Chi ha paura di certi fantasmi?

Perché oggi possiamo togliere dall'armadio i demoni della nostra storia sgradita Perché oggi possiamo togliere dall'armadio i demoni della nostra storia sgradita Chi ha paura di certi fantasmi? Quel «buco della memoria» Graziani: museo tra molti enigmi I Ciano: Livorno non ha nostalgie «Silenzio perfetto. / Chi tace un confetto / chi dice parola / va fuori di scuola*. La filastrocca — popolare durante il ventennio anche per la sua allusione al Grande Manovratore Mussolini — vale oggi quando si scrive di fascismo: le Vestali della democrazia, infatti, sono li a suggerire che se si tace * me gUo e se poi se ne deve proprio partale, allora bisogna farlo secondo certi canoni, adottando certe cautele, affinché ir fantasma del fascismo — demonizzato nel '45 e chiuso In un armadio — non torni in giro a turbare le certezze dei cittadini ormai codificate net libri di storia patria. Il primo a fare scandalo fu Monelli col «Mussolini piccolo borghese» In cui 11 duce era visto, e Indagato, nell'ottica del titolo del libro; ma U fatto che questo saggio — tuttora citattssimo perché Io troviamo anche fra le note dell'ultimo volume del «Mussolini» di De Felice — Indugiasse sull'amore per Claretti» e sul mi' steri della morte del dittatore, parve un oltraggio alla professione dello storico, anzi, alla Storia in persona. Ora, In una chiave non dissimile, è la volta di Graziani e fa scandalo ch'egli — spesso sbrigativamente liquidato come impiccatore e fucilatore — venga proposto all'indagine degli storici, quasi che U tentativo di dare finalmente al personaggio uno spessore politico, psicologico, umano, militare (al di la delle agiografie degli amici e delle scarse o monche fonti bibliografiche) costituisca una rivalutazione automatica acritica della sua opera e delia sua epoca, quasi che una ricerca condotta su un Grandi, uomo-chiave del complotto del 25' luglio, rappresenti apologia del fascismo e non strumento per completare il quadro storico di un periodo dèi' quale, tutto sommato, sappiamo qualcosa soltanto grazie alla monumentale fati' ca di De Felice. Oggi non possediamo biografie d'un superpoliziotto come Bocchini, d'un generale come Gambara, d'un diplomatico come Suvlch: di uomini che, nel bene e nel male, furono protagonisti d'un pezzo della nostra vita e dei quali i nostri figli — secondo le Vestali della democrazia — dovrebbero sapere solo che, in quanto fascisti, loro comune denominatore, erano cattivi, corrotti, incapaci. E che perciò, di loro, è inutile parlare, pena li delitto di lesa patria. L'ideale, per questi falsi tutori della nostra Storia, sarebbe ohe U cittadino rimanesse nell'ignoranza e credesse ancora alle fanfaluche del libri sul Risorgimento secondo 1 quali Vittorio Emanuele n ebbe U coraggio di dire a Bcdetzky che «lo Statuto non si tocca* mentre in realtà, a Vignale, questo sovrano, più reazionario che galantuomo, assicurò all'ex nemico che, appena tornato a Torino, avrebbe «messo a posto lui quei quattro liberali* Questo per dire con un esempio che se si continua a imbalsamare, demonizzare, emarginare, ignorare la storia sgradita si finirà per reinventare quel «buco della memoria» orwelllano in cui si distruggeva la verità per poterla rimodellare secondo il pensiero del Grande Fratello. ROMA — Le terre che videro la gioventù e gli ultimi anni di Graziani si stendono, tutte colline e lande di pastori, nel cuore della Ciociaria, in alto Lazio, lungo il confine con l'Abruzzo- fra Filettino, Affile e gU Altipiani di Arcinazzo, a una ottantina di chilometri da Roma. Il maresciallo nacque a Filettino 1*11 agosto 1882, un venerdì, sotto il segno del Leone, e gli furono imposti dal padre, il medico condotto dottor Filippo, i nomi di Rodolfo, Goffredo, Lavinio. Il museo che il paese vuole dedicargli nel maggio prossimo, ricorrendo il cinquantenario della conquista dell'Abissinia, avrà sede proprio nella casa natale, un solido edificio al limitare dell'antica Filettino, dove fino a qualche anno fa una lapide di marmo ricordava: ••Questa casa / fra i monti da cui si levano le aquile i è il nido natale i di i Rodolfo Graziani i maresciallo d'Italia i vicere d'Etiopia Dice il sindaco missino di Filettino, Mlsserville. che nel museo troveranno posto, oltre a un trono del Negus, al bastone del maresciallo, ai quadri e ad altri oggetti del folclore e - della storia abissina, anche documenti inediti di Graziani, come il diario ch'egli tenne durante la prima guerra mondiale quando diventò il più giovane colonnello d'Italia, perché le tappe della carriera di Graziani (dalla Cire¬ naica 'all'impresa etiopica, dal comando superiore in Africa Settentrionale alla sconfitta cocente di Sldi el Barrarli, alla carica di capo delle forze armate di Salò) formano un. percorso complesso e non facilmente districabile anche per gli storici. Intanto c'è questa sea figura di generale coloniale venuto dalla gavetta perché non ha frequentato accademie o scuole di guerra, non appartiene allo Stato Maggiore né ai potenti clan dell'esercito e non è neppure fascista (almeno agli inizi); tuttavia fa carriera e còme Badoglio arriva, cioè sui cinquantacinque anni, al bastone di maresciallo d'Italia. In questo quadro bisogna collocare due punti-chiave: la sua azione in Tripolitania e Cirenaica fra il '21 e il '34 improntata al feroce pugno di ferro, dall'impiego dei gas asfissianti alle trasmigrazioni forzate dei nomadi nei campi di concentramento, e il comando del fronte sud in Abissinia, fronte che sostenne bravamente, in proporzione all'estensione territoriale e alle forze e ai mezzi impiegati, il peso maggiore di quel conflitto. E qui si innesta un altro nodo da sciogliere, il nodo professionale: bisogna stabilire se Graziani fu o no un buon generale d'armata, se la sua débàcle nel deserto è da attribuire all'impreparazione tatticostrategica del comandante o a quella dell'esercito o, an- Graziani con Muss cora, alla generica mancanza di mezzi adatti. Un altro punto altrettanto cruciale è quello della partecipazione di Graziani alla Repubblica di Salò quale ministro delle Forze Armate. Non è esatto (ed è comunque un aspetto da chiarire) che egli sia stato un sanguinario persecutore di partigiani, anche se il sinistro bando che comminava la pena di morte ai renitenti delle classi 1925 e 1926 portava la sua firma: sarebbe interessante che il museo potesse raccogliere una documentazione sul doppio gioco ch'egli condusse attraverso gli ambienti della Chiesa e la copertura che offri, evidentemente pensando al futuro, al generali suoi colleghi schierati se non nell'antifascismo almeno nell'agnosticismo. ssolini all'epoca di Salò o ea e aoan di ia ti anouco so e iuenaLa sua scelta per Salò rimane ancora un enigma (almeno di non spiegarla tout court con la sua rivalità per Badoglio) se non si accetta la versione del maresciallo che ha sempre sostenuto di aver voluto «salvare l'onore d'Italia». Cosi come appare un enigma la sua politica, prima da isolato e poi da presidente onorario del msi, nel confronti della de, come testimonia l'incontro di Ar cinazzo con Andreotti. Dunque, il museo che Filettino vuole dedicare, dopo il parco, al suo concittadino Graziani (scomparso a Roma trentun anni fa, nel gennaio 1955, dopo un intervento chirurgico) può offrire l'occasione per indagare su un personaggio che ricopri ruoli di non comune rilievo nelle due Italie del 1943-1945. g.m. LIVORNO — Prima che a Prosinone si decidesse di costruire un mausoleo in onore del Maresciallo Oraziani, c'era chi a Livorno (detta •CianopoU» negli Anni Trenta) aveva pensato a un qualche monumento in onore della dimenticata famiglia Ciano, livornese: alla città essa ha dato gli statisti più illustri della sua storia: Costanzo Ciano, ministro delle Comunicazioni e poi presidente della Camera del Fasci e delle Corporazioni (mori nel '39) e il ben più noto figlio Galeazzo, ministro degli Esteri dal "36 al '43, marito di Edda Mussolini, fucilato per volontà dei tedeschi e del suocero nel '44. Il posto per il monumento ai Ciano ci sarebbe già, sostengono i suoi ideatori, di cui si è fatto portavoce con un manifesto, ampiamente diffuso nella città («rossa* oltre il 50 per cento), l'umorista Alberto Premura: si tratta di restaurare un gran blocco cavo di granito incastonato nella collina che sorge a Sud di Livorno e guarda il bel mare di Antignano da una parte e il Santuario di Mantenero, tra pini e odorosi arbusti di macchia mediterranea. Lo innalzarono i Ciano per il loro personale mausoleo e culto: la guerra e le tragiche vicende della famiglia interruppero, per sempre, la estrazione: dal secondo dopoguerra questo altissimo involucro di granito è diventa. to deposito di immondizie e muto testimone di amorì. Fi nora dei Ciano a Livorno nessuno aveva più parlato. Se Galeazzo fu estraneo alla città in cui era nato, il padre, eroe della beffa di Buccari, legionario fiumano prima di diventare uno dei più fedeli collaboratori del Duce, fece molto per Livorno, grazie alle sue cariche di regime: fece costruire un ospedale per quei tempi all'avanguardia; dotò il lungomare di una splendida passeggiata, la panoramica Terrazza Mascagni; fece assegnare al cantiere navale •Orlando, prestigiose commesse, come la nave sovietica Tashkent, «imbolo dei buoni rapporti che intercorrevano tra Roma e Mosca; si interessò dell'edificazione dello stadio Ardenza (di cui fu madrina la nuora Edda); risanò il centro della città. Nella più ampia storia del regime Costanzo Ciano, più tecnocrate che uomo da squadre d'azione alla Balbo, fu l'importante tramite tra il partito fascista e gli ambienti liberali, gli imprenditori, i militari. Sulla possibile «riabilitazione' livornese di Ciano, in stile Fresinone, abbiamo chiesto il parere a un prezioso testimone degli anni dell'ascesa del Fascio e del Ciano, lo scrittore e poeta Riccardo Marchi: fu assessore alla Pubblica istruzione del comune di Livorno nella giunta presieduta dal sindaco socialista riformista Mondolfo, l'ultima prima della Galeazzo Ciano soppressione delle autonomie locali. Lo scrittore ha dedicato a Livorno alcuni tra i suoi romanzi miglimi (apparsi negli Anni SO e 60. presso l'editore Ceschina, adesso ristampati a Livorno dall'editrice «La Nuova Fortezza'): Via Eugenia 1900, Il neutralista, Anteo legionario. Proprio in quest'ultimo libro Marchi ha tracciato un pungente ritratto di Costanzo, indicato come «Ù generale», indaffaratissimo ministro del Duce, nonché potente e godereccio ras della città tirrenica dove spesso e volentieri compiva scappatelle erotiche. •Cosa pensa di un mausoleo per i Ciano?, chiedo allo scrittore. •E' un non senso; è una cosa antistorica, di impossibile realizzazione. Livorno non ha di queste nostalgie». Secondo lei, i Ciano meritano l'oblio cui li ha condannati Livorno? •Certo che la figura di Costanzo, come quella di Galeazzo, devono essere analizzate, studiate a fondo, ricostruite dagli storici, anche nei loro rapporti con la città. Penso, tuttavia, che una loro riabilitazione non sia necessaria. Che 1 giovani debbano sapere chi sono stati 1 Ciano, non c'è dubbio. Ma da qui al mausoleo» non dimentichi che proprio Costanzo, dopo il delitto Matteotti, galvanizzò con 11 suo totale sostegno la belva smarrita». Costanzo Ciano, comunque, fece molto per la sua città. «Ciano aveva indubbiamente delle qualità umane. Si rendeva simpatico. Per carattere, non rientrava nella tipologia del fascista violento. Ebbe un'educazione liberale e quando fu il supervisore delle cose di Livorno, mise nei posti chiave tutti uomini di provenienza liberale, per lo più suol amici di gioventù. Quanto alle sue realizzazioni livornesi egli fece per la città meno di quello che si sarebbe potuto e dovuto fare, tenendo conto anche della sua notevole espansione' demografica. La demolizione di quartieri fatiscenti e la costruzione di alcuni bei palazzi nel centro furono il minimo di ciò che una dittatura come quella fascista poteva fare per una città industriale e portuale dell'importanza di Livorno. Dal canto suo, Galeazzo non ebbe alcun rapporto con la sua città natale. Quanto all'oblio, non le pare che sia il destino inevitabile di tutti quegli uomini politici e quegli statisti che, dopo la morte, non hanno ispirato poeti, drammaturghi, romanzieri e non ne sono stati riscattati dall'arte? Galeazzo è un personaggio tragico che potrà entrare nel mito, solo se troverà un artista che parli di lui, della sua vicenda». Chissà, tuttavia, se a Livorno, dopo l'esempio di Prosinone, la questione di un monumento per i Ciano non sii destinata a riaccendersi. Piero Sinatti