Se tornerà l'uomo predatore di Giorgio Martinat

Se tornerà l'uomo predatore COME REGOLARE LA POPOLAZIONE DEI PARCHI ITALIANI? Se tornerà l'uomo predatore Cervi, stambecchi, camosci, caprioli sono ovunque in eccesso, con gravi rischi per il patrimonio vegetale - Lo sfoltimento provocato dall'inverno è insufficiente; difficile la reintroduzione della lince e di altri ammali da preda - «Le epidemie sono mezzo di controllo demografico peggiore del fucile» - Non resta dunque che il plotone d'esecuzione? - E' esplòso un dibattito DAL NOSTRO INVIATO COGNE — La vignetta rappresenta uno stambecco con gli occhi bendati contro un muro, davanti ai fucili puntati di un plotone di esecuzione. E' stata pubblicata sul numero speciale di Natura e società, la pubblicazione della Pro Natura, che raccoglie gli atti di una tavola rotonda su un argomento che da sempre divide i naturalisti: l'uomo deve intervenire nel controllo del patrimonio faunistico dei parchi, sostituendosi ai meccanismi della selezione naturale? Le popolazioni di ungulati (cervi, stambecchi, camosci, caprioli, daini e cinghiali, per citare solo le specie più diffuse) sono in eccesso in tutti i parchi italiani, con gravi rischi per il patrimonio vegetale. Lo sfoltimento operato dai rigori dell'inverno si è rivelato insufficiente e la reintroduzione dei grandi predatori difficile. Ma se i valligiani non vogliono la lince nei loro boschi, esistono in natura altri due predatori. Uno al livello infimo della scala biologica,-virus e batteri; l'altro alla sommità: il più efficiente e spietato del cacciatori, l'uomo. Con il primo sono schierati tutti i protezionisti più radicali; con il secondo coloro che non ritengono l'attività venatoria e la conservazione dell'ambiente totalmente incompatibili. Dice Teresio Balbo, del Dipartimento di Patologia animale dell'Università di To rino: «Le epidemie intervengono automaticamente Tutti gli specialisti del mondo sono d'accordo nell'indicare il sovraffollamento delle nicchie ecologiche come causa, o concausa principale, dell'innescamento di focolai di contagio». «Non occorre altro, interviene Sandro Lovari, dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Parma, e tanto meno i fucili. Se un'epidemia è di per sé un fatto patologico, nulla vieta di considerarla, da un punto di vista biologico, un fattore limitante naturale. Come tale, dovrebbe essere accettato nei parchi e gli animali selvatici dovrebbero essere lasciati completamente liberi di gestire se stessi». ■Anche perché, incalza Lovari, l'intervento diretto dell'uomo si è finora rivelato cieco e disastroso». Cita alcuni casi: «Si dice che bisogna abbattere gli esemplari meno vigorosi per impedire che trasmettano il loro pa¬ trimonio genetico scadente alle future generazioni. Ma esiste una sola prova che 1 più deboli riescano a riprodursi? La competizione per il possesso delle femmine è spietata. Tra i cervi dell'isola di Rhum, in Scozia, il dieci per cento muore per le ferite riportate in queste lotte e gli accoppiamenti sono riservati soltanto a un cinque per cento dei maschi, i più belli e vigorosi, che procreano fino a quattro figli ogni anno». Ancora: «Si è detto che bisogna abbattere i vecchi, favorendo l'affermazione dei competitori più giovani. Ma recenti studi nel parco keniota di Amboseli hanno dimostrato che gli elefanti continuano ad accoppiarsi per tutta la vita e i più vecchi, e quindi i più grossi sono i riproduttori migliori Cosi i - cervi dell'isola di Rhum riscuotono il massimo successo riproduttivo tra i 7 e i 10 anni di età, quando secondo alcuni sarebbero maturi solo per l'abbattimeli to». La stessa reintroduzione dei predatori naturali incontra, se non oppositori, qualche scettico. Dice Francesco Framarin, direttore del parco del Gran Paradiso: «Il territorio del Parco sarebbe sufficiente per un paio di coppie di linci, non di più, Che predazione potrebbero fare? Qualcuno sostiene che servirebbero, se non altro, a rendere gli stambecchi meno domestici, più scattanti. A fargli fare ginnastica, insomma. Ma resta da dimostrare che la loro indolenza al cospetto dei visitatori sia sintomo di degenerazione. Nel più naturale del paradisi del pianeta, le isola Galapagos, gli animali non temono l'uomo, si può sedere sul carapace di una grossa ..testuggine senza scomporla. Gli inverni rigidi e le epidemie operano già tutti i necessari sfoltimenti dei branchi, senza aggiungere linci e tanto meno l'uomo con il fucile». Lasciar fare alle epidemie, dunque. Ma la maggioranza dissente, sia pure su posizioni e per motivi diversi. Replica Teresio Balbo: «La distornatosi ha ucciso metà dei cervi del parco della Mandria, nella stessa area sono morti per mixomatosi migliaia di conigli selvatici, la cheratocon giuntivi te ha provocato la perdita di 1700 camosci. Le epidemie hanno un'evoluzione imprevedibile e incontrollabile, che può assumere un'estensione maggiore di quella auspicabile sia sotto il profilo geografico, sia sotto quello delle specie coinvolte, investendo altri animali selvatici, magari rari, o domestici, con rischio, come nel caso della rabbia Silvestre, anche per l'uomo». Oppure possono portare a una 'soluzione finale» catastrofica. Qualcuno ricorda il caso degli stambecchi (discendenti da esemplari del Gran Paradiso) del parco del Triglav, in Jugoslavia: «Tutti uccisi dalla rogna sarcoptica. In questo caso l'epidemia è stata un fattore non limitante, ma cancellante». Sul Triglav, sono comparse, a intervallo di qualche anno, prima la polmonite virale, poi la cheratocongiuntivlte, infine la rogna sarcoptica: una successione preoccupante, se dovesse costituire una regola, per i nostri parchi dell'Italia settentrionale, dove le prime due epidemie si sono già puntualmente manifestate. Non resta dunque che il plotone di esecuzione, l'uomo predatore? I suoi sostenitori citano i casi dell'Alto Adige, dell'Austria, della Jugoslavia e di molti Paesi dell'Est: nazioni di cacciatori, dove boschi e montagne sono ricchi di selvaggina, che è divenuta una grossa fonte di reddito, fornendo carne alternativa. Esiste un'associazione, Wilderness, che sposa i due concetti della caccia e della conservazione; lo stesso World Wildlife Fund non è pregiudizialmente contrario ai cacciatori: «Capisco, ha scritto il presidente della sezione italiana, Fulco Pratesi, che a uno zoofilo possa apparire comunque inaccettabile che qualcuno si diverta ad uccidere un animale indifeso: ma questo rientra nel campo dell'etica e della morale e non coinvolge criteri ecologici o di conservazione della natura». «Personalmente, dice Vtt torio Peracino, ispettore sa nitorio del Gran Paradiso, provo una forte nostalgia per le linci, che però non sembra condivisa dagli amministratori e dalle popolazioni del Parco. Scartati 1 predatori naturali, l'unica soluzione che rimane mi pare quella degli abbattimenti selettivi degli esemplari In soprannumero. Riconoscendo umilmente che sappiamo poco, che occorrono ancora molti studi, perché non è detto che uno stambecco con un trofeo anomalo sia l'animale meno adatto a riprodursi. Ma le epidemie mi sembrano un mezzo di controllo demografico peggiore del fucile». Tutti coloro che si sono schierati a favore dell'uomo predatore lo hanno fatto con molte riserve e a precise condizioni. Primo, che rimangano zone integralmente protette in cui gli animali *gestiscano se stessi*, epidemie comprese, a scopo di studio; secondo; che gli abbattimenti selettivi siano compiuti con i più rigorosi controlli. Dagli stessi cacciatori che da tempo premono per portare le doppiette nei parchi? Ha tagliato corto Framarin: •Finché i cacciatori italiani sono quelli che sono, non se ne parla nemmeno. Raggiungano lo stesso livello di civiltà e correttezza dei loro colleghi svizzeri o austrìaci, e si potrà riparlarne». Da qualche tempo, tuttavia, qualcosa si muove anche nel mondo dei cacciatori. Soprattutto ai livelli direttivi delle loro associazioni sembrano consapevoli della necessità di cambiamenti: «La caccia che si praticava una volta, quella delle stragi di selvatici, dice Polo Leporatti, presidente della Federcaccia, non è più pensabile. Deve subentrare lo stile della caccia sportiva: un capo abbattuto secondo tutte le regole, nel rispetto assoluto della legge e del fair play, vale di più di un carniere pieno». Come ha detto Aldo Leopold, uno dei promotori del movimento Wilderness americano: «Lo scopo principale di noi cacciatori è di vivere all'aperto, l'atto di uccidere la selvaggina è solo secondario». O come ripete uno scrittore-cacciatore innamorato della natura, Mario Rigoni Stern: «Si, quando vado in giro per i boschi ho in spalla la doppietta. Ma si rassicurino i miei lettori, lo faccio solo come pretesto: sono molto poche le cartucce che consumo in un anno». Giorgio Martinat La lince potrebbe sfoltire la popolazione dei parchi, ma i valligiani non la vogliono nei loro boschi

Luoghi citati: Austria, Cogne, Italia, Jugoslavia, Scozia