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Piovra pizza palazzo Persone Piovra pizza palazzo di Lietta Tornabuoni, 11 nostro linguaggio collettivo e pubblico sta cambiando, una schizofrenia lo lacera tra due stili dominanti e contrastanti. Da una parte sta il gergo poli tico-burocralico-sindacalc, con i suoi enigmi, la sua aridità, le sue affannate circonlocuzioni di tipo legale, le sue assurdità risultanti dal bisogno di rispettare e comprendere molte esigenze diverse, le sue faticose allusioni. Dall'altra parte sta il linguaggio simbolico, fatto di immagini spettacolari, di parole svelte e comode, facili da usare nei titoli di giornale e nei discorsi televisivi, di termini di gusto americano che subito diventano luoghi comuni interminabilmente ripetuti: la Piovra della mafia, il Palazzo del potere, la Pizza connection, le Guerre Stellari, l'aula Bunker, la Nave che va oppure non va, oppure affonda... Tra i due, per quanto brutto e vecchio sia il primo, il secondo è forse più dannoso. Fa più confusione: sostituendo alla definizione esatta un'immagine pittoresca, all'approccio razionale il capriccio fantasioso. Non condensa, nasconde. Non è semplificazione, ma mistificazione: cosa diamine sarebbe, oggi, il Palazzo? Già quando Pasolini ideò negli Anni Settanta la folgorante metafora, il «Palazzo» indicato come sede simbolica d'ogni potere fece presto a trasformarsi in una banalità generalizzante che assolveva da ogni distinzione, in un alibi dell'indiscriminatezza. Adesso poi che i poteri sono ancora più molteplici, frantumati e conflittuali, indicare il Potere con l'immagine di un edificio compatto o anche di un saldo contenitore, non e soltanto un modo di dire, ma un'autentica falsificazione politica. li Guerre. Stellari? E' un bel molo di film, ha fascino awmuroso ha il respiro t dell'immensità: ma usarlo per designare l'iniziativa americana di difesa strategica serve esclusivamente ad addomesticare la realtà militare, a renderla più accettabile. E la Piovra? L'evocazione viscida riporta subito • III A " _ " » _ » tH alle illustrazioni o ai film dell'infanzia, dà subito il senso d'una forza irresistibile, di strette fatali e soffocanti nelle quali ci si dibatte invano... E' strano che lo spettacolo nutra sempre di più coi suoi titoli drammatici un linguaggio politico-giudiziario che dovrebbe ricercare la massima concretezza; è strano avere l'impressione di trovarsi permanentemente in quei vecchi film in cui i Pellirosse chiamavano l'alcol «acqua di fuoco» o chiamavano il fucile «bastone che fa bum bum». Ma questo linguaggio enfatico, fiammeggiante, impreciso, s'indirizza alla parte più puerile e primaria di ciascuno, conservandola, compiacendola: svolgendo una funzione esattamente opposta a quella della cultura. Salvarci «Cosa guardi, maschiaccio? Vuol impararmi a memoria?». «SI, signora». E' l'esemplare dialogo tra una d'un suono classico e insic -11 - 1 1 . dama e il suo amoroso autista, ma nella nuova rivista di nudo la serie di fotografie d'una ragazza che si spoglia in un albergo della Riviera ligure va commentata in modo assai più filosofico e impegnativo: «Ed eccoci alla fine di questo intrigo. Chiudiamo con una domanda: saremmo capaci di viverla anche noi una storia cosi? Se sì, rallegriamocene. Siamo abbastanza estrosi e spregiudicati per salvarci, nell'alienante e programmato mondo d'oggi». Beati Chissà quale demone ha spinto a battezzare il nuovo mensile della Cgil Thema: nome da automobile o da computer, ma sarebbe il meno. E' peggiore la prosopopea di quella «h» latineggiarne e lambiccata, è peggiore la patetica ricercatezza me alla moda, la remota lontananza da ogni semplicità e necessità. Speriamo sia soltanto una scemenza come tante, se la scelta rispecchiasse la cultura del sindacato staremmo freschi; allora è più simpatica, nella sua diretta ingenuità, la testata d'un mensile lombardo di sinistra intenzionato a analizzare (in 56 pagine formato tabloid, per 4000 lire) «l'innovazione nella società, nell'economia e nella cultura»: «Il Moderno», e via. Diario- 4 invece chiamato, con sobrietà consonante alla copertina semplicissima da vecchio quaderno scolastico, il quadrimestrale quasi interamente scritto da Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli. Analisi, note, commenti ai fatti italiani, amarezza satirica, intelligenza desolata, un sentimento scorato della realtà, anche aspri iniqui aforismi alla Karl Kraus. Per esempio: «Beati quelli che hanno fame e sete ai giustizia, perché saranno giustiziali».

Persone citate: Alfonso Berardinelli, Karl Kraus, Lietta Tornabuoni, Pasolini, Piergiorgio Bellocchio