Teatro piemontese: il futuro è grigio

Si presenta molto malinconico il bilancio della prosa dialettale a Torino Si presenta molto malinconico il bilancio della prosa dialettale a Torino Teatro piemontese: il futuro è grigio Farassino, Braga, Scaglione, Rossi, Molino e gli altri fanno il punto sulla situazione Il 1086 segna i cent'anni dalla scomparsa di Giovanni Toselli, che fu 11 primo grande Monssù Travet, e segnerà altresì la morte del teatro piemontese. ÌM lugubre coincidenza è purtroppo suffragata da impietosi e sconcertanti dati di fatto. A Torino e nella Regione nessuno crede nel repertorio della tradizione, l'idea di un appuntamento in dialetto lascia tutti freddi. Questi 'tutti' — il teatro pubblico, gl'impresari privati, le autorità politiche ma non 11 pubblico che fino a Ieri esisteva — hanno fatto 11 possibile perché l'attuale silenzio ricordi l'analoga decadenza nel periodo fascista. Allora una parlata in vernacolo significava probabilmente un turbamento del centralismo totalitario. Oggi 11 fenomeno riesce per certi versi incomprensibile, poiché in questa stessa generazione e per almeno una dozzina d'anni tre grossi teatri cittadini hanno fatto l'esaurito con Macario, Campanini, Farassino e successivamente con Barbero: essendo Barbero nato dopo la guerra, ne consegue che richiamava pure un suo pubblico di coetanei. Ciò per escludere l'insinuazione di passatismo In chi ama la cultura popolare della propria regione. Ma lasciamo la parola alla gente di mestiere, altri commenti stonerebbero persino in una situazione tanto chiara. Ecco Oipo Farassino che si dice disgustato: «Bisogna fare qualco¬ Il regista della compagnia Massimo Scaglione è uno specialista in miracoli, dal momento che riuscì a dare in Rai tre serate del nostro repertorio. I bersagli sono i soliti, con una-sottolineatura particolare: ili teatro pubblico non concede spazi per mancama di volontà politica; i posti che al Comune interessa riaprire vengono riaperti; Comune e Regione hanno attribuito fior di sovvenzioni a organizzazioni di arte varia, dama, musica. Per la ribalta piemontese, malgrado reiterate promesse, nulla. Se si pensa che a Viterbo,-festival internazionale, l'Italia era rappresentata dal Teatro delle Dieci con le Farse dell'Alione che non hanno avuto un invito In Piemonte, il quadro si delinea. Provincialismo forse, o meglio una confusione che gli organi competenti accrescono appoggiando rassegne di ogni tipo. Forse siamo tornati a metà Ottocento quando Cavour, Brofferio e lo stesso Bersezio contrastavano il teatro in dialetto. Più riflusso di così... Io penso a un centro di cultura che favorisca le manifestazioni della tradizione, il che non esclude i nuovi autori, che nascono solo in quanto rappresentati*. Abbiamo detto che 11 pubblico non nutre complessi. Ha per esempio adottato Raffaella De Vita, attrice napoletana che degl'intervlstati risulta l'unica attualmente in scena con successo, la quale si è persino ingegnata di reci¬ sa, dice il Sindaco, e intanto per noi mancano i teatri, le occasioni. Allo Stabile il discorso è chiuso perché ogni proposta alternativa.toglieva un minimo di tranquillità: i reggenti ne i saranno felici. Metto sotto accusa con loro anche la borghesia cosiddetta illuminata, i centri produttivi, glindustriali che fanno grande Torino nel loro campo. Perché assistere impotenti al suicidio culturale di un'intera regione? Chiedo che si fondi un centro di cultura con un comitato di garanti e un comitive* esecutivo perché si faccia qualcosa non solo in fatto di prosa. Chiedo anche che si pensi a Torino come capitale del Piemonte e non, secondo i luoghi comuni, come capitale dell'immigrazione*. Poche battute, molti rimpianti nel compagni di Dipo. Wilma D'Eusebio è spiccia come le sue proverbiali comari: «17 disastro del nostro teatro si spiega in tre punti. Crisi di teatri nel senso di mancanea di edifici, deficit finanziario per la difficoltà nelle sovvenzioni, assoluto disinteresse degli enti pubblici. Io m'accontento che ci risolvano il primo punto, dateci un teatro*. Vittoria Lotterò, un'oriunda: 'Sono savonese di nascita ma ho subito amato il dialetto, una bellissima forma dintegrazione. Mi spiace che sia siano gabellate per cultura piemontese certe operazioni non valide. Passata la confusione e recuperato il pubblico che ci aspetta, verranno an¬ tare con Glpo: 'Non solo nel caso nostro, ma in materia di cultura e di politica ho notato una chiusura che rappresenta il massimo del provincialismo, proprio mentre snobba un valido prodotto di casa per correre dietro a uno con la targa straniera*. Armando Rossi che ha tenuto duro In tempi consimili: *Per me manca soprattutto il grosso attore, il Casaleggio per intenderci. Quanto al teatro pubblico, Milano non ha avuto paura a lanciare il suo Bertolazzi. Da noi si seguono altre politiche per giustificare i soldi che si spendono (non ho detto i soldi che si hanno)*. Giorgio Molino ha concluso tra le polemiche una stagione dell'avanspettacolo: 'Costi gravi, spazi limitati. Ci vuole coraggio, no? E anche un'apertura sociale perché una compagnia smuove il mercato del 'terziario'. Invece si preferisce che noi siamo gli eterni boglanen. Propongo un'associazione degli amici del teatro in Piemonte, aperta a tutti, e una sottoscrizione per riaprire la sala del Macario. Mi piacerebbe portarvi Finestre sul Po». Finiamo con il sarcasmo. Gianni Llboni ritiene che le discoteche e 1 ristoranti diano da vivere, mentre si allenta la passione per il teatro: • Con tutte queste chiusure, con questi no, non c'è nemmeno più bisogno di venderci per salire su un palcoscenico*. che teatri e sovvenzioni*. Mario Brusa: 'Avevo un sogno. Dare il Travet, personaggio da cinquantenne, ma solo dopo altri dieci anni di teatro piemontese per me che ne ho quaranta. Ambizione o maturità che sia, di sicuro non se ne farà niente nell'attuale momento medioevale. Passerà?*. Enza Giovine: «Otto anni con Macario ma — mi domando — faceva teatro piemontese? Bisogna mantenere viva la nostra lingua e ciò si ottiem con il vero teatro. Credo che testi ottocenteschi come Guera o pas ? di Garelli e Ij mal nutrì di Leoni sarebbero una scoperta e una sicurezza*. ' Piero Perona

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