Una Sistina dell'arte povera

Una Sistina dell'arte povera PITTORI ITALIANI DEGLI ULTIMI 25 ANNI IN GIRO PER IL MONDO Una Sistina dell'arte povera Dal consumismo del «boom» economico all'età elettronica, opere irreprensibili ma spesso scarsamente italiane Finché arriva il recupero della tradizione, l'«omaggio al museo» più o meno ironico, specialità tutta nostrana Dagli Anacronisti ai Transavanguardisti la creazione si rifa leggera, fantasiosa - E il «made in Italy» torna a tirare FRANCOFORTE — Capita sempre pili di frequente che delle rassegne dedicate all'arte italiana degli ultimi anni prendano la via dell'estero. E' successo nell'estate scorsa, a Nizza, con una mostra in due puntate (una delle quali allargava il discorso oltre la pittura e. la scultura per investire anche la moda e il fumetto). Nell'autunno, poi, una mostra dell'Arte povera, partita da Torino, è approdata in un prestigioso spoeto pubblico di New York, il P.S. 1. E ora si è appena aperta una rassegna intitolata mAspetti dell'arte italiana, 1960-85' (catalogo Mazzotta). La prima sede è il Kunstverein di Francoforte, ma poi l'esposizione, che raccoglie opere di qv.ara.ntun artisti, andrà a Berlino, Hannover, Bregenz, Vienna. L'ente organizzatore, in questo caso, è ■stato la Galleria comunale d'arte moderna di Bologna, dunque una municipalità, e non un ente statale, che a sua volta si rivolge ad altre municipalità, sfruttando l'affinità che per questo verso ci lega al mondo tedesco e austriaco. Logico comunque che, di fronte all'infittirsi di mantfestaeioni del genere, ci si ponga la domanda: come ci vedono gli stranieri, e forse prima ancora, come ci vediamo noi stessi, di là dalla frontiera, e di fronte a selezioni della nostra arte condotte inevitabilmente con criteri sintetici e schematici? E' straordinario constatare quanto la ricerca artistica costeggi le grandi tendenze che si possono registrare anche nella società e nel costume. E cosi, considerando con particolare attenzione l'ultimo nato in questa serie di prodotti, cioè i francofortesi •Aspetti dell'arte italiana 1660-S5', vediamo che appunto i primi Anni 60, con cui si apre l'esposieione, confermano i caratteri generali offerti allora dal nostro-Paese. ' '"h '■■ ■ « In quel momento eravamo protesi in uno sforno di -omologatone-, per COSÌ dire, di allineamento con i Paesi più avanzati del mondo occidentale, e dunque cercavamo di vivere fino in fondo l'esperienza del boom industriale-economico, l'ingresso nella società del benessere, la trasformazione da una cultura contadina e provinciale a un'altra dominata dai grandi concentramentl urbani. In arte, le tendenze sincronizzate su questo me¬ tro si chiamavano Pop Ari e Op Art, secondo un bel gioco di parole ispirato dalla llnqua inglese (il popular e l'optlcal, totalmente diversi come origini; giungevano a rassomigliarsi, se ridotti a sigle). La mostra portata a Francoforte reca alcuni esempi di Pop nostrana: i romani Mario Schifano e Mario Ceroli, I •nqrdicU, Concetto Pozzati e Emilio Tadini (beninteso, si sarebbero potuti portare altri esempi: l torinesi Qilardi, Mondino, Nespolo, il milanese-parigino Adami). E il tema di fondo sembra essere costante: una wlontà di raggiungere sul filo dell'attualità le poetiche dominanti, e dunque di essere •omologhi', col rischio di indebolire i coefficienti di riconoscibiHtd nazionale. E col rischio, Quindi, non evitato in quegli anni, di apparire, agli occhi degli stranieri, come altrettanti •portatori di vasi a SamO', come zelanti allievi, desiderosi solo di superare i maestri, o i fratelli maggiori, nell'ossequio alle forme dominanti dell'internazionalismo. Eppure, notevoli margini di originalità, perfino di •italianità' filtravano, al di sotto dell'adozione di un linguaggio standard. Per esemplo. Schifano non riusciva a evitare del tutto un •ritorno' di sensibillsmo pittorico tenue e delicato, non indegno del tonalismi della Scuola romana. Cerolt rifaceva, si, gli emblemi della pubblicità consumistica, ma su un materiale «povero», artigianale come il legno, e conferendo vai loro contorni bellissime sblsciolature, capaci di evocare le eleganze del liberti/. E poi, faceva già capolino quella che è da considerarsi una •specialità' italiana, il recupero della tradizione, l'omaggio al museo. Uno dei pezzi più noti di Ceroli, sempre in quei primi Anni 60, si ispirava addirittura alla Sistina, seppur riducendola, ironicamente, a una 'Cassa', quasi a un prèt-à-porter. E Pozzati e Tadini facevano professione sistematica di •citazioni' dai manuali di storia dell'arte contemporanea. Tuttavia l'obbligo di agguantare l'internazionalismo non era certo venuto meno, anzi, doveva ancora vivere una fase ulteriore. Giungiamo infatti al '68, che in sostanza significa il rifiuto di una cultura appoggiata alItndustrialtsmo pesante, all'urbanesimo, al consumismo, e il passaggio a una cultura ben diversamente strutturata, dove domina l'elettronica, consentendo la famosa resurrezione del valori dell'immaginazione, di un'esistenza più leggera e diffusa, decentrata, sdegnosa del beni materiali. Diverse vie Alla Pop Art subentra il fascio di poetiche che si intitolano al •concettuale', al comportamento, al 'processo', alla Land Art, e così via. A Torino nasce un movimento che in qualche modo concentra e sintetizza tutte queste diverse vie per evadere dalla pittura tradizionale: l'Arte povera. E beninteso, la mostra tedesca non poteva evitare di rappresentare in quantità congrua questi •torinesi', anche se non al completo: vi si possono vedere pertanto Michelangelo Pistaletto, Mario Mera, Giulio Paollni, assieme ad alcuni loro amici, attivi in ' altre zone della penisola (Pierpaolo Calzolari, Maurizio Nannuccl, lo scomparso Vincenzo Aglietti). Con tutti questi vari •poveristi' sembra proprio che l'internazionalismo sia «tato raggiunto in misura soddisfacente, perfino nelle tecniche esterne di pubblicità e di promozione. Infatti I membri di questo gruppo non sfanno la coda', non devono attendere il loro turno, per entrare nel gran giro mondiale delle gallerie e delle mostre «che contano'. Un po' come succede all'Italia del software, che si allinea al mercato straniero certo con maggior prontezza di quanto non sia avvenuto al tempi delle industrie pesanti. Ma resta il sospetto che, per quanto bravi e rapidi di ri flessi, gli italiani, e non cam bia molto se parliamo di arte o di tecnologia, arrivino sempre un momento dopo, ovvero continuino a 'portare vasi a SamO', offrano un prodotto irreprensibile ma appunto scarsamente 'italiano'. Questo accade, almeno, finché si prendano la tecnologia, e l'arte che le si affianca, per il loro verso, lungo la direzione di marcia del progresso. Tecnetronica Ma sappiamo bene che l'età elettronica è piti importante per glt effetti •indotti' che per quelli diretti: essa riaccredita il piccolo formato, il tempo libero, il ritorno di sensibilità al passato, al piacere di ricercare i pezzi d'antiquariato, e cosi via. Se l'uomo Pop, Bell'età del mass-media, era grintoso, anonimo, stereotipato, l'uomo della civiltà tecnetronica è fine, recupera il •privaton, cura con molta attenzione la moda, il cibo, l'informazione culturale. In questo clima matura il successo del «made in Italy», che sorregge la bilancia dei pagamenti, mandando all'e¬ stero, appunto, moda, arredo, design, o tecnologie sofisticate, di quelle che nascono in qualche nostrana Silicon Valley con l'aiuto di tanta intelligenza e mobilità di idee. Analogamente, il clima •concettuale', che fu il piii bel portato del '68 nell'arte, dà luogo a una curiosa inversione: con le armi 'leggere' della citazione si va a rovistare nel passato e nel museo, riscoprendo il fascino •impossibile' di Raffaello, David, Ingres, De Chirico. E' infatti un artista .concettuale» come Paolint il primo a battere questa strada, ma subito seguito da Salvo, anche lui torinese, o da Luigi Ontani, o da Carlo Maria Mariani (questi ultimi due attivi a Roma). In breve, nasce il tipico clima •postmoderno' che ha dominato gli Anni 70 e l'inizio degli 80, e che ha visto imporsi, in tutto il mondo, un'arte •leggera», fantasiosa, pronta a riscoprire le doti della •mano», del colore, perfino del materiali ideila tradizione artigianale (le ceramiche e le terrecotte, con cui un altro torinese, Luigi Mainolfi, esegue statue splendide, degne di elevarsi nelle nostre piazze come altrettanti monumenti). Beninteso è un panorama scosso da liti, da antagonismi. Ci sono gli artisti Nuovi-nuovi o postmoderni, che come Salvo, Ontani, Mainolfi (e Spoldi, Salvatori, Jori, per ricordare qualche altra presenza alla mostra di Francoforte), si richiamano a una citazione elegante e divertita, condotta in una chiave volutamente naJve; ci sono gli Anacronisti, che al seguito di Mariani fingono di copiare con molto zelo i capolavori inesistenti di un museo immaginario; e infine ci sono I Transavanguardisti, I più noti all'estero, forse perché, in un certo senso, incrociano tra loro queste varie maniere (sempre a Francoforte si possono ammirare due vaste opere di Nicola De Maria e Mimmo Paladino). Insomma il «made in Italy ■ tira forte, lo sappiamo, lo constatiamo nell'arte come nell'economia. Ma continua a risuonare un dubbio: potremo andare avanti, con queste fortune di un'organizzazione votata a tutto ciò che è sovrastrutturale, effimero, epidermico? Molti commentatori della nostra economia arricciano il naso, sentenziano che cosi non potrà durare, che dovremo fare t conti con le esigenze •strutturali» della grande industria. E cosi pure, nell'arte, l patiti dell'internazionalismo e del Movimento moderno scuotono ti capo, attendono l'arte italiana al varco di un redde ratlonem, al riaffacciarsi di poetiche razionaliste e rigorose. Renato Barili! Concetto Poz/.ati. «Il mio rinnovato amore per l^éger», del 1966 (in alto). A fianco, Mario Cerali: «Ombre», del 1965