Quei roghi
Quei roghi Quei roghi Chi propone di radere al suolo l'Altare della Patria, contrattacca l'architetto Bilancio™, evoca i nazisti che bruciavano i libri: «DI fronte a questo monumento colossale, il solo atteggiamento possibile è la devota ironia, l'opera va protetta dai deliri di distruzione». Intanto succedono cose post-mo-. derne: la gente s'accalca in piedi; nonostante molti nervosi tentativi, non si trova il televisore giusto per riuscire a trasmettere al pubblico la registrazione di due preziose opinioni di Andrcotti e di Spadolini sull'Altare della Patria; per tre volte manca la luce, come in Ginger e Fred. L'oggetto della contesa resta li accanto, visibile dalla finestra meglio che nelle diapositive proiettate sulla parete della sala, e l'avvocato Landi ne ritraccia la storia: il 20 settembre 1870 l'Italia entra in Roma papalina col suo re Vittorio Emanuele II, che muore nel 1878; il Parlamento vota una legge per erigere un monumento «algran^re,-fondatore,dell'unitàd'Italia»; viene indetto un primo concorso, cui partecipa-, no centinaia di progetti ma che resta senza esito; il concorso utile è il secondo, vinto dall'architetto Giuseppe Sacconi. La costruzione, originariamente destinata al Campidoglio, comincia nel 1885, subito con molte difficoltà: «Non si sapeva cosa ci fosse sotto le casupole, i resti medievali, le chiese fatiscenti che costituivano il Colle Capitolino: fu necessario adottare varianti e spostamenti. Altra difficoltà, la questione del marmo: il marmo del monumento è diverso da quello d'ogni altro monumento romano, non è travertino ma il botticino di Brescia, scelto per volontà del presidente del Consiglio Zanardelli che era brescia^comprato con contratti assai Onerosi per lo Stato». Sacconi lavorò alla costru¬
Persone citate: Giuseppe Sacconi, Landi, Sacconi, Spadolini, Vittorio Emanuele Ii, Zanardelli
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