Olocausto, difficile memoria

Olocausto, difficile memoria UN DECISIVO RAPPORTO DEI MAGGIORI STORICI MONDIALI Olocausto, difficile memoria Molte le testimonianze sugli oltre cinque milioni di ebrei massacrati dai nazisti - Ma da che cosa nacque il genocidio? - Gli atti d'un convegno in Francia sono documenti eccezionali per rigore scientifico, eppure non sanno dare una risposta - «Lo storico è paralizzato: la dinamica profonda del fenomeno ci sfugge» - E si fanno più inquietanti lo zelo antisemita di Pétain e il «silenzio» di Roosevelt PARIGI — La coscienza storica, il raziocinio plU elementare si rivoltano all'idea che il 'genocidio . ebraico; {'«olocausto», il massacro più sistematico perpetrato in nome della rossa negli anni del conflitto restino, certo per l'eternità, d'origine indefinita. Ci sono sì molteplici testimoniarne sulla loro realizzazione, nei racconti dei superstiti come dei carnefici, nei documenti d'archivio sfuggiti alla distrusione, nel processi del dopoguerra. Ma ignoriamo la cosa essenziale: in quali condizioni, cioè, venne decisa la «soluzione finale del problema ebraico», da chi venne decisa, e con quali mezzi concreti venne applicata in ultima istanza. Affermazioni capaci di stupire, anche scandalizzare la maggior parte dei contemporanei. Ma che noti vogliono affatto mettere in dubbio la realta: è vero che oltre cinque milioni di ebrei d'Europa sono periti, massacrati sistematicamente dai nazisti durante la guerra, a causa di una politica di discriminazione altrettanto sistematica. Ma è un evento di orrore tale che gli stessi storici hanno esitato a lungo prima di guardarlo con la prospettiva, diciamo pure la freddezza, che li ispira di fronte all'analisi di qualsiasi altro fatto storico. Perette quella prospettiva e quella freddezza parevano già un diniego. Due fatti sono appurati: mai, in alcun testo firmato, l'espressione 'Sterminio degli ebreU compare a chiare lettere. Il documento chiamato «della soluzione finale», diffuso nel gennaio 1942 dopo la Conferenza di Wannsee, si limita a dire che tutti gli ebrei non sarebbero potuti sopravvivere al trasferimento nell'Est europeo: lo sterminio è soltanto implicito. Ma i destinatari della direttiva capivano benissimo di che cosa si trattasse: di avviare stragi di massa, non semplicemente di sterminare con il lavoro forzato. La polemica Allo stesso modo, non sono rimaste camere a gas nei luoghi in cui sorgevano i campi di sterminio dell'Est europeo. Ma la loro esistenza è comprovata da varie testimonianse della quali è impossibile dubitare. Sulla base di queste due carenze», negli Anni Sessanta, il cosiddetto movimento 'revisionista» ha sostenuto che la «soluzione finale» è un mito, nelle intenzioni come nell'esecuzione. I revisionisti si sono posti a li-, velli diversi della contestazione: alcuni hanno elaborato il dubbio per scrupolo storico, i più estremisti hanno condotto una polemica antisemita violenta in nome dell'antisionismo e della causa palestinese. La battaglia è infuriata in Francia intorno al 1970, e vedemmo persino intellettuali dell'ultrasinistra toccare l'estrema destra. Vi si impegnò tutta una tradizione libertaria: urgeva fare il punto in maniera scientifica. Nel luglio 1982 a Parigi si svolse un colloquio sotto gli auspici dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Societies. Era presieduto da Raymond Aron e Francois Furet, e vi parteciparono i principali istorici del genocidio ebraico, soprattutto tedeschi, americani, Israeliani. La Francia vi era rappresentata da Leon Poliakov, René Remond e Pierre Vidal-Naquet. Nessuno storico italiano fu invitato; l'omaggio reso a Primo Levi purtroppo non bastò a colmare una lacuna che forse si spiega con la scarsa conoscenza della storiografia italiana che troppo spesso gli stranieri hanno. Ad ogni modo, la raccolta degli Atti dell'incontro, intitolata L'AI le magne nazle et le génocide juif (edizioni Gallimard e Le Seuil) costituisce una messa a punto assolutamente decisiva sulla materia, sia per la lucidità, sia per il rigore scientifico. E meriterebbe un'ampia diffuìsione attraverso una scrupolosa traduzione. ! Nel suo rapporto-sintesi, \Saul Friedlander, docente a [Ginevra- e Tel Aviv, hà'de-' scritto, delincando l grandi aisi della storiografia dèi genocidio, la specificità det nazionalsocialismo, evincendola da una teoria generale dei 'fascismi» o dei 'totalitarismi»; perché, dice, «l'antisemitismo nazista e la soluzione finale rimettono In discussione le Interpretazioni globali del nazismo». E questo equivale a chiedersi quale tipo di razionalità vi abbia presieduto, e a che cosa essa sia riducibile. Gli storici si sono divisi in due tendenze: gli uni hanno visto la soluzione finale come scopo di un'ideologia, nata da un antisemitismo radicato nella tradizione tedesca ed europea, termine di un processo sempre controllato; gli altri vi hanno individuato l'effetto di un empirismo progressivamente aggravatosi sotto la spinta delle circostanze e di una burocrazia caotica. Fra le due spiegazioni si sono evidentemente istituiti punti di contatto; la decisione politica contingente ha trovato un significato nell'ideologia latente. Ma resta la domanda: è stato lo stesso Hitler a cercare la «soluzione finale»? £ quando l'ha concepita? Erano pazzi? Qui si inserisce il problema della razionalità, sulle motivazioni di Hitler; e gli storici inciampano in un tipo di spiegazioni che esula dalla loro sfera. E' l'americano Amos Funkenstein ad affermare, in un'interpretazione teologica' dell'olocausto: «Quand'anche coloro che hanno perpetrato questo massacro fossero dei pazzi che avevano perduto qualsiasi contatto con la realta, sarebbe possibile ricostruire la loro mentalità e 1 loro mo delli di comportamento. Ma non erano del pazzi nel senso clinico del termine... E possibile seguire passo dopo passo 1 meccanismi mentali attraverso 1 quali l'ideologia nazista giustificava l'assassinio di massa... L'olocausto fu un evento squisitamente umano, nel senso che ha manifestato 1 limiti di ciò che soltanto l'uomo e la società umana sono capaci di commettere e sopportare». Perché non comprendiamo, e che cosa non comprendiamo? si domandavano gli storici a consulto. Il teologo che abbiamo citato si limita in fin det conti a dire che la descrizione resta possibile, ed è indiscutibile. Ma lo storico, conclude Friedlander, è pa¬ ralizzato, perché si trova di fronte «alla simultaneità e all'interazione di fenomeni assolutamente eterogenei: fanatismo messianico e strutture burocratiche, impulsi patologici e decreti amministrativi, atteggiamenti arcaici e società industriale avanzata... La dinamica profonda del fenomeno ci sfugge». Un'ammissione del genere è sconvolgente, fatta da un uomo che ha sofferto, e a caro presso, il genocidio, e che ha dedicato la sua vocasione di storico a spiegarlo. E segna un limite invalicabile della riflessione storica, quando questa deve affrontare la situazione o la realtà dell'uomo, del singolo, palpitanti di tutte le loro forze psichiche, combinate con quelle delle strutture. Ed è anche il limite sul quale da circa cinquantanni si confrontano le concesioni della storia. L'interpretazione del genocidio è una posta in palio: è stato frutto di volontà, o di ineluttabilità degli eventi? Ma nessuno può esigere il superamento di questa incomprensione della «dinamica profonda del fenomeno»; perché, prima come durante la guerra, ha appunto accecato ì responsabili politici dei Paesi nemici della Germania, che non fecero alcunché per rimediare alle conseguenze del genocidio. A cominciare dal governo Pétain, che in nome della tradizione dell'antisemitlsmo francese anticipò le richieste tedesche aggravandole in Francia, come ricorda la recentissima opera di Serge Klarsfeld Vichy-Auschwitz (tomo 2, ed. Fayard), nella quale sono raccolti i documenti sul martirio degli ebrei stranieri e francesi. E continuando con i governi inglesi e americano. , Sul 'Sllensto» di Roosevelt uno storico americano 'ha appena scritto un'opera basata sul!? documentasione recentemente 'aperta»: ed è deprimente vedere quali calcoli politici impedirono al presidente degli Stati Uniti di agire. Jacques Nobécourt