Tra il «no» di Arafat e l'impennata del re

Tra il «no» di Arafat e Pimpennata del re Tra il «no» di Arafat e Pimpennata del re Il fallimento della trattati•va triangolare (Olp, Giordania e Stati Uniti) incentrata sull'accordo Arafat-Hussein dell'I 1 febbraio 1985 non ha sorpreso gli addetti ai lavori. In fatto quell'accordo era crollato dopo l'incursione aerea israeliana sul «comando politico» dell'Olp a Tunisi, il primo d'ottobre. Non è un mistero che Israele fosse niente affatto entusiasta dell'iniziativa ■ giordano-palestinese. Quello che la sua diplomazia ha sempre cercato è un accordo diretto con Hussein che consentirebbe di varare in Cisgiordania «l'autonomia alla Pcres»: qualche potere, cioè, alla Giordania nella «West Bank» nel campo dell'educazione, delle municipalità etc. Nulla di più, nulla di meno. E infatti dopo la drammatica denuncia televisiva di re Hussein, Rabin parla di «occasione storica» per avviare negoziati diretti col sovrano hascemita mentre Peres afferma che il fallimento della trattativa triangolare dimostra come il vero ostacolo alla pace sia l'Olp «al quale bisogna trovare una valida alternativa», cioè quei palestinesi che non si riconoscono in Arafat. Gli ha subito ri' sposto un palestinese «moderato», quale Hanna Se ni ora, direttore di Al Fajr (edito a Gerusalemme), dicendo che nessun palestinese accetterà mai le proposte di Israele «perchè ignorano i diritti na zumali dei palestinesi». Fa eccezione il sindaco di Betlemme, Frej, notoriamente legato a Hussein: «Il Sovrano col suo discorso ha chiesto ai pa lestinesi di scegliere fra la realtà e gli slogans». Il fallimento della trattativa non ha sorpreso gli «esperti»; solo ci si domanda, e in pa-aiqptere s^Caire* pluapHdcpgllrip * perché Hussein abbia gettato la croce addosso ad Arafat, un Arafat «sponsorizzato» appunto da Mubarak. Anche perché, si osserva al Cairo, Hussein si è guardato bene dal dire in pubblico quello che ha sempre ripetuto in privato e cioè che l'attuale governo di coalizione israeliano, «afflitto com'è da paralisi diplomatica», ha sempre respinto la formula «la pace in cambio dei territori». Ma tentiamo un'analisi rapida dei fatti. Arafat motiva il suo «no» alla risoluzione 242 dell'Onu con il rifiuto degli Stati Uniti di riconoscere ai palestinesi il diritto all'autodeterminazione. Un suo uomo di fiducia, raggiunto per telefono ad Amman, mi ha detto che Arafat «non poteva imbarcarsi in un negoziato senza avere anche dall'altra Superpotenza (gli Usa) // riconoscimento da tempo venutogli dall'Urss: E, poi, non si capisce perchè quel sacrosanto diritto — l'autodeterminazione — che Washington riconosce a tutti i popoli lo neghi soltanto a quello palesi: nese». E' veramente stata perduta una grande, occasione per avviare un nuovo e fruttuoso processo di pace, come ha affermato re Hussein? Forse ma un fatto ci sembra certo la «pax americana» è. alme no per il momento, in chiara perdita di velocità. Il gran ri fiuto di Arafat e l'impennata di Hussein non possono non giovare alla paziente, ostinata strategia mediorientale dell'Urss. Guardiamo sempre ai fatti: tutti i Paesi del Golfo, con la sola eccezione del l'Arabia Saudita, hanno da poco allacciato relazioni di plomatiche con Mosca. Faruk Kaddumi, «ministro degli Esteri» dell'Olp, è stato Jjii^yoJ^e .ricevuto, nelle tjjtj; me settimane, dal capo della diplomazia sovietica Shevardnadze.' Proprio Kaddumi aveva portato, il 10 gennaio scorso, un messaggio del Cremlino ad Arafat. Piuttosto secco ma oltremodo interessante: l'Urss sarebbe stata disposta a «salvare» Arafat mediando tra lui e Assad (che vuole liquidarlo anche fisicamente) per arrivare ' al ricompattamento dell'Olp, tuttavia a una condizione: che Arafat lasciasse cadere l'accordo con Hussein. Allora Arafat replicò testualmente: «Non accetto ultimatum ma capisco che dovrò decidere». La decisione è venuta con il «no» alla 242, nonostante le sollecitazioni di Mubarak e le pressioni di Hussein. E ciò perché, converrà ripeterlo ancora una volta, tra un improbabile buffetto sulla guancia da parte degli Stati Uniti e un possibile sostegno di Mosca, ad Arafat non rimaneva che puntare sul secondo. Non fosse altro per sopravvivere. C'è di più: Arafat sa che per Hussein trattare direttamente e da solo con Gerusalemme equivarrebbe a un suicidio non soltanto politico, inoltre ha capito quel che l'Europa sembrerebbe non voler riconoscere: vale a dire che nel mondo arabo sta prendendo il sopravvento il «fronte del rifiuto», sicché occorre — secondo lui — rassegnarsi a fare i conti con la Siria in primo luogo e, quindi, con Mosca per poter pensare a un assetto pacifico, ancorché lontano. Ma tardando la pace c'è il rischio che il terrorismo «guidato» riavviti la sua perversa spirale, senza risparmiare nessuno. brèdKteri