«Traditore» perché

«Traditore» perché GRANDI E L'ITALIA DISFATTA «Traditore» perché Grandi, Ciano, Bottai. 1 tre | Grandi, Ciano, Bottai. 1 tre maggiori «traditori» di Mussolini nel luglio 1943. E Grandi il massimo fra tutti, poiché fu l'uomo che prese l'iniziativa e stese quell'ordine del giorno che, votato nella seduta del Gran Consiglio, determinò la crisi del regime fascista. Ciano e Bottai avevano documentato il loro iter verso il distacco da Mussolini nei loro celebri diari. Grandi, oggi novantenne, ha dato la sua ricostruzione del 1943 nel volume 25 luglio. Quarant'annì dopo, pubblicato nel 1983. Ora segue // mio paese. Ricordi autobiografici, uscito come il precedente presso il Mulino, con una breve prefazione di Renzo De Felice. Concepito fra il 1943 e il 1947, il libro è stato finalmente portato a termine fra il 1984 e il 1985. Ogni libro ha un suo motivo ispiratore profondo. E quello de // mio paese è contenuto nel titolo stesso; che vuol dire che ogni nazione ha una sua continuità la quale va oltre i regimi, che è dovere del cittadino, quando si presenta il drammatico dilemma di obbedire agli interessi di un regime o a quelli della sopravvivenza del proprio paese, scegliere questi ultimi. Grandi vuol raccontare come, lui fascista di primissimo piano, prima cercò di fermare la sciagurata alleanza tra fascismo e nazismo e poi optò per l'Italia contro un fascismo degenera- Grandi, che in questo stesso anno ha anche pubblicato presso l'editore Bonacci i suoi discorsi su La politica estera dell'Italia dal 1929 al 1932, intreccia strettamente la storia interna del fascismo e quella delle sue relazioni internazionali. Il canovaccio del suo giudizio è il seguente. 11 fascismo ha rappresentato una forza irresistibile nel dopoguerra, resa tale dalla crisi del socialismo italiano e dall'incapacità delle altre forze politiche di dare una guida al ■paese. Esso è stato allora una realtà autenticamente nazionale. Il 1929 ha segnato «l'apice' del regime fascista». E qui Grandi inserisce una spia decisiva della sua interpretazione. Fino al 1929 la dittatura era considerata nello stesso fascismo come «provvisoria». Mussolini aveva risanato l'Italia, unito la nazione; e la dittatura non aveva ancora schiacciato la società e lo Sta' to. Grandi vedeva possibile che l'Italia in politica estera rinsaldasse se stessa restando fedele alla politica di equilibrio, alla Società delle Nazioni; in politica interna realizzasse il sogno di immettere il popolo nella vita dello Stato secondo una ispirazione di «democrazia nazionale». Que¬ sto era per Grandi il fascismo \sto era per Grandi il fascismo positivo, in cui il paese, il regime, Mussolini costituivano una felice trinità. Dopo, in seguito a un andamento ondulatorio sempre più intenso, ha inizio il processo di scollamento di questa trinità. Il fascismo non si «normalizza» secondo i voti grandiani; la dittatura si inasprisce, irretita durante gli anni di Starace negli schemi imitativi del totalitarismo di tipo nazista e sovietico. In politica estera, il regime soggiace sempre di più alla «perfidia» nazista, perde la bussola della difesa dell'equilibrio europeo, fino alla totale rovina. E si produce un doppio divorzio: del fascismo «negativo» da quello «positivo», degli interessi nazionali del paese dalla politica estera dell'asservimento alla Germania. Il luglio 1943 fu la resa dei conti fra l'ala del fascismo decisa a salvare in extremis il paese e l'ala che, seguendo la sua logica degenerativa, percorreva la via della catastrofe nazionale. In questo quadro interpretativo, Grandi colloca come elemento chiave il rapporto fascismo-nazismo. Partendo dall'idea che il fascismo fosse un fenomeno tutto diverso dal nazismo, egli vede la grande svolta negativa nel momento in cui Mussolini, di fronte prima all'ascesa di Hitler e poi al suo potere in Germania, si illuse di poter diventare lui il «pontefice» di un nuovo ordine internazionale. Il 1930 è l'anno in cui comincia la degenerazione. E Grandi gioca la sua ricostruzione degli Anni 30 sulla contrapposizione fra la tendenza, di cui egli fu infaticabile interprete, come ministro degli Esteri fra il 1929 e il 1932 e poi ambasciatore a Londra fino al 1939, volta a impedire la definitiva saldatura fra Italia e Germania, e quella opposta, di cui il Ciano del primo periodo e Mussolini furono gli architetti. L'atteggiamento di fronte all'indipendenza dell'Austria è preso a cartina di tornasole. "* * * Grandi racconta con una prosa appassionata la propria azione diretta a mantenere l'Italia ancorata ad una difesa degli interessi nazionali che non valicasse i limiti dell'intesa possibile con la Francia e l'Inghilterra. Un'azione infine stroncata da Mussolini. In parallelo Grandi esprime la propria opposizione alla crescente impronta totalitaria del regime, sempre alla luce di un ideale nazional-popolare del fascismo. Sennonché il suo racconto, mentre è in sé altamente significativo, laddove diventa interpretazione storica, pone enormi problemi. Importante testimonianza, questi Ri¬ cordi finiscono per assumere il cordi finiscono per assumere il carattere di una irresolvibile contrapposizione di un «dover essere» alla concreta realtà storica. Mentre protesta contro coloro che hanno preteso in modo «grottesco» di «sopprimere» il ventennio fascista dalla storia d'Italia, Grandi procede a sua volta a sopprimere in certo senso tutto il corso del fascismo che non gli si attaglia. Il fascismo totalitario e al carro della Germania è da lui considerato come un «errore», le cui radici sono colte troppo volentieri nei risvolti della psicologia individuale di Mussolini. Poiché Grandi nega idealmente il fascismo che non approva, il fascismo totalitario e succube della Germania è da lui considerato essenzialmente come il prodotto di un dittatore visto nella sua solitudine e nelle sue personali contraddizioni. * * Il giudizio di Grandi su Mussolini è a proposito quanto mai tipico. Da un lato il Capo è esaltato come la più grande forza vitale della nazione; dall'altro i suoi singoli atti vengono valutati, quando in accordo con il fascismo «positivo», nei termini di una autentica guida del paese, quando in disaccordo quali atti di un Cesare sempre più avulso dalla realtà. E cosi egli arriva a dire che l'entrata in guerra dell'Italia fascista fu in sostanza l'atto di volontà di un uomo solo; che fra il fascismo e il nazismo non vi era niente in comune; che quindi Mussolini portando l'Italia nel conflitto mondiale tradì lo stesso fascismo. 11 culmine di questa interpretazione è, insomma, proprio quello di «sopprimere» troppa parte del fascismo, delle sue radici, del suo significato storico complessivo, del suo destino. Ripercorrendo, da ultimo, gli avvenimenti del 1943, Grandi rivendica il fatto che la crisi del regime fu opera interna al fascismo',"di quei fascistLche ^pp^.jnftnc abbattere-il-dittatore per-salvare il paese, l'Italia che doveva continuare a vivere. I partiti antifascisti — dice — spuntarono il giorno dopo alla luce del sole. Ma fatto è che il fascismo il sole d'Italia agli antifascisti lo aveva prima tolto con la galera o l'esilio. Bottai, in una pagina del suo diario, dove pure a sua volta avanza tanti «distinguo» in relazione al diverso ruolo e alle diverse responsabilità di ciascuno, con una certa grandezza e con senso equo della responsabilità collettiva, sai ve: noi capi fascisti l'Italia «l'abbiamo disfatta», dopo che i Cavour l'avevano fatta. Massimo L. Salvador!