Semi di libertà in Pakistan di Aldo Rizzo

Semi eli libertà in Pakistan Il generale Zia revoca la legge marziale e dialoga, finalmente, con New Delhi, ma non illude gli oppositori Semi eli libertà in Pakistan Dalla nuova Costituzione un passo verso la democrazia, anche se legittima lo strapotere poliziesco - Il vecchio autocrate non si è convertito: accarezza un «modello turco» alla Evren, che accorpi in un blocco unico le minoranze - Le contraddizioni del Paese tutto islamico divenuto baluardo per l'Occidente contro l'imperialismo sovietico in Afghanistan - Il decollo agricolo Lampi di pace sul subcontine nic indiano, già teatro di i massacri a sfondo etnico e religioso e di fortissime tensioni i politiche. Dopo l'incontro di New Delhi del 17 dicembre tra il primo ministro Rajiv Gandhi e il presidente del Pakistan, Zia ul-Haq (incontro del quale sono da verificare i frutti concreti, ma che dovrebbe avere avviato nuovi rapporti tra i due Paesi, che si sono più volte combattuti in passato e che minacciavano di portare la loro rivalità al livello degli armamenti nucleari), gli ultimi giorni del 1985 hanno registrato un'altra importante novità, questa volta all'interno del Pakistan. Dopo otto anni di duro regime militare, il presidente-generale Zia ha revocato la legge marziale e ha avviato un principio di normalizzazione democratica. E buone notizie (anche se ancora terribilmente incerte) giungono anche dai confini del subcontinente,, dove comincia l'Afghanistan, nella cui tragedia e nelle cui speranze il Pakistan, di nuovo, è direttamente coinvolto. Ma parliamo delle misure di liberalizzazione interna, decise da Zia e annunciate il 30 dicembre dal suo primo ministro, Mohammad Khan Junejo. Se si riveleranno effettive, cioè tali da aprire un reale processo di pacificazione nazionale e di sviluppo democratico, ne guadagnerà non solo la vita politica e civile dei'pachistani, ma anche l'immagine esterna, e quindi il ruolo internazionale, del loro Paese. In verità, la revoca della legge marziale, del complesso dei provvedimenti di emergenza che mettevano tutti i cittadini alla mercé dei tribunali militari, era stata promessa dal generale Zia già nel 1977, all'indomani del colpo di Stato che aveva abbattuto il regime democratico, o semidemocratico, di AH Bhutto e del suo ppp (partito del popolo pachistano). Sarebbe stata posta la questione, disse Zia, entro tre mesi. Invece ci sono voluti otto anni. Ora, comunque, i tribunali e gli uffici connessi allo stato di guerra sono stati soppressi, le leggi eccezionali sono state abrogate, i cittadini sono governati secondo le nor¬ me della Costituzione. Almeno dal punto di vista formale. Dal punto di vista pratico, obiettano gli oppositori del generale, molti dei quali hanno conosciuto personalmente i rigori della legge marziale, col solo conforto della denuncia di «Amnesty International», cambierà poco o nulla. Infatti alcuni dei principali provvedimenti limitativi della libertà individuale, a benefìcio degli organi di polizia è della burocrazia governativa, sono stati inseriti nella Costituzione. E, quel che più conta, aggiungono gli oppositori, rimane al suo posto il generale Zia, con tutta la cerchia dei suoi collaboratori. Come dire: ci si può fidare delle promesse di libertà che vengono dagli uomini della repressione? Ma altri (alcuni nelle stesse file dell'opposizione) sono meno pessimisti. Ritengono che il sistema di garanzie ripristinato formalmente possa acquistare anche un'efficacia pratica, se i tribunali civili e il Parlamento sapranno e vorranno far valere i loro diritti. Più generalmente, rilevano una linea di tendenza, nel regime di Zia, che, sia pure in modi ambigui, va ormai da tempo verso la liberalizzazione. Infatti, nel febbraio 1985, vi furono elezioni relativamente libere per il rinnovo del Parlamento: e se è vero che non poterono concorrervi i tradizionali partiti, è anche vero che gli elettori poterono bocciare molti dei candidati del regime, compresi quattro ministri su nove. Zia s'infuriò, e tuttavia, meno di un anno dopo, è venuta la revoca .della legge marziale. L'ipotesi più realistica, agli osservatori esterni, specie di parte indiana, è che il sessantaduenne generale abbia in mente un reale processo di pacificazione democratica, ma in modi diversi da come vorrebbero i molti, troppi partiti tradizionali (undici di essi sono riuniti o collegati nel «Movimento per il ripristino della democrazia»). Il modello di Zia sarebbe il generale-presidente turco, Evren, il quale, a sua volta, aveva per modello de Gaulle. Vale a dire, non una pura e semplice restaurazione democratica, ma l'instaurazione di un sistema nuovo e diverso, fondato su una drastica semplificazione degli schieramenti politici: in sostanza, un partito di governo e uno di controllo-opposizionc. Sarebbe questo anche il disegno del primo ministro Juncjo, leader potenziale del partito governativo (nel quale potrebbero confluire i movimenti politico-religiosi di Jamat-c-1slami, attuale sostegno del regime di Zia, c del Pir Pagara, espressione della disciolta Lega . Musulmana): resta da vedere quale sarebbe il partito di opposizione (cerio' non la bestia nera di Zia, quel Partito del Popolo di Munto, e ora della figlia Bcnazir). Parlando di democrazia in Pakistan, di restaurazione o d'innovazione, bisogna tuttavia ricordare che in Pakistan una vera democrazia non è mai esistita. Lo Stato nacque, nel 1947, da una divisione dell'impero britannico per linee religiose: i musulmani dell'India, temendo di essere sopraffatti dalla stragrande maggioranza indù, vollero e ottennero uno Stato tutto loro, dopo migrazioni e massacri che sono rimasti' leggendari. La fede islamica diventò un tutt'uno con l'identità nazionale, e questa, per difendersi, ebbe bisogno di militari, più che di esponenti politici di stile anglosassone. Furono generali sia il primo presidente, Iskandcr Mirza, sia il secondo, Ayub Khan, sia il terzo, Yahya Khan. La successiva esperienza «civile» di Ali Bhutto fu un'eccezione, dovuta al fatto che i militari, nel 1971, erano stati umiliati dall'esercito indiano, nella guerra per il Bangla Dcsh. Ma neanche Bhutto fu un capolavoro di democrazia, benché rappresentasse certamente un progresso rispetto al passato. Cosi, quando Zia ul-Haq, capo di stalo maggiore, guidò il golpe contro di lui. non ci furono sollevazioni popolari o altro. Non per questo, la repressione fu meno violenta. Zia riempi le carceri di tutti gli oppositori, anche potenziali, autorizzò la tortura e infine fece impiccare Bhutto, nonostante gli appelli alla clemenza da tutto il mondo. Ora, naturalmente, non siamo al «pentimento» del vecchio autocrate, ma forse, e sperabilmente, a una sua evoluzione. Due fattori hanno giocato in favore di Zia. Uno è la situazione economica, che resta quella di un Paese povero (90 milioni di abitanti e un prodotto nazionale lordo che é il quarantasettesimo al mondo, mentre quello «prò capite» è addirittura il centosessantesimo), ma che ha conosciuto negli ultimi anni notevoli progressi, grazie a un'utilizzazione moderna delle risorse agricole ed energetiche: il tasso medio di crescita è stato del sci per cento. L'altro fattore è stato l'invasione sovietica dell'Afghanistan, che ha fatto del Pakistan di Zia il principale sostegno della resistenza islamica, convogliando su di esso aiuti materiali e appoggi politici da tutto l'universo antisovictico, dagli Stati Uniti alla Cina. Naturalmente non senza qualche imbarazzo nell'opinione occidentale, che vedeva contrapposta al regime fantoccio di Kabul la dittatura militare di Islamabad. Non è facile dire che cosa cambierà adesso realmente dentro e fuori il Pakistan, all'interno dell'immenso subcontinente (tra India e Pakistan) e ai suoi immediati confini (tra Pakistan e Afghanistan). Tut tavia è innegabile che qualcosa si muove, nella direzione giù sta, mentre qualcosa è successo anche al Cremlino, e anche a New Delhi, dove abita l'altro protagonista, e per molti aspetti il primo, del subconti' nenie, il giovane e pragmatico Gandhi. Lampi di pace; poi si vedrà. ... Aldo Rizzo Islamabad. Il presidente pachistano Zia ul-I laq dinanzi alle telecamere durante un messaggio alla nazione. Il generale ha revocalo la legge marziale: sé le misure di liberalizzazione si riveleranno effettive, ne guadagnerà anche l'immagine estera del Paese