Giustino Durano ritorna e si sdoppia per Goldoni

Giustino Durano ritorna e si sdoppia per Goldoni Adua: «I due gemelli veneziani», regista Bernardi Giustino Durano ritorna e si sdoppia per Goldoni Bravissimi il protagonista e la sua spalla, Gianni Galavotti TORINO—Fa piacere sentir scoccare nel buio d'una platea, folta nonostante 11 gran freddo e la gran pioggia fuori, fitte e fresche risate dinanzi ad un classico come I due gemelli veneziani di Goldoni, che per uno, spettatore di professione, e dunque inevitabilmente abusato, è un copione quasi archiviato nel meandri dell'ormai polverosa memoria: Squarzina-Lionello nel '63, Arias-Facundo Bo nell'81, Pambieri in una Verezzi di cinque anni fa.. Stavolta è il Teatro Stabile di Bolzano a proporcelo, con una regia del suo direttore, 11 giovane e attivissimo Marco Bernardi, un allestitore che mi sembra ogni volta più fecondo nelle intuizioni di partenza che limpido nei risultati finali. Qui, se non altro, ha avuto un'intuizione geniale, quella di andar a recuperare e a riproporre in scena nelle vesti del duplice protagonista del titolo, un attore che s'era dlspittosamente defilato o (che è lo stesso quanto all'esito) era stato ingiustamente dimenticato da produttori e registi: 11 brindisino Giustino Durano, un nome che ai giovani non dice nulla ma che a noi adulti ricorda l'atto di nascita del controteatro in Italia: /{ dito nell'occhio e Sani da legare con Fo e Parenti, rispettivamente nel '53 e nel '54. Durano va per i sessantacinque, ed è impensabile che faccia sia pure nel vistoso gioco delle contrapposizioni, uno Zanetto e un Tonino «filologici», cioè giovenllmente gagliardi nella grulleria come nel vitalismo spavaldo. E difatti l'attore li atteggia ben guidato dal regista secondo la propria anagrafe: il primo è uno stolido maturo, un poco affannato e terrìbilmente pavido; il secondo (che nel testo è un 'Cortesan-, un playboy lagunare piuttosto procace) diventa invece una specie di ex Casanova in ventiquattresimo, ormai senza morbosità, : > e - soprattutto d'Ònes'tIssima parola. In questi due registri l'attore è ancora di grande tempismo, arguto negli effetti, gustoso nelle coloriture tonali (quella voce di baritono la sa giostrare ammirevolmente I). Al suo fianco Bernardi gli ha piazzato un gran «basso di carattere», come si dice nell'opera lirica facendo di un personaggio in genere marginale, l'ipocrita Pancrazio, il vero deuteragonista della vicenda A questo Pancrazio, sorta di Tartufo provinciale, forte nelle enunciazioni teoriche, debolissimo nelle loro applicazioni pratiche, Gianni Galavotti conferisce una gran statura: tutto nero dalla testa ai piedi, le mani grifagne sempre a .sfregarsi runa sull'altra, il viso falsamente maceratoi l'attore è la maschera di una sinistra lugu¬ bre bacchettoneria e al tempo stesso del personalissimo tornaconto. Per questi due interpreti, ben scelti e ben diretti; si fa venia al regista di certe scelte discutibili: la musica lugubie (ma perché?) di Dante Borsetto, la scena macchinosa, anche se gradevole, di Andrea Rauch, e soprattutto una certa asfissia di cui soffre palesemente la storia «seconda», quella romanzesca •de capa y d'espada*. Ne risente, ad esemplo, una valente attrice come Magda Mercatali (Beatrice), mentre begli applausi si prendono, nella storia «prima», la Bertacchi (Rosaura) e la Ceccarello (Colombina) e un piccolo successo se lo ritaglia il Fortuzzl come Arlecchino. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Bolzano, Italia, Torino