Tempesta sull'industria inglese La City ora è terra di conquista di Paolo Patruno

Tempesta sull'industria inglese La City ora è terra di conquista I settori tradizionali sono in piena crisi, quelli nuovi non decollano Tempesta sull'industria inglese La City ora è terra di conquista Stanno passando in mani straniere Levi and e Westland; il 60% delle auto in circolazione viene dall'estero - Disoccupazione record: 3,4 milioni - Gli alti tassi strangolano le imprese DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — La General Motors allunga le mani sulla Brltlsh Leyland. L'unica casa elicotteristica inglese, la Westland, è contesa da due cordate straniere: l'italo-amerlcana Plat-8ikorsky e 11 consorzio europeo AérospatlaleMesserschmltt-Agusta. E poi, nella vita quotidiana, 1 negozi sono invasi dagli hi-fi e dai video giapponesi o dal computer americani. La tavola del breakfast è monopolizzata dai fiocchi di avena made in Usa, le strade sono percorse per il 60 per cento da auto straniere, le vetrine abbondano di prodotti esteri. E in tutto questo panorama, dove va l'industria inglese? Il barometro segna tempesta, e non solo per fattori meteorologici stagionali. Il delicato processo di riconversione dell'apparato industriale britannico imposto con ferrea energia dal governo Thatcher dal '79 non ha ancora raggiunto 11 punto d'equilibrio fra l'indebolimento dei tradizionali settori portanti dell'esportazione di beni strumentali (autoveicoli e macchine utensili, prodotti ferroviari e navali, macchinari) e di materie prime o lavorate come carbone e acciaio e lo sviluppo delle aziende tecnologicamente avanzate con alto valore aggiunto (elettronica, computer ecc..). Il risultato, forse temporaneo, angustia i sonni del governo conservatore, giunto oltre la metà del guado ma avversato da una forte corrente, intrappolato da mulinelli e gorghi sempre più pericolosi: una disoccupazione ufficiale di tre milioni e 400 mila persone (un livello record in Europa), alti tassi di interesse che strangolano le imprèse con conseguenti fallimenti a catena, interi settori industriali in declino (dal carbone alla cantieristica navale) o sopravvissuti come la siderurgia dopo drastici sa¬ lassi o infine «ibernati» come 11 settore automobilistico, oggetto adesso delle mire del costruttori americani e giapponesi alla ricerca della più conveniente testa di ponte in Europa. Alla Cbl (la Confindustrla inglese) non suonano le campane a morto, ma fanno tristemente 1 conti con le avversità di un oggi che rischia di trascinarsi negli anni, fino a quando anche l'Inghilterra, culla della prima rivoluzione industriale, non sarà emersa nell'era del post-industriale. Il portavoce della Cbl, Philip Dlttan, snocciola con imper¬ turbabilità tipicamente bri-' tannica le cifre della crisi. Il primo dato fondamentale: la percentuale dell'Industria manifatturiera nel prodotto nazionale lordo è scesa, fra 11 '72 e l'82, dal 28 al 21 per cento e la tendenza è continuata anche negli anni più recenti, con la forbice che si è divaricata a favore del terziario, del servizi. Secondo elemento su cui è necessario soffermarsi: l'invasione straniera in un'Inghilterra diventata quasi ter ra di conquista per le multi nazionali e gli Investimenti esteri. «Qui operano ormai settanta società giapponesi, molto aggressive. E gli investimenti stranieri sono saliti, da due miliardi e 200 milioni di sterline nell'83i a 2,7 l'anno passato, con gli Stati Uniti in testa, seguiti da Oiappone, Olanda e Francia». Ci sono stabilimenti americani dell'auto e del camion, c'è una fabbrica della Nissan che lnlzlerà a costruire ventimila macchine ma che porterà poi la sua produzione annua a 100 mila auto. Davanti all'assalto della concorrenza straniera, si è Imposto l'ammodernamento accelerato degli impianti, una ristrutturazione dolorosa per l'occupazione. E' stato dimezzato 11 numero degli addetti alla siderurgia, sono calati da 130 mila a 60 mila i minatori, ridotti in dieci anni da 120 mila 1 dipendenti della Brltlsh Leyland al 40 mila attuali della Austin Rover. Il processo di deindustrializzazione ha investito con furia devastatrice 11 Centro-Nord del Paese: la Scozia, lo Yorkshlre, le Mldlands, con le città di Llverpool, Birmingham, Sheffield, conoscono una crisi traumatica, la disoccupazione sfiora 11 20 per cento. E le previsioni? Sono grigie oscure come il cielo. «L'occupazione nelie industrie continua a diminuire, 45 mila posti in meno solo nei primi nove mesi dell'85 — dichiarano alla Cbl —. Scorrendo le loro sta tistiche ptù recenti le prospettive restano tristi, malgrado il calo della sterlina che dovrebbe stimolare l'export. Per adesso registriamo anzi un regresso degli ordini per la prima volta dopo tre anni, mentre il ritmo generale d'espansione della.nostra economia rallenta, scendendo al 2,5 quest'anno e meno ancora il prossimo». L'ultimo bollettino della Confindustrla Inglese a fine gennaio registrava anche «un indebolimento degli investimenti, dopo due anni fausti, U7i calo nella capacità di utilizzazione degli impianti». In cifre, gli investimenti fissi aumenteranno del 2 per cen to In volume, restando Inferiori a quelli del 1080. La via di una sana ripresa appare ancora lunga, accidentata malgrado la signora Tha tener vanti la creazione, di 650 mila nuovi posti di lavoro in due anni e di migliala di imprese. Ma sono segnali incoraggianti che provengono quasi soltanto dal settore del servizi. Dopo aver ammonito che l'Inghilterra rischia di precipitare fra 1 Paesi di «ouarf'ordine», anche 11 principe Carlo ha dovuto ammettere nel giorni scorsi che «una nuova rivoluzione industriale è spuntata. Ma richiederà alla gente un doloroso periodo di cambiamenti, slmile a quello della prima rlvoluzlo ne industriale». I sudditi inglesi sono avvertiti, la «cura Thatcher» non farà miracoli. Paolo Patruno Dio salvi la sterlina ! (cambio dollaro/sterlina, scala logaritmica

Persone citate: Birmingham, Carlo, Philip Dlttan, Plat, Sheffield, Thatcher