STORIE DI GENTE DELL'ALTOPIANO

i dello sci STORIE DI GENTE DELL'ALTOPIANO i dello sci E' venuto il tempo d'inverno; del turismo invernale intendo dire e le famiglie invece di provvedere, come si faceva uh tempo, farina, salumi, patate e vino hanno pensato ai regali natalizi e al cenone di Capodanno; ragazzi e ragazze hanno sfogliato le riviste di moda per scegliersi l'abbigliamento da farsi guardare, o gli sci supervcloci con i quali rompersi le gambe. Invece le signore sudano al sole del mezzogiorno pur di sfoggiare le bellissime pellicce scuoiare agli animali siberiani o canadesi. Poi verranno anche gli alpini e gli artiglieri della Brigata Cadore, con le motoslitte al posto dei muli e l'equipaggiamento da Polo Nord per le esercitazioni invernali tra queste montagne dove, ottant'anni ;fa, per la prima Volta apparvero i reparti di "«Jskiatori». Erano cinquanta uomini comandati da un capitano e da tre tenenti, scelti dai tre battaglioni del 6° Reggimento. Tra questi militari il più ardito era il caporale Bcrtizolo che si lanciava in velocità da un trampolino e faceva salti di didotto metri! Allora gli sci erano molto lunghi, i bastoni due paletti di nocciolo, gli attacchi di spesse cinghie ben unte'di sugna, più da basti per muli che per piedi di cristiani, «Soldati jskiatori in esercìzio» mi ricordo, diceva la didascalia della foto su un giornale del tempo: con sullo sfondo il paese e le montagne si vedeva in primo piano una collina dove un sergente e tre alpini si "muovevano con slancio baldanzoso osservati da un ufficiale con i piedi nella neve. Sotto un'altra fotografìa si leggeva: «Il caporale Bainolo che dà lezione di salto a un suo allievo soldato». 11 dente di stacco, in tavolame, sarà stato alto poco più di un metto, la pista di atterraggio era fatta con neve di riporjp ben battuta, e un badile ip-, fisso nella neve testimoniava il lavoro degitjzar|papri;!^rajp«j rale Bcrtizolo era sospeso in aria con le ginocchia flesse e le braccia aperte come l'angelo, uno sci era orizzontale, l'altro aveva l'inclinazione del terreno, due soldati osservavano attenti. Più lontano, sui prati coperti dalla neve, paesani e soldati facevano da spettatori. Sullo sfondo erano le montagne che dieci anni più tardi divennero famose per le . battaglie della Grande Guerra. Nella terza riproduzione con la didascalia: «L'arrivo degli jskiatori da una lunga marcia di esperimento» si vedeva la • vecchia caserma dove fece l'alpino mio nonno cento anni fa Doveva essere un -tardo pomeriggio di febbraio, una pattuglia di alpini con gli sci in spalla trascinava la sua stanchezza verso i pagliericci che si pensano allineati lungo le pareti della camerata; dalle fi nestre della caserma pendevano capi di biancheria messi ad asciugare: forse erano di quelli arrivati • poco prima. Nell'aria sembrava di sentire l'odore appetitoso del rancio e quello stimolante del vino brulé. Andavano, allora, i primi alpini jskiatori per i monti dei confini nazionali e il capitano invitò un cronista a seguirli. Cosi scriveva: «... attraverso estese e fitte boscaglie, con tre metri di neve e con freddo che talvolta scende a venticinque gradi. Le orecchie pizzicano, poi il naso arrossa e piange le sue lacrime di dolore, indi il fiato depone la sua rugiada sui baffi, infine il ghiaccio sì forma sui medesimi, e voi andate per il niveo deserto ornata la bocca di aculei da istrice». Ma questi pionieri dello sci erano «provveduti di occhiali colorati, di due paia di mutande di lana, di grosse flanelle e di guanti pure di lana...». Ma l'ignoto cronista volle anche far sapere ai suoi lettori che «... il sole indorava quel mondo con il pudico rossore del suo mattiniero sguardo infuocato e i monti si profilavano nettamente, bianchi, neri per boschi di pini o ferrigni per le rocce». Erano questi i tempi quando nacque la canzone «Sui lucenti e tersi campi I del nevaio sconfinato I sorridenti al nostro fato / né corriam senza timor...», che poi, nel 1916 divenne l'inno dei battaglioni sciatori, ma anche il nostro inno quando nell'aula gelida, da bambini, ce la facevano cantare nel momento più critico dell'inverno; forse per riscaldarci. Nel 1905 un ragazzo ritornò al paese dagli Stati Uniti d'America; portava con sé un paio di pattini di acciaio lucente. Era andato laggiù nel 1891 che aveva tre anni e quando i suoi genitori dopo tanto lavorare ritennero di avere i soldi sufficienti per co- struirsi una casa, solo allora, ritornarono al paese. Questo ragazzo strabiliava tutti per il suo elegante pattinare sul ghiaccio degli, stagni e della roggia: andava leggero come una libellula, volteggiava su una gamba sola; faceva gli otto, la trottola, l'angelo; danzava. Entusiasmò gli spettatori e un bravo artigiano incominciò a fabbricare pattini copiando il modello venuto dall'America. Nel 1912 venne inaugurato «Il patinoite», forse uno dei primi sorti nelle nascenti stazioni di sport invernali; restava aperto giorno e notte, allora non c'era la illuminazione elettrica pubblica, forse avevano dei fanali a gas o il chiaro della luna. Un giornale nel riportare la notizia commentava: «... Noi non siamo contrari allo sport; ma ci sembra sconveniente che il patinoire sia aperto anche di notte; ma ci sembra ancora più sconveniente che allo schettinaggio delle donne siano addetti e prestino servizio dei giovanotti». * * Anche dal patinoite mi è rimasta un'immagine, e la didascalia commentava: «A suon di orchestra ballando il valzer in pattinaggio». Alcune signore dalle lunghissime gonne, berretti di pelliccia, camicie bianche ricamate, si fanno accompagnare nel pattinaggio danzante da uomini in maglione bianco, pantaloni stretti al ginocchio, berretti all'inglese o cappelli alla Lobbia. 1 suonatori non si vedevano, ma altre donne accostate si tenevano per mano e tentavano di camminare sul ghiaccio con i pattini ai piedi. Era una belle epoque che poi la Grande Guerra definitivamente distrusse. E quando passò, noi ragazzi si cercava, tra i rottami, dei ferri a mezzaluna che adattavamo alle nostre scarpe piegandoli a misura sulla punta e sul tacco dopo averli lucidati con la polvere di una pietra speciale, e dopo ci lanciavamo in spericolate arrrrivmii»' prf le <frari> in discesa facendo disperare la guW^mafeT PfiUnne con le borse della spesa. Sono passati molti anni, se-, coli come progresso; ora i ragazzi vanno sicuri per le montagne dove andavano con grande difficoltà i primi «jskiatori»; nei pomeriggi allo Stadio del Ghiaccio le bambine dell'asilo volteggiano come rondinelle e alla sera i giovanotti si i sfogano nel moderno velocissimo e violento hockey. Ma anche questo sport assomiglia molto a un gioco di cui si è persa la memoria e che facevano i nostri nonni a squadre contrapposte, sui prati attorno al paese. Usavano un ramo ricurvo di faggio e una palla di legno, lanciavano la palla con un grido di sfida e partivano per la conquista della «base». Ma quante teste rotte! mi raccontava il vecchio famiglio. Mario Risoni Stern

Persone citate: Lobbia, Mario Risoni Stern

Luoghi citati: America, Stati Uniti D'america