E Marcuse abitò a Palazzo Campana

Vent'anni fa, il 27 novembre 1967, gli-studenti occupavano FUniversità torinese Vent'anni fa, il 27 novembre 1967, gli-studenti occupavano FUniversità torinese I Marcuse abitò a Palazzo Campana Fu l'inizio della «contestazione giovanile» e dell'attacco all'«autoritarismo accademico» - Poche settimane dopo l'Italia entrava nella grande kermesse internazionale del '68 - D racconto di due dei protagonisti: Peppino Ortoleva e Marco Revelli senso compiuto e preciso; rifiuto dell'autoritarismo accademico; una dimensione tutta studentesca-. Marco Revelli e Peppino Ortoleva sono due del tanti, ma sui giornali finiscono i leader, la citta comincia a conoscere cognomi che saranno presenti poi per quindici anni nelle cronache della politica giovanile. Vittorio Rieser, Laura De Rossi, Ouido Viale, Federico Avanzini. Fa «scandalo» soprattutto una presenza: Luigi Bobbio, figlio di Norberto, il filosofo della cultura laica, l'amico di Cesare Pavese e di Leone Oinzburg. Lo arresteranno nel gennaio 1968, con un compagno. Oggi fa l'insegnante e chiede di non parlare: .Nei prossimi mesi saranno in molti a cercarmi. Non ho ancora deciso che cosa fare, forse starò zitto». Alle spalle hanno quasi tutti un buon liceo, molti libri letti, famiglie borghesi, padri e madri che hanno partecipato all'antifascismo, tante discussioni nei «parlamentini» studenteschi dove dominavano le vecchie organizzazioni legate ai partiti tradizionali. «Afa quel '67 e poi la prima parte del "68 non furono un movimento che continua questa logica partitica delle rappresentanze studentesche — spiega Ortoleva —. C'è un impatto immediato con un'università cui si domandava qualcosa mentre si ottenevano solo risposte negative. L'interrogativo che ci assillava era questo: chi insegna a chi?». La soluzione arriva già quella stessa mattina Saranno gli studenti a insegnare a se stessi Palazzo Campana non è il «O incontrammo con la cultura dei baroni e ottenemmo solo risposte negative. L'interrogativo di quei giorni era chi insegna a chi?» Con i controcorsi gli studenti . insegnano a se stessi «Non ci dominava la voglia di fare il meno possibile. Fu una grande crescita culturale» I miti del «Che» e di Bob Dylan, il Vietnam, le speranze di Praga e della Cina di Mao Tse-tung Palazzo d'Inverno della rivoluzione, ma un luogo di vita collettiva, di rapporti umani, di gestione comune dello studio e dell'esistenza. CI si trova, si parla, si studia e ci si innamora, «fri quei giorni cambiò il costume e anche il rapporto uomo-donna — dice Revelli —. Per la prima volta le nostre compagne d'università restavano fuori di casa la notte e venivano con noi a occupare. Non so se si sia trattato di una vera rivoluzione sessuale: tra loro, mi sembra, pre¬ Torino. Una delle prime manifestazioni di studenti in via Pietro valse comunque la sensazione dì avere la nostra stessa dignità. Ma fu un avvenimento assoluto, anche se poi la volgarità del denigratori del '68 liquidò tutto con le battute sulle orge nelle aule». Oli studenti di Palazzo Campana hanno letto Marcuse ed Hemingway, pochi conoscono Marx, ma hanno già il mito di «Che» Guevara, ucciso un mese prima in Bolivia. Ad ottobre, sono sfilati per le strade del centro torinese urlando .Vietnam libero, Viet¬ nam rosso». E' il mondo internazionale che li spinge verso la ribellione, verso la voglia di nuovo. 'C'erano il Vietnam, la guerra di un popolo che usa le frecce contro i computer della grande potenza internazionale, e le manifestazioni pacifiste dei giovani davanti alla Casa Bianca. C'era la primavera di Praga e la speranza per un comunismo diverso; c'era Mao Tse-tung con le guardie rosse e la rivoluzione culturale», ricorda Revelli Ma non è tutto. I ragazzi di Palazzo Campana o Micca: si lotta contro i metodi fischiettano le canzoni di Bob Dylan e dei Beach Boys, hanno già sentito parlare dei figli dei fiori e del poeta beat Glnsberg. «£' la cultura giovanile che ci arriva dagli Usa — dice Ortoleva —. Ci insegna la non violenza, che abbiamo imparato più dalle canzoni di Dylan che da Gandhi, conosciuto ma ancora da leggere». Con quel bagaglio i ragazzi di Palazzo Campana cominciano l'occupazione. Durerà fino al 27 dicembre e si ripeterà poi ancora altre quattro didattici e per i «controcorsi» volte nel '68. Nascono i «controcorsi» e sono la vera «rivoluzione», il sogno realizzato in quel castello di una cultura «nemica» e adesso espugnata. Oli occupanti hanno il diritto di veto verso chi non vogliono lasciar entrare («i professori, essenzialmente»), ma non c'è davvero violenza, per il momento, nei gesti e negli atti dei primi contestatori. «Ci facevamo trascinare via dai poliziotti opponendo solo una resistenza passiva», rammenta Revelli. .Anche i reazionari entravano senea problemi. Coltivavamo un'idea positiva e ottimista. C'è sempre la speranza di recuperare tutti», commenta Ortoleva. Nel Rettorato di via Po, 1 «baroni scacciati dal tempio» tengono le lezioni per chi non vuol partecipare al «controcorsi», ma Palazzo Campana trabocca di studenti. Su, nelle vecchie aule che guardano verso Palazzo Carignano e il salone polveroso del primo Parlamento italiano, si studiano la filosofia di Marcuse, la storia dell'America Latina e del Vietnam, filosofia della scienza, pedagogia, lo sviluppo capitalistico in Italia, psicanalisi e repressione sociale. Ha scrìtto Giorgio Bocca, parlando di quei giorni: .1 professori sono invitati dagli studenti a discutere il loro ruolo. In pratica devono stare in mezzo a un'assemblea vociante da cui vengono informati che il loro ruolo è dannoso o inutile... E così gli studenti ottengono che invece delle lezioni tradizionali, in cui bene o male imparerebbero qualcosa, sì tengano dei dibattiti e dei controcorsi sul pensiero di Mao...». E' davvero cosi? Revelli e Ortoleva respingono le critiche di Bocca con lo stesso sde gno di quei giorni: .Sono state peggiori di quelle di personaggi che almeno avevano la chiarezza di dirsi conservatori, come Indro Montanelli — ribatte Re velli —. Nei controcorsi si studiava. Io ho prepa rato materie leggendo anche quattro o cinque libri di 300 pagine l'uno. Oggi non lo vedo più fare da nessuno. Non vote vamo l'autoritarismo, ma volevamo e amavamo la cultura.