropriazione indebita, il peculato, l'interesse privato in alto d'ufficio, l'estorsione, la corruzione. Si tratta solo di smascherarne quanti più è possibile e di imporre loro i debiti castighi. Diverso è il caso in cui la «tangente», questa tassa mafiosa imposta all'intera vita economica per servire agli interessi di gruppetti politici, di «correnti» che si azzuffano, di lotte di potere, viene presentata e difesa come ovvia e inevitabile, quasi condizione non rinunciabile di una vita politica bene or- dinata. Nei giorni scorsi un politico non oscuro. Piero Bassetti, presidente della Camera di commercio di Milano, ha denunciato il dilagare ormai senza argini della «stecca» — percentuale, provvigione, donativo, oblazione -— che è diventata obbligatoria per qualunque operazione che esiga permessi, concessioni, rettifiche di piani regolatori, appalti e ogni altro canale o rivolo attraverso il quale il denaro pubblico si disperde ad arbitrio di chi comanda. Questo andazzo è tanto generalizzato da apparire indiscutibile, mentre esso c in realtà il più appariscente indizio di una profonda crisi della democrazia. Alla radice della degenerazione del «sistema» sta la dissociazione progressiva tra classe politica e Paese. La figura del cittadino che lascia temporaneamente il proprio lavoro per mettersi al servizio della patria e ormai un patetico anacronismo. Il far politica è una "professione esclusiva, che si inizia con lungo tirocinio servile nelle sezioni di partito, negli uffici stampa, nelle organizzazioni periferiche, portando borse, racimolando voti. Via via che si sale, si abbandonano sul ciglio del sentiero compagni di gara sfiancati o silurati, e sempre nuove mete balenano alla vista, sempre più prestigiose e gratificanti, ma da conquistare con determinazione rabbiosa. A ogni elezione si scatena una gara fra i diversi partiti per accre¬ scere i propri suffragi, ma la vera lotta a coltello è all'interno dei paniti fra gruppi e correnti rivali. Tutto ciò richiede decisione, energia, ma soprattutto molto denaro. Occorre organizzare comizi, affittare teatri, stampare manifesti, e anche più onerose sono le istituzioni permanenti, le vetture con autista, i Circoli cosiddetti culturali, gli ufficistudi, le sedi di prestigio. Una buona campagna elettorale, che offra la possibilità a un ambizioso senza qualità di aspirare a un Consiglio regionale o al Parlamento non costa meno di 200 milioni. Chi non li ha, fa debiti, promette favori. Se riesce, vorrà rifarsi al più presto, mettendo a frutto la carica. Se non riesce, rischia la bancarotta, il carcere, lo scorno irreparabile della sconfitta. Se si somma l'avidità privata con la libidine del potere, gli scandali diventano più comprensibili. E questo non vuol dire che non ci siano ancora politici onesti, ma solo spiegare perché molti non lo sono e qual e l'auto-giustificazionc delirante che essi accampano a loro difesa. Non hanno rubato per sé. ma per il parlilo. E chi glielo ha chiesto? E chi vota per il partito A, perché dovrebbe accettare di essere derubato da chi porta quattrini al partito B? Questo l'elettore dovrebbe ricordare quando verrà chiamato alle urne: identificare con cura gli ignoti che implorano il suo voto, non accontentarsi del simbolo alla cui ombra si mimetizzano, chiedersi dove hanno trovato i soldi per fare tanto schiamazzo e cominciare a distinguere i galantuomini dai fur nastri inetti e prevaricatori. Non so. perché non ho più seguito da vicino l'intri co processuale, se le famose intercettazioni telefonich dei colloqui fra i rnaggiori imputati dello scandalo torino .— raro florilegio di ciniche volgarità — sono stale ammesse quali prove, o accantonate come illegali e invalide. Penso però che trasmetterle con amplificatore adeguato in un grande teatro cittadino, per almeno un mese continuo, costituirebbe una grande e preziosa lezione di educazione civica. 1

Persone citate: Piero Bassetti

Luoghi citati: Milano